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13.12.2024

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Aborto, 25 anni di vegogna
31 Gennaio 2014

Aborto, 25 anni di vegogna

Il 18 maggio 1978 veniva approvata la legge 194 che legalizza l’uccisione di esseri umani concepiti nel grembo materno. Da allora, oltre quattro milioni di vittime. Una vergogna!

Un applauso raggelante si leva dai banchi del Senato: il presidente ha appena letto il risultato delle votazioni con cui l’aborto è diventato legge dello Stato italiano. E un giovedì pomeriggio di 25 anni fa, il 18 maggio del 1978. Così il Parlamento approva la legge 194, che rende lecita la soppressione dell’essere umano concepito. L’intervento è a carico del Servizio sanitario nazionale e viene” pagato” da tutti i contribuenti, anche da quelli che sono contrari all’aborto di Stato. In Senato, gli applausi arrivano soprattutto dai banchi della sinistra: la legge passa con l’appoggio decisivo del Partito Comunista, del Partito Socialista, e delle altre componenti di tradizione marxista. Salvo alcune eccezioni, anche i cosiddetti partiti laici – Psdi, Pii e Pri – si schierano a favore della autodeterminazione della donna. Contro la legge votano i deputati della Democrazia cristiana e del Movimento sociale italiano Destra nazionale, ma non basta.
Manovre preparatorie Soltanto fino a 3 anni prima, l’aborto era in Italia un reato, sanzionato dal codice penale.
Come era stato possibile giungere così repentinamente alla legalizzazione? Il fronte abortista aveva potuto lavorare indisturbato per modificare il senso comune. Innanzitutto, servendosi del progetto di occupazione “gramsciana” dei mass media, i quali diffondevano cifre assolutamente fantasiose sull’aborto clandestino. Fu messa in atto una vera e propria campagna di propaganda per l’aborto di Stato, cui presero parte quasi tutti i più diffusi quotidiani e rotocalchi. Il mondo cattolico, diviso al suo interno da una crisi d’identità alimentata dal ’68, non fu in grado di opporre una seria resistenza.
C’erano addirittura parlamentari cattolici tra i fautori dell’aborto legale: furono i cattocomunisti Gozzini, La Valle e Codrignani a inventarsi il titolo – tragicamente comico – della legge 194, che reca “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. Una “tutela della maternità” che dal 1978 al 2001 ha provocato la morte di 4.255.005 nascituri, secondo le cifre ufficiali del Ministero della sanità. Ma anche nella stessa Democrazia cristiana si manifestavano gravi segni di cedimento, perfino in alcuni dei suoi uomini più prestigiosi.

Il tradimento della Dc
Una prima avvisaglia del tradimento dello Scudo crociato si era già avuto il 26 febbraio 1976, quando il gruppo Dc alla Camera votò insieme al Pci contro l’eccezione di incostituzionalità alla legge abortista. Nell’estate del 1976 sarà sempre un governo a guida democristiana (l’Andreotti Terzo) ad autorizzare in via straordinaria aborti eugenetici per le donne colpite dalla nube tossica di diossina a Seveso, nei pressi di Milano.
Pochi ricordano che la 194 è l’unica legge sull’aborto al mondo che porti la firma esclusivamente di uomini politici cattolici. Quando viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 22 maggio del 1978, essa porta in calce la firma di cinque politici dello Scudo crociato: il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti e i ministri Tina Anselmi, Francesco Bonifacio, Tommaso Morlino, Filippo Maria Pandolfi. I membri dell’esecutivo della Dc avrebbero potuto dimettersi piuttosto che firmare una legge assolutamente inaccettabile, ma rimasero alloro posto “per il bene del Paese”. Il Capo dello Stato, anch’egli democristiano, Giovanni Leone, avrebbe potuto rimandare la legge 194 alle Camere per sospetta incostituzionalità, senza nemmeno dover rassegnare le dimissioni, in base all’articolo 74 della Costituzione. Invece, dopo soli quattro giorni firmò. Purtroppo non fu solo la paura, o l’attaccamento al potere, a portare al tradimento gli uomini della Dc.

“Giustamente, in quel momento”
Da anni era in atto una trasformazione del partito, che gettava le basi per un disimpegno progressivo sulle questioni più scomode e cruciali.
Il 20 luglio del 1975, al Consiglio nazionale della Democrazia cristiana, il premier in carica Aldo Moro prende la parola: “La ritrovata natura popolare del partito induce a chiudere nel riserbo delle coscienze alcune valutazioni rigorose, alcune posizioni di principio che sono proprie della nostra esperienza in una fase diversa della vita sociale, ma che fanno ostacolo alla facilità di contatto con le masse e alla cooperazione politica.
Vi sono cose che, appunto, la moderna coscienza pubblica attribuisce alla sfera privata e rifiuta siano regolate dalla legislazione e oggetto di intervento dello Stato. Prevarranno dunque la duttilità e la tolleranza”. La linea politica era dunque tracciata, nel segno della resa e del rinnegamento dell’identità sulle “cose che contano”. Nel 1999 l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, già democristiano, dichiarava alla rivista Liberai: “Un cattolico può separare convinzioni etiche e realtà politica. Si può dire che sono contro l’aborto, ma che non ne faccio questione di battaglia politica. Mi inchino al volere della maggioranza: non rompo un governo sull’aborto”. Nel 1991, sempre Cossiga aveva scritto: “La Dc ha meriti storici grandissimi nell’aver saputo rinunciare alla sua specificità ideologica e ideale: le leggi sul divorzio e sull’aborto sono state firmate da capi di stato e da ministri democratici cristiani che, giustamente in quel momento, hanno privilegiato l’unità politica a favore della democrazia, della libertà e dell’indipendenza” .


La “neutralità” del Governo
Il 21 gennaio del 1977 Giulio Andreotti annotava sul suo diario: “Seduta a Montecitorio per il voto sull’aborto. Passa con 310 a favore e 296 contro. Mi sono posto il problema della controfirma a questa legge (lo ha fatto anche Leone per la firma) ma se mi rifiutassi non solo apriremmo una crisi appena dopo aver cominciato a turare le falle, ma oltre a subire la legge sull’aborto la Dc perderebbe anche la presidenza e sarebbe davvero più grave”.
Dunque, la perdita della presidenza del Governo veniva giudicata più grave della responsabilità morale di sottoscrivere una legge che decretava la sentenza di morte per un numero incalcolabile di bambini innocenti. Error cui non resistitur approvatur, recita una massima lapidaria di Sant’Innocenza I: l’errore cui non si oppone resistenza, è approvato. Senonchè, il Governo Andreotti non soltanto firmò la legge, ma assunse ufficialmente la responsabilità di sostenerne la costituzionalità, inviando l’Avvocato Generale dello Stato a difendere le norme sull’aborto libero. Il Governo si costituì in difesa della 194 davanti alla Corte costituzionale nell’udienza del 5 dicembre 1979. Eppure, nessuna legge obbligava il governo a compiere questo atto.

La morale della storia

A distanza di 25 anni, il tradimento dei cattolici impegnati in politica consumatosi in quel maggio del 1978 rappresenta una pagina di storia che non deve essere dimenticata. Anche nel 1534, quando in Inghilterra Enrico VIII impone ai suoi sudditi l’Atto di Supremazia – con cui si consuma lo scisma dalla Chiesa cattolica – Tommaso Moro è l’unico laico in tutta l’Inghilterra a rifiutare il giuramento.
Pagherà con la vita la sua intransigenza, mediante decapitazione. Molti secoli dopo, di fronte al bivio tra firmare o non firmare la legge sull’aborto, si trattava di mettere a repentaglio non la testa, ma la propria poltrona.
Ben diversamente dai politici democristiani si era comportato nel 1990 Re Baldovino del Belgio, che aveva messo a repentaglio la sua corona piuttosto che firmare la legge sull’ aborto.
Purtroppo, a volte occorrono 25 anni, all’uomo, per riconoscere i propri sbagli. Il 22 maggio 2003, le agenzie hanno battuto questa dichiarazione dell’ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti: “Oggi preferirei dimettermi, che controfirmare quella legge”.
RICORDA
“Pertanto, con l’autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in comunione con i Vescovi della Chiesa cattolica, confermo che l’uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale. (…) La scelta deliberata di privare un essere umano innocente della sua vita è sempre cattiva dal punto di vista morale e non può mai essere lecita né come fine, né come mezzo per un fine buono”.
(Giovanni Paolo Il, Evangelilum vitae, n. 57).
BIBLIOGRAFIA
Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici : nella vita politica, 2003.
Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 1995.
Roberto de Mattei, Il centro che ci portò a sinistra, Edizioni Fiducia, Roma 1994.
Mario Palmaro, Il cardinale coraggioso, Giovanni Colombo il Sessantotto e l’aborto, Gribaudi, Milano 2002.
AA. W., Aborto, il genocidio del XX secolo, Effedieffe, Milano 2000.

IL TIMONE N. 26 – ANNO V – Luglio/Agosto 2003 – pag. 6 – 7

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