Occhio perché quello che abbiamo davanti non è un crollo, bensì «un tracollo» demografico: firmato Carlo Cottarelli. È un editoriale senza dubbio molto interessante, quello del noto economista uscito stamane sul Corriere della Sera. Finalmente (non capita spesso) sul più grande quotidiano italiano si suona l’allarme denatalità, finalmente a suonarlo è una figura di riconosciuta autorevolezza e finalmente si parla della necessità, su questo versante, di «un serio ripensamento». Si può quindi tirare un piccolo sospiro di sollievo? Nì, anzi purtroppo no, non ancora.
Il contributo cottarelliano, pur pregevole sotto alcuni aspetti, sconta infatti anche limiti non piccoli. I principali sono tre. In primo luogo, l’economista scivola su una frase del tipo: «Il calo demografico è ormai un fenomeno che riguarda ormai tutti i Paesi del mondo, e visto quanto affollato sia diventato questo pianeta, ha anche aspetti positivi». Una strizzata d’occhio neomalthusiana che, francamente, ci saremmo risparmiati. Secondo limite del contributo di Cottarelli è quello di tirare in ballo - come argine al «tracollo» demografico – l’immigrazione. Una proposta che piacerà a certi ambienti anche cattolici ormai innamorati della ricetta immigrazionista ma, purtroppo, dal fiato corto.
Sono ormai anni, infatti, che gli esperti evidenziano come il contributo migratorio possa al massimo rallentare il declino demografico di un Paese, ma non certo invertire la tendenza: perché anche gli immigrati occidentalizzano il loro stile di vita, perché anche gli immigrati invecchiano e perché sarebbe sbagliato – considerazione che ai più, stranamente, sfugge – scaricare su di essi le sorti del nostro destino, guardandoli, marxianamente, come una sorta di «esercito demografico di riserva». Tornando a Cottarelli (che invece ci prende quanto ricorda che contro le culle vuote urge «un approccio di lungo periodo»), il terzo grande limite del suo contributo è che….manca il bersaglio.
Proprio così: la sua analisi richiama l’attenzione agostana su un problema allarmante (e fa bene), chiede che ci si occupi di questa emergenza (e fa strabene), ma evita di chiamare le cose con il loro nome (e non fa bene) nel momento in cui dimentica di ricordare che le culle vuote e, in generale, l’inverno demografico non è un caso. E non è neppure un fenomeno spiegabile con le sole categorie economiche, essendo il riflesso di un arretramento anzitutto spirituale e, in definitiva, di una crisi di valori. Che, messa così, potrebbe apparire come un tentativo di deviare l’attenzione altrove. Invece è precisamente il contrario.
Sulle pagine del Timone dello scorso settembre (qui per abbonarsi) abbiamo infatti dedicato un lungo speciale proprio all’argomento denatalità – avvalendoci anche del parere di esperti di livello internazionale, a partire dalla professoressa Catherine Pakaluk, economista e madre di otto figli – ed abbiamo messo in luce, in modo riteniamo inattaccabile, come gli incentivi, i bonus, gli aiuti per gli asili nido, i quozienti familiari e le defiscalizzazioni sono misure non opportune, bensì sacrosante.
Se però ci affidiamo a queste misure nella speranza che le cose cambino, beh, stiamo freschi. Anzi, siamo decisamente spacciati. In effetti, sono già numerosi (strano che Cottarelli su questo abbiamo sorvolato) gli esempi di Paesi con un welfare esemplare – anche molto più virtuoso di quello italiano, inutile negarlo – che, ciò nonostante, sono anch’essi alle prese con le culle vuote. Anche il mitico esempio francese, da decenni indicato come l’eccezione da prendere a modello, ormai non è più purtroppo un esempio. Ciò che serve, infatti, è una svolta culturale che rimetta al centro la famiglia e il matrimonio.
Ci sono già esempi virtuosi al riguardo, li abbiamo raccontati sulle pagine del nostro mensile. Il punto è che finché faremo finta di nulla - illudendoci che basti parlare di più immigrazione ed aiuti economici -, beh faremo come Carlo Cottarelli: suoneremo un giusto allarme senza, però, andare alla radice della questione. Domanda: possiamo davvero permetterci di perdere altro tempo con analisi a metà e contributi zoppi? La nostra poco entusiasta impressione è che di tempo se ne sia già perso, su questo cruciale tema, ormai anche troppo (Foto: Imagoeconomica)
ABBONATI ORA ALLA RIVISTA!