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11.12.2024

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A trent’anni dal referendum sull’aborto
31 Gennaio 2014

A trent’anni dal referendum sull’aborto


 

 

 

Un po’ di storia e la confutazione di qualche convinzione erronea ormai consolidata. Per promuovere la tutela della vita innocente e indifesa 

 
 
 
Il mese di maggio di trent’anni fa fu terribile per i cattolici italiani.
Il 13 maggio, per la prima volta nella storia, un Papa subiva un attentato potenzialmente mortale.
Il 17 maggio l’Italia cattolica piombava di nuovo nello sgomento per i risultati del referendum sulla legge 194, che nel 1978 aveva depenalizzato l’aborto e che ad oggi ha consentito in Italia l’uccisione di più di cinque milioni (la somma degli abitanti di Roma e Milano) di esseri umani. In favore del quesito referendario che chiedeva di ripristinare l’illiceità dell’aborto (peraltro non in tutti i casi) si espresse il 32 % dei votanti.
Ho parlato di Italia cattolica, ma anche alcuni non credenti erano e sono oggi contrari all’aborto. Infatti, si può argomentare in modo laico (poiché mi manca lo spazio, posso solo rinviare il lettore al mio Aborto. Una valutazione filosofica, reperibile sul sito del Timone) che l’aborto è l’uccisione di un uomo, quantunque chi vi ricorre o lo pratica possa non esserne consapevole, e sebbene a volte ci siano delle attenuanti quando esso matura in circostanze drammatiche (ma quante volte avviene invece per motivi banalissimi!).

Gestazione della legge e referendum
Ora, sulla gestazione della 194, sulla gestazione e la gestione del referendum, sugli errori di molti cattolici ci sarebbe tanto da dire. Non posso però non menzionare almeno il tradimento da parte della Democrazia Cristiana (pur con delle lodevoli e non infrequenti eccezioni al suo interno). Sia chiaro: non fu l’unico (per fare solo un esempio, anche alcuni uomini di Chiesa tralignarono), ma fu il più dannoso e il più grave perché, nonostante gli altri tradimenti, la DC, poiché stava in Parlamento, avrebbe potuto impedire l’approvazione della legge. Esso (seguo e cito Alfredo Mantovano, La Democrazia cristiana e l’aborto: perché fu “vero tradimento”, reperibile sul web) è cominciato già nel 1975, durante il dibattito parlamentare sulla 194, quando il democristiano Aldo Moro, che era Presidente del Consiglio, dichiarò la neutralità del governo. Poi è proseguito nel 1976, quando molti deputati della DC disertarono i lavori delle commissioni che esaminavano le proposte di legge. Si è perfezionato nel 1978, allorché il testo giunse alla Camera e al Senato: attraverso un escamotage i democristiani avrebbero potuto bloccare la legge (per i dettagli cfr. Mantovano), ma (per vari motivi, soprattutto per timore di un referendum dei radicali, cfr. Mantovano) non lo fecero. È continuato al momento della sottoscrizione della 194 da parte di Giovanni Leone, Presidente della Repubblica e democristiano, nonché di Giulio Andreotti, Presidente del consiglio che apparteneva al medesimo partito, e di quattro ministri della DC. A Leone la Costituzione conferiva la facoltà di chiedere alle Camere una nuova deliberazione della legge prima della promulgazione, ma egli non lo fece.
È vero che la situazione politica e sociale era difficilissima (negli “anni di piombo” Moro era stato assassinato e la società era dilaniata da diverse tensioni) e che perciò rifiutandosi di firmare la legge Andreotti avrebbe aperto una grave crisi. Ma non bloccare una legge che autorizza l’uccisione di innumerevoli innocenti è imperdonabile. Non solo, ma nel 1979 il governo monocolore democristiano presieduto da Andreotti incaricò l’Avvocatura dello Stato di difendere la conformità alla Costituzione della legge stessa. Non era un atto dovuto: non di rado i governi si associano alle eccezioni sollevate contro una legge.
Infine, durante la campagna referendaria ci fu il disimpegno di buona parte dei politici della DC (alcuni invece si spesero lodevolmente). Non stupisce dunque che il 17 maggio «una parte consistente del tradizionale elettorato democristiano sia rimasta a casa»; per non dire che i torpedoni, predisposti dal partito in certe zone per trasportare gli elettori al seggio elettorale, «nel 1981 sono [spesso] rimasti chiusi nelle autorimesse».

Una critica di tre argomenti
Nello spazio restante mi è possibile esaminare solo tre tesi, ormai frequenti a trent’anni dal referendum.
1) Si dice che la legge ha fatto diminuire gli aborti, che furono 234.000 nel 1982 e ultimamente sono circa 130- 135.000. Sennonché la 194 entrò in vigore nel 1978, ma solo per metà anno, e nel 1979 gli aborti furono 187.752, salirono a 220.263 nel 1980, poi a 224.377 nel 1981 e toccarono il picco citato nel 1982: dunque perché confrontare il numero attuale di aborti con quello del 1982?
Ma, anche rispetto al 1982, il calo degli aborti va dimostrato, dato che in questi trent’anni è molto aumentato il ricorso alla pillola abortiva del giorno dopo, di cui in Italia vengono vendute ogni anno circa 350mila confezioni. Certo, a volte la pillola viene ingerita dopo un rapporto sessuale che non ha originato il concepimento, ma, altre volte, la pillola uccide invece esseri umani che sono stati effettivamente concepiti. Chi può mai conteggiare questi aborti?
Qualcuno dice che prima della sua promulgazione gli aborti clandestini erano molto più numerosi di quelli poi avvenuti legalmente. In realtà (cfr. F. Agnoli, Se in totale le donne in età fertile sono 9.914, possono esserne morte d’aborto clandestino 25.000?, reperibile sul web), i dati sugli aborti clandestini erano clamorosamente menzogneri. Quelli che realmente avvenivano erano probabilmente 100.000 e forse meno, cioè 87.000 di meno rispetto a quelli del 1979 (primo anno completo di applicazione della legge), perché il divieto rendeva difficile trovare strutture o persone per abortire in modo illegale. È assurdo pensare che la depenalizzazione di un comportamento lo faccia diminuire; al contrario le pene hanno un ovvio effetto deterrente: proviamo a depenalizzare i furti ed essi aumenteranno clamorosamente. Inoltre, chi attribuisce il calo degli aborti alla 194 cade nel noto errore logico smascherato dal filosofo David Hume (1711-1776) Post hoc non implica propter hoc (“dopo ciò” non vuol dire “a causa di ciò”): se un’autobotte passa per una strada alle 10:00 e alle 10:05 la strada è bagnata non è detto che l’autobotte abbia bagnato la strada, perché in quel lasso di tempo può anche cadere uno scroscio di pioggia, può fuoriuscire l’acqua dai tombini, ecc. Se davvero c’è stato un calo bisogna rallegrarsene, ma va attribuito ad altre cause, cioè all’attività culturale della Chiesa, dei gruppi pro-life, di alcuni giornali, riviste, ecc., nonché all’aumentata conoscenza circa la natura del concepito (con gli odierni filmati è molto più difficile che in passato credere che il concepito sia un mero grumo di cellule).
2) Quanto detto sull’importanza delle leggi fornisce già alcuni elementi per discutere un’altra tesi, quella di chi dice che non bisogna combattere contro la 194, bensì investire sulla cultura.
Pur limitandoci a pochi cenni (per un approfondimento sono costretto a rinviare al mio Bioetica: legge e cultura devono andare a braccetto, reperibile sul web), e riconoscendo che una buona legge senza una cultura che la supporti non può resistere a lungo, va sottolineato non solo che le leggi hanno un effetto deterrente molto considerevole, ma inoltre incidono sulla stessa cultura perché creano mentalità, dato che molto spesso il ragionamento dell’uomo medio è il seguente: «se un’azione è legale allora è anche morale». Ad esempio, in Germania Est l’aborto era permesso e finanziato dallo Stato, mentre in Germania Ovest era sì in vigore una legge che lo vietava (salvo alcuni casi), ma l’effetto incriminante della norma era minimo, ovvero non c’erano quasi procedimenti penali e condanne. Eppure, l’influenza culturale di questa norma era enorme: in Germania Est, in percentuale, avveniva il triplo degli aborti della Germania Ovest, perché (cfr. M. Karle, Influsso della legislazione sulla coscienza dei cittadini, in AA. VV., I cattolici e la società pluralista, ESD 1996, pp. 91-92) qui i cittadini erano generalmente convinti che un’azione è moralmente negativa se un legislatore l’ha dichiarata punibile. Insomma, una legge contro l’aborto, anche senza effetto incriminante per le donne (ma nei riguardi di chi pratica l’aborto e di chi costringe o fa pressione sulle donne le sanzioni devono invece essere effettive!) sarebbe importantissima.
3) Un altro argomento da discutere è quello secondo cui la legalizzazione dell’aborto ha rimosso i rischi per le donne legati agli aborti clandestini.
Ora, anzitutto anche i dati sui decessi delle donne morte sotto i ferri degli aborzionisti erano enormemente bugiardi (cfr. il già citato articolo di F. Agnoli).
Soprattutto, seguendo la logica di questo ragionamento (e facendo un’analogia, che è scorretto prendere alla lettera) dovremmo legalizzare le rapine in banca per evitare le vittime delle sparatorie con la polizia. Un fine importantissimo (la salvaguardia della vita della donna) non può mai giustificare un mezzo gravemente malvagio, come l’uccisione del proprio figlio/figlia (anche la figlia nel grembo materno è una donna da tutelare). Piuttosto, le donne vanno aiutate in tutti i modi (economici, psicologici, ecc.) a portare termine la gravidanza.
Oltretutto, non poche donne che hanno abortito “muoiono” psicologicamente in seguito, colpite dalle terribili conseguenze psichiche che non di rado insorgono, talvolta anche molti anni dopo l’aborto (su ciò rimando al dossier, pubblicato dal Timone sul n. 86 e reperibile sul sito).

 
 
 
 

 

IL TIMONE  N. 103 – ANNO XIII – Maggio 2011 – pag. 14 – 15

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