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14.12.2024

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Abolite quel preambolo
31 Gennaio 2014

Abolite quel preambolo

 

 

Nella proposta di Costituzione europea è palese il tentativo non solo di far dimenticare le radici cristiane dell’Europa ma di promuovere valori antitetici al Cristianesimo.

 

 

Tutti intenti a discutere sul riferimento o meno alle radici cristiane nel . Preambolo .della Costituzione Europea, è passata quasi inosservata una frasetta che è stata inserita nell’ultima stesura dello stesso Preambolo e che promette di essere ben più pericolosa che non il mancato esplicito riferimento al cristianesimo. Cosa dice dunque l’ultima parte del Preambolo? “Certi che, ‘unita nella diversità, l’Europa offra loro le migliori possibilità di proseguire, nel rispetto dei diritti di ciascuno e nella consapevolezza della loro responsabilità nei confronti delle generazioni future e della Terra, la grande avventura che fa di essa uno spazio privilegiato della speranza umana….”.
Perché quell’inciso (che ho scritto in corsivo) è così pericoloso? Perché dimostra che al vertice dell’Unione Europea esiste la volontà non semplicemente di “dimenticare” la radice cristiana, quanto quella di costruire l’Europa su valori antitetici al cristianesimo. Il riferimento esplicito è infatti al concetto di sviluppo sostenibile – che si qualifica proprio come responsabilità verso le generazioni future – e più in generale alla Carta della Terra. Si tratta del tentativo di aderire a dei “valori etici globali” ispirati a un umanitarismo che ha una concezione dell’uomo come parte di una più ampia comunità della vita” (in pratica tutta la natura, una forma di neo-paganesimo).
Per capire la portata della vicenda bisogna ricordare che la Carta della Terra affonda le sue radici nel Rapporto finale della Commissione Internazionale sull’ambiente e lo sviluppo (meglio conosciuta come Commissione Brundtland, dal nome dell’ex premier norvegese che la presiedeva). Quel rapporto (Our Common Future, Il nostro futuro comune), pubblicato nel 1987, formulava il concetto di “sviluppo sostenibile”, collocato in uno scenario in cui la presenza dell’uomo era vista come una minaccia per l’ambiente e lo sviluppo.
La conseguenza immediata era dunque l’adozione urgente di politiche di controllo delle nascite per fermare quella che veniva presentata come una esplosione demografica gravida di conseguenze tragiche per il futuro del pianeta. La mostruosità giuridica che ne consegue è che in nome del diritto alla vita delle generazioni future si limita il diritto alla vita delle generazioni presenti (aborto ed eutanasia sono dunque parte integrante delle politiche di sviluppo sostenibile).
I fatti si sono permessi poi di smentire quell’impalcatura ideologica (la bomba demografica non è mai esistita), ma le politiche internazionali sono state progressivamente sempre più vincolate a questa impostazione. Il Rapporto della Commissione Brundtland chiedeva infatti anche lo svolgimento di una Conferenza internazionale su ambiente e sviluppo, e proponeva di stilare una Carta della Terra al fine di “consolidare ed estendere principi legali rilevanti”, creando “nuove norme necessarie per mantenere i mezzi di sostentamento e la vita sul pianeta che condividiamo e per guidare i comportamenti delle nazioni durante la transizione verso uno sviluppo sostenibile”.
La Conferenza richiesta si svolse infatti nel 1992 a Rio de Janeiro (fu chiamato Earth Summit, il Vertice della Terra) e costituì l’inizio di quel ciclo di Conferenze internazionali dell’ONU (su sviluppo sociale, diritti umani, popolazione, donna, habitat, alimentazione) che, attraverso l’approvazione di Programmi d’Azione (l’ultimo è del 1996), hanno praticamente creato una Costituzione globale sui generis che ha affermato una serie di princìpi e politiche imperniate proprio sullo sviluppo sostenibile. A Rio si cercò anche di varare una Carta della Terra ma senza successo, ma l’iniziativa fu rilanciata due anni dopo sotto la guida di Maurice Strong (che era stato il segretario della Conferenza di Rio, poi diventato presidente del neocostituito Earth Council prima di essere promosso negli anni successivi a capo della riforma delle agenzie Onu voluta da Kofi Annan) e di Mikhail Gorbaciov, ex capo di Stato sovietico e presidente di Green Cross International.
La Carta è stata infine promulgata nel marzo 2000. Tale iniziativa, come dicono gli stessi promotori spiegando ne il senso; “fa parte del movimento mondiale di etica globale che cerca di identificare obiettivi comuni e valori condivisi che trascendono i confini culturali, religiosi e nazionali. Sul suo sviluppo ha influito la sempre più vasta letteratura in materia di etica globale. Negli ultimi tre decenni la pratica del dialogo multiculturale e interreligioso si è andata ampiamente estendendo ed esiste la consapevolezza sempre maggiore che le genti di tradizioni differenti condividono la fede in molti valori fondamentali”.
Tornando all’Europa dunque, quell’inciso buttato lì nel Preambolo della Costituzione indica la volontà di aderire a questo movimento di etica globale, che altro non è che un tentativo di omologare tutto alla cultura dominante o, in altre parole, al Potere.
Allora si comprende meglio perché in quel Preambolo non c’è posto per il riferimento al cristianesimo: semplicemente nel mondo che questi signori vogliono creare non c’è posto per chi afferma l’irriducibilità della persona al Potere, per chi afferma che Cristo è tutto, per chi sostiene che la persona viene prima dello Stato.
Chiediamo allora che alla prossima Conferenza intergovernativa di ottobre, in Italia, almeno quella frase venga tolta dal testo della Costituzione europea.
Ne va del nostro futuro.

 

 

 

 

 

RICORDA

 

“Popoli tutti, aprite le porte a Cristo! Il suo vangelo nulla toglie alla libertà dell’uomo, al dovuto rispetto delle culture, a quanto c’è di buono in ogni religione. Accogliendo Cristo, voi vi aprite alla parola definitiva di Dio, a colui nel quale Dio si è fatto pienamente conoscere e ci ha indicato la via per arrivare a lui”.
(Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, n. 3).

 

 

 


IL TIMONE N. 27 – ANNO V – Settembre/Ottobre 2003 – pag. 16 – 17

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