Venerdì 24 Ottobre 2025

Scaglione: «L’Iran non ha la bomba atomica. Il regime change? Mira al caos»

Più che un attacco all’ipotesi di nucleare iraniana l’operazione condotta da Israele sembra essere un tentativo di regime change, l’analisi di Fulvio Scaglione

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Mentre aspettiamo di conoscere la posizione che assumeranno gli Usa in Medio Oriente, ci stiamo chiedendo se si corre un rischio reale di bomba nucleare. La riunione di ieri del National Security Council della Casa Bianca presieduta dal presidente Trump ha pre allertato intanto le forze americane. Ad oggi Trump non ha ancora deciso se unirsi a Israele per attaccare i programmi nucleari e militari iraniani, ma secondo alcune fonti vicine alla Casa Bianca l’amministrazione americana starebbe valutando un attacco mirata o alle infrastrutture nucleari. «Sappiamo esattamente dove si trova il cosiddetto “Leader Supremo”», ha dichiarato Trump, parlando di un «bersaglio facile» e chiedendo a Teheran una «resa incondizionata», dichiarando che gli Stati Uniti avrebbero «il controllo completo dei cieli sopra l’Iran». A queste parole il leader supremo iraniano ha risposto: «La battaglia ha inizio», ha scritto Khamenei sui social: «Aiuto da Allah e conquista imminente. La Repubblica islamica trionferà sul regime sionista per volontà di Dio», aggiungendo che l’Iran «non scenderà mai a compromessi con i sionisti», con testuali parole: «Non mostreremo alcuna pietà per loro». Abbiamo raggiunto per un commento Fulvio Scaglione, direttore di InsideOver. Dottor Scaglione, da giorni l’Iran è sotto attacco di Israele e, pur rispondendo con centinaia di lanci di missili balistici, ha visto decapitati i suoi vertici militari e ha perso il controllo dei suoi cieli. Eppure Khamenei ha rilanciato: «La battaglia ha inizio, non mostreremo alcuna pietà». Gli Ayatollah non vogliono o non possono arrendersi? «Credo entrambe le cose. Dove naturalmente l’impossibilità di arrendersi si trasforma in volontà di resistere. È chiaro che questo attacco di Israele per come è stato concepito e condotto non è semplicemente un attacco al nucleare iraniano. Peraltro sappiamo, e questo deve essere molto chiaro, che l’Iran non ha la bomba atomica e non è stato neanche particolarmente vicino ad averla. Anche se si può avere molto più di un forte dubbio sulla sincerità delle affermazioni degli Ayatollah che dicevano «Non vogliamo procurarcelo». Ma che l’Iran non ha avuto, non ha, e non sia particolarmente vicino a ottenerla, ne siamo certi. L’attacco di Israele, che peraltro ha l’appoggio evidente non solo degli Usa che riforniscono di armi e intelligence, dei Paesi europei che in questo periodo hanno continuato a sostenerlo, praticamente di tutte le monarchie del Golfo persico, della Siria, dove ora il regime incarnato dagli ex terroristi gioisce, in Iraq gli sciiti guidati da Bashar al-Assad hanno detto di volerne stare fuori e il governo iracheno ha aderito all’invito. In Libano il governo ha diffidato Hezbollah nel sostenere l’Iran. La moderata Giordania ha cooperato ad abbattere i droni iraniani. Il modo in cui Israele ha concepito questo attacco e tutto il contesto internazionale ci dicono che questo non è semplicemente un attacco all’ipotesi di nucleare iraniana ma è un’operazione di regime change, cioè l’obiettivo vero è far crollare il regime degli Ayatollah. Ora loro non vogliono crollare e cercheranno di fare ciò che possono per resistere a questa che è di fatto un’offensiva internazionale condotta dagli israeliani». E quindi noi a chi dobbiamo credere, visto che è stato sollevato dall’AIEA un rischio bomba atomica per l’Iran, che per l’Intelligence Usa pare non fosse affatto immediato? «Assolutamente non lo è e non lo era. La realtà certificata anche dalle due relazioni dell’Agenzia Onu per l’energia atomica pubblicate una decina di giorni fa ci dice chiaramente che l’Iran non collabora con i controlli internazionali, che spesso gli ispettori hanno avuto la sensazione di arrivare in siti che erano stati ripuliti dagli iraniani, dove magari si erano svolte delle attività illecite da coprire. Inoltre, dicono che l’Iran ha accumulato 166,6 chili di uranio arricchito al 60%. Questo è di certo un caso unico al mondo per i Paesi che non hanno armamento atomico, considerando che pe costruire una bomba atomica ci vuole uranio arricchito all’80-85% minimo e, per fare delle proporzioni, la bomba che si chiamava “Little boy” sganciata dagli americani su Hiroshima aveva 84 chili di uranio arricchito all’85%. Quindi, come si vede, non c’è quello che in gergo militare si chiama “clear and present danger”. Questa è una guerra preventiva alla maniera in cui Bush e Blair fecero la guerra alle armi di distruzioni di massa di Saddam Hussein - lì non esistevano proprio era un pura menzogna, queste invece non esistono anche se nel lungo periodo potrebbero esistere». Donald Trump invece sembra ormai a un passo dall’entrare in guerra. Che ne pensa? «Penso che all’interno dell’amministrazione americana si stia svolgendo una lotta molto dura tra coloro che non vogliono intervenire e coloro che lo vogliono. Ci sono diversi segnali di questo, per esempio la base Maga (cioè la base trumpiana per eccellenza, dal motto “Make America great again”) è assolutamente contraria. C’è stato un recente sondaggio YouGov in cui è risultato che il 60% degli americani è contrario all’ipotesi di una partecipazione diretta degli Stati Uniti in questa guerra. Ci sono anche personaggi come Tulsi Gabbard, la capa dell’intelligence americana, che un mese fa aveva detto che questa bomba atomica iraniana non era alle viste e che attualmente è emarginata, non partecipa alle riunioni strategiche, eccetera. Quindi c’è una forte dialettica tra interventisti e non interventisti. Come verrà sciolta questa diatriba non è chiaro. Quello che è certo è che la base elettorale di Trump è contraria alla partecipazione a questa guerra perché lo è in generale. Non dimentichiamoci che Trump è diventato presidente per la seconda volta anche promettendo di non impegnare più gli Usa in conflitti che poi non si risolvono come la Siria, l’Afghanistan… e anzi si era impegnato a cercare di mettere fine alle guerre già in atto. Questa è la promessa che lui ha fatto alla sua base ed è la promessa che la sua base gli chiede di mantenere». Nell’ipotesi dell’eliminazione di Khamenei, non si rischierà poi anche in Iran una polveriera simile a quelle libiche, irachene e afgane? In questi giorni sono tornati in auge i parenti dello scià dicendosi «pronti» a guidare il Paese, ma l’esperienza insegna che l’esportazione della democrazia non è un progetto semplice… «Mi viene da dire che tutti i recenti esempi che hai fatto sono finiti male. Quindi quando si fanno queste operazioni si sa da dove si parte ma non dove si arriva e l’esperienza ci dice che si arriva sempre e soprattutto al caos. Fasi di caos che possono essere superate a carissimo prezzo, come è stato per l’Iraq con centinaia di migliaia di morti, l’insorgenza dell’Isis e tutto il resto… o casi che non si risolvono, come quello della Libia… casi che si risolvono in maniera discutibile, come quello della Siria, dove non c’è stato un regime change ma si è passati da un dittatore e agli ex terroristi che tanto per cominciare hanno fatto qualche migliaia di morti tra le minoranze a loro non simpatiche. In Afghanistan non ne parliamo. Insomma, il cambio di regime finisce quasi sempre in un disastro. Però, c’è da tenere in conto che forse è proprio il disastro l’obiettivo che si persegue. Cioè quello che si persegue in Iran come negli altri luoghi prima citati, non è l’avvento di una democrazia in stile svizzero, ma il caos. Cioè la pura e semplice non governabilità da parte di coloro che ai governi occidentali risultano essere avversari».  (Fonte foto: screenshot Milano Pavia TV – YouTube/Imagoeconomica) ABBONATI ORA ALLA RIVISTA!

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