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Un anno per Ramazzotti, fondatore del Pime. Quando la Chiesa era in uscita per evangelizzare il mondo
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11 Novembre 2014

Un anno per Ramazzotti, fondatore del Pime. Quando la Chiesa era in uscita per evangelizzare il mondo

Padre Ferruccio Brambillasca, superiore generale del Pime, ha inaugurato il 21 settembre l'Anno dedicato al Fondatore monsignor Angelo Ramazzotti, consegnando il crocifisso a sacerdoti e suore in partenza per "annunciare il Vangelo al mondo". È il modo più significativo, perché è l'impronta qualificante lasciata da Angelo Ramazzotti sul suo "Seminario per le Missioni Estere". Qui un ritratto di questa stroardinaria e poco conosciuta figura.

 

di Piero Gheddo

Il 24 settembre 1861, moriva a Crespano sul Grappa (Treviso) il Servo di Dio mons. Angelo Ramazzotti, Fondatore del Pime, poi Vescovo di Pavia e Patriarca di Venezia.Nel marzo 1958 il card. Angelo Roncalli, pochi mesi prima di diventare Giovanni XXIII, ha sollecitato il Pime ad iniziare la sua causa di beatificazione, affermando che, studiando la storia dei Patriarchi di Venezia suoi predecessori, si era formata in lui “la profonda e schietta convinzione che davvero il titolo di Santo gli convenga e di Santo da altare”. Causa che infatti è stata iniziata a Milano nel 1976 ed è in attesa che il Signore confermi con un miracolo la santità del Fondatore del Pime.    

Perché ricordare oggi questo Vescovo, morto 150 anni fa? Perché nel 1861 è nata la nostra Patria, ma non dobbiamo mai dimenticare che l’Italia l’hanno fatta i re, i politici, i diplomatici, l’esercito dei Savoia e i garibaldini, ma gli italiani li hanno fatti la Chiesa e i santi come Angelo Ramazzotti. L’Ottocento italiano è ricchissimo di figure come la sua, vescovi, preti, suore e laici impegnati nell’educazione, nella sanità, nell’aiuto ai poveri, nei ricupero dei marginali; che hanno spalancato agli italiani, come Ramazzotti, gli orizzonti sconfinati dell’universo mondo.    

Nato a Milano il 3 agosto 1800 da famiglia agiata e profondamente cristiana, Angelo Ramazzotti si laurea in diritto civile ed ecclesiastico a Pavia nel 1823 e per due anni esercita la professione di avvocato presso uno studio legale a Milano. Di grande bontà d’animo e vita cristiana, sente fin da ragazzo la vocazione sacerdotale: nel 1825 entra nel seminario diocesano, è ordinato sacerdote il 13 giugno 1829 e il giorno stesso accettato fra i missionari oblati di Rho, sacerdoti diocesani per la predicazione al clero e al popolo. Appassionato predicatore, nei vent’anni dal 1830 al 1850 tiene 179 corsi di otto giorni e 35 corsi di 15 giorni ciascuno, fra missioni al popolo ed esercizi spirituali! Nel 1836 inizia un oratorio festivo nella sua casa patrimoniale di Saronno (dieci anni prima che don Bosco aprisse il primo oratorio a Valdocco; la stessa casa è anche orfanotrofio per gli orfani del colera del 1835-36, ai quali si aggiungono nel 1848 i figli dei militari austriaci costretti a fuggire da Milano durante le famose «Cinque giornate» dell’insurrezione popolare. L’arcivescovo di Milano si serviva di lui per missioni particolarmente delicate, per sedare malcontenti e comporre litigi: la sua opera di mediazione era gradita a tutti. Più avanti, da vescovo e da patriarca, mantiene i rapporti dell’episcopato italiano col governo austriaco, è nominato consigliere privato della Corona d’Austria e membro del consiglio della Corona imperiale a Vienna (parlava bene il tedesco).

Come Vescovo di Pavia (1850-1856) e Patriarca di Venezia (1956-1861) si distingue per un infaticabile ardore apostolico ed un inesauribile spirito di carità: visita spesso ospedali e carceri, istituisce opere per la gioventù abbandonata e per i poveri, scuole regolari e serali, ecc. Ramazzotti voleva un clero diocesano di spirito missionario: esorta i sacerdoti a vivere in piccole comunità e lui stesso ne prende alcuni con sé in episcopio (la sua “famiglia”), che inviava come sostituti di sacerdoti ammalati o per le missioni al popolo. Nella prima lettera al clero veneziano lamenta che nelle zone più povere e abbandonate della diocesi (ad esempio l’Estuario di Venezia) ci sono pochi preti e chiede ai suoi di offrirsi volontari per andarci a vivere: “Il prete, scrive, dovrebbe pretendere di essere mandato in quelle situazioni di povertà, non rifiutare di andarci! I preti debbono essere come soldati di prima linea: dove nessuno vuole andare, voi dovete essere quelli che chiedono di essere mandati”. 

Questa lettera è un documento missionario di grande forza, valido anche oggi!

Metropolita della regione triveneta, Ramazzotti convoca diverse volte i Vescovi e celebra il primo Concilio provinciale del Triveneto, svoltosi nel seminario patriarcale di Venezia nell’ottobre 1859. Per la prima volta da moltissimo tempo, nei soli tre anni e mezzo di permanenza a Venezia riesce a realizzare la visita pastorale delle parrocchie del patriarcato. Ramazzotti ha mandato le prime suore italiane in missione: nel 1860 partono da Venezia, per diretto suo interessamento, le canossiane per Hong Kong (14) e le suore di Maria Bambina per il Bengala indiano, in aiuto ai missionari dell’Istituto da lui fondato.
   
Muore poverissimo (aveva venduto tutto per i poveri) a Crespano del Grappa il 24 settembre 1861, tre giorni prima di ricevere la berretta cardinalizia da Pio IX. Quando viene a sapere, mesi prima, che il Papa vuol farlo cardinale, scrive al card. Antonelli, segretario di stato: «Dica al Santo Padre che per piacere non mi faccia cardinale, il denaro mi serve per altro». Gli serviva per i poveri. Mentre è Vescovo a Pavia ci sono grossi disastri naturali: il colera e l’inondazione del Po e del Ticino: con scarsi mezzi realizza miracoli di assistenza e si reca in barca a visitare, uno per uno, i paesi allagati… Il suo amministratore lo rimproverava perchè spesso dava tutto quel che aveva in carità.

Ramazzotti coltivava il desiderio di dedicarsi alle missioni estere, ma non esisteva ancora in Italia un istituto missionario per i sacerdoti diocesani. Lo stimolo per la fondazione viene dal grande cuore di Pio IX, che è all’origine dei due seminari missionari di clero secolare, di Milano (1850) e di Roma (1874), che nel 1926 Pio XI unirà dando vita al “Pontificio istituto missioni estere”. Il Pime venera come Fondatore mons. Angelo Ramazzotti, ma ricorda di aver avuto due Papi alla sua origine. E, se vogliamo un terzo Papa, Giovanni XXIII, che quando benedisse nel marzo 1963 la prima pietra del seminario di Sotto il Monte accanto alla sua casa natale donata al Pime, disse in confidenza ai superiori dell’Istituto: “Anch’io volevo venire nel Pime”.

Nel 1847 Pio IX manda a Milano mons. Giovanni Luquet, già missionario in India, con l’incarico di comunicare all’arcivescovo di Milano, mons. Carlo Bartolomeo Romilli, il “desiderio del S. Padre di aprire un Seminario di Missioni Straniere, fiducioso nel concorso dei Vescovi”. Il superiore degli Oblati di Rho, padre Angelo Ramazzotti, in accordo con alcuni giovani sacerdoti milanesi, si offre all’arcivescovo per realizzare il desiderio del Papa.

La fondazione viene poi rimandata a causa dei torbidi politici e della prima guerra di liberazione da cui nasce l’Italia, ma all’inizio del 1850 p. Ramazzotti manda a Pio IX un progetto dell’istituto offrendo la sua casa di Saronno per la prima sede. Giunta nei mesi seguenti l’approvazione da Roma, dall’arcivescovo di Milano e dai vescovi della Lombardia, l’istituto si apre a Saronno il 31 luglio 1850 con i primi cinque sacerdoti milanesi e due “catechisti” (laici consacrati a vita alla missione). Intanto, essendo stato padre Ramazzotti consacrato vescovo di Pavia, l’arcivescovo di Milano, d’accordo con Propaganda Fide, nomina il primo direttore nella persona di mons. Giuseppe Marinoni, sacerdote milanese che rimane a capo del nascente istituto fino alla morte nel 1891.

Nasce così in Italia il primo istituto esclusivamente missionario: il “Seminario Lombardo per le Missioni Estere”, dipendente dai Vescovi della Lombardia e da Propaganda Fide. L’atto di fondazione è firmato il 1° dicembre 1850 dai Vescovi lombardi riuniti a Milano in consiglio provinciale, che si impegnavano a “sostenere il Seminario missionario con la loro autorità, a fornirlo di vocazioni e di mezzi ed a considerare i loro sacerdoti che vi sarebbero entrati come sempre incardinati nelle rispettive diocesi d’origine”; affermavano anche di “voler calcolare gli anni passati in missione – quando per giusti motivi fossero tornati in diocesi – come anni passati al servizio della propria diocesi”. Idea magnifica, approvata dai vescovi all’unanimità, che venne però cancellata dal Codice di Diritto Canonico nel 1917 e riscoperta da Pio XII con la “Fidei Donum” (1957) e dal Concilio Vaticano II.

Il valore profetico del documento di fondazione del PIME è indicato fra l’altro da questo fatto: ancor oggi la S.Sede pubblica documenti, come la “Postquam Apostoli” (1980, della Congregazione del Clero: “Norme direttive per la collaborazione delle Chiese particolari fra di loro e specialmente per una migliore distribuzione del clero nel mondo”), che usano le stesse espressioni dei vescovi lombardi nel 1850. Ad esempio: “La Chiesa particolare non può chiudersi in  se stessa, ma, come parte viva della Chiesa universale – deve aprirsi alle necessità delle altre Chiese. Pertanto la sua partecipazione alla missione evangelizzatrice universale non è lasciata al suo arbitrio, anche se generoso, ma deve considerarsi come una fondamentale legge di vita. Diminuirebbe infatti il suo slancio vitale se essa, concentrandosi unicamente sui suoi problemi, si chiudesse alle necessità delle altre Chiese. Riprende invece nuovo vigore tutte le volte che si allargano i suoi orizzonti verso gli altri” (n. 14).

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