La grande mistificazione: il governo Rajoy rifà il trucco alla legge, e i mass media parlano di svolta storica. Il Timone svela le ragioni di questa strategia e i principali errori che serpeggiano nello stesso mondo cattolico e prolife. La voce fuori dal coro di Costanza Miriano
Ne hanno parlato i mass media di tutto il mondo: la Spagna vieta l’aborto. Alla fine del 2013 il governo di Rajoy ha approvato un disegno di legge che riforma l’attuale disciplina sull’aborto procurato. Tanto è bastato per scatenare le reazioni isteriche dei numerosissimi sommi sacerdoti del sinedrio abortista che domina il mondo. È subito stato agitato lo spettro di Francisco Franco, facendo intendere che la lancetta dell’orologio era ritornata al tempo del Caudillo, quando in Spagna – come nel resto del mondo – l’aborto era un delitto punito dal codice penale.
Un falso clamoroso
Come ha ampiamente documentato Tommaso Scandroglio in un lucido articolo apparso su La Nuova Bussola Quotidiana, questa rappresentazione dei fatti è totalmente falsa. La nuova legge lascerà sostanzialmente invariato il quadro normativo voluto da Luis Zapatero. Il governo democristiano vuole varare una norma che permetta alla donna di abortire dopo un periodo di sette giorni di riflessione, e che possa farlo fino alla 22° settimana, per “importante” pericolo per la vita o per la salute psicofisica della donna. Tutti sanno che lo “sfondamento” delle cause verso la sfera psicologica rende praticamente invocabile qualunque argomento soggettivo per sopprimere il proprio figlio: se l’idea di avere un figlio “mi fa star male”, allora devo poter abortire. Sembra di rivedere 35 anni di applicazione della legge 194 in Italia. Dove sta la differenza fra nuova legge e quella di Zapatero? Che in base a quest’ultima, fino alla 14° settimana si può abortire senza fornire alcuna motivazione. Ma con la nuova legge basterà certificare un “pericolo grave per la psiche della donna”, e il risultato sarà il medesimo. Nulla cambia per quanto concerne l’aborto eugenetico. La nuova legge prevede, come la precedente, che si possa sopprimere il bambino anche nel caso di stupro: la richiesta deve essere fatta entro la 12a settimana. Le ragazze minori potranno sempre abortire ma, a differenza della legge Zapatero, ora verrà ripristinato il consenso vincolante dei genitori. La nuova legge vieta ogni pubblicità pro-aborto nelle cliniche.
Il problema del giudizio
Siamo dunque di fronte a una pianificata mistificazione mediatica: si denuncia che in Spagna l’aborto verrà vietato, mentre è vero esattamente il contrario. È la collaudata strategia del fronte abortista, comune a tutta la cultura della dissoluzione e del sovvertimento naturale, la quale non si dichiara mai soddisfatta degli obiettivi raggiunti. Quando in Italia fu approvata la legge 194 – con il convinto sostegno del Pci, del Psi e dei partiti laici – il Partito radicale votò contro. E non certo perché Pannella e Bonino fossero contro l’aborto, ma perché volevano due cose: ottenere l’interpretazione più permissiva della legge che contestavano, e agitare lo spettro di una legge peggiore. Suscitando nella pancia del mondo cattolico quelle idee – allora embrionali e oggi consolidate – in base alle quali, tutto sommato, la 194 non era poi così male. Si fronteggiano due strategie opposte che fanno il gioco del Nemico: gli abortisti, che agitano il bicchiere mezzo vuoto (quando dovrebbero esultare per quello mezzo pieno); e gli antiabortisti, che si consolano con il bicchiere mezzo pieno (che per altro non esiste).
La cultura di morte usa queste tecniche per trascinare mondo cattolico e prolife in un territorio dove regna la confusione. Si lavora per distruggere qualunque criterio oggettivo di riferimento che mi serva per giudicare quello che ho davanti. La ragione umana mi insegna che, per valutare qualunque cosa, deve esistere una misura oggettiva: per sapere se è vero che Tizio è alto un metro e sessantasette, devo avere in mano un metro, indeformabile e preciso, con il quale compiere le mie verifiche. Se non esiste il metro, non esiste possibilità di giudizio oggettivo.
Come faccio a giudicare se una legge in materia di aborto è buona o cattiva, è giusta o ingiusta? Mi serve il metro. Mi serve sapere a priori quali sono i contenuti irrinunciabili che una legge giusta deve possedere: sarà giusta soltanto una legge che vieta sempre e senza eccezioni l’aborto volontario diretto. Se una legge non possiede questo requisito generale, anche solo in uno o pochi casi, è una legge ingiusta. Che va denunciata come tale, che non è vincolante in coscienza, e che deve essere costantemente combattuta e boicottata da ogni persona di buona volontà. Qualsiasi legge che ammetta anche un solo caso di uccisione deliberata e diretta di un innocente è moralmente iniqua. E un cattolico, in coscienza, non la può proporre né votare. Il principio è quello per cui non si può compiere un male, neppure minimo, per ottenere un bene. Corollario di questa premessa è che, muovendoci nel campo del diritto, vietare l’aborto significa punirlo (con il carcere o con altri mezzi proporzionati). Quindi, anche una legge che affermasse il diritto alla vita del nascituro, ma rinunciasse a punire tutti o alcuni dei soggetti responsabili di un aborto volontario, sarebbe una legge ingiusta. Così come sarebbe ingiusta una legge che affermasse il divieto di rubare o di violentare o di truffare, e poi non prevedesse alcuna sanzione per il ladro, per lo stupratore, per il truffatore. Magari, in nome della misericordia e del perdono.
Una volta che si possiedono con chiarezza dei criteri oggettivi, il giudizio scaturisce da sé. Il problema è che il mondo cattolico oggi appare strutturalmente incapace di formulare in modo chiaro e netto questo giudizio. Per quale ragione? Perché si nega deliberatamente l’esistenza di una misura oggettiva valida una volta per tutte. L’unico giudizio che rimane è allora di tipo politico: questa legge che ho davanti è migliore di quella che c’era prima, oppure di una che poteva essere approvata.
Il “democristianismo” ideologico come malattia mortale
Una premessa importante per evitare di essere frainteso: il “democristianismo” di cui qui si parla non coincide necessariamente con i milioni di elettori e le migliaia di politici che per molti anni votarono e lavorarono in quell’area animati dai migliori ideali, ma esprime un errore dottrinale assai più complesso e trasversale.
Ciò detto, non è un caso che i promotori della legge spagnola sull’aborto siano democristiani, cioè l’espressione di quella corrente culturale preda del male minore, del compromesso, del proporzionalismo. I socialisti di Zapatero e i democristiani di Rajoy procedono nella stessa direzione, solo che camminano a differenti velocità. Assumono entrambi la prospettiva rivoluzionaria, nella quale le certezze morali e giuridiche vanno sbriciolate e superate nella prospettiva di uno storicismo senza verità. Il cattolico democratico nel 1970 è a favore del divorzio ma contro l’aborto; lo stesso politico qualche anno dopo è per la legalizzazione dell’aborto ma solo in certi casi, per cui la 194 è una buona legge da difendere. Slittando lungo questo pendio scivoloso, il cattolico democratico del 2014 approda alle stesse posizioni che combatteva nel 1970: è contro l’aborto coatto in Cina, fatta salva la libertà della donna di scegliere. Fra lui ed Emma Bonino non c’è più alcuna differenza. Di fronte ai figli in provetta, inizialmente il democristiano ideologico si mostra ostile. Poi però promuove e vota leggi che la permettono in forma omologa, difendendole usque ad mortem, perché così almeno ci sono i “paletti” che evitano l’utero in affitto e la clonazione. Il democristiano ideologico si batte contro il matrimonio omosessuale, però è pronto a trattare sulle unioni civili. Non vuole le adozioni per i gay, ma fino a quando la penserà così?
Questa deriva è praticamente inevitabile, se nessuno difende più l’esistenza di una misura oggettiva, la insegna, la predica, si batte per essa. Se manca un ideale dichiarato e immutabile, tutte le partite saranno giocate inesorabilmente al ribasso. L’icona di questo partito proteiforme potrebbe essere la volpe e l’uva di Fedro: nessuno fa più fatica per inseguire il bene, accontentandosi di ciò che è a portata di mano. L’importante è restare in qualche modo al potere, dichiarando di difendere non meglio precisati interessi della Chiesa. E il problema è che l’elettore e perfino l’intellettuale cattolico scambiano democristiani ideologici per campioni dei principi non negoziabili.
Il democristianismo ideologico si alimenta di due preoccupazioni molto ingombranti. La prima è eliminare la centralità giuridica dei principi non negoziabili: il politico (ma anche il teologo) di questa risma, infatti, può anche continuare a proclamare la sua contrarietà morale a certe cose («Ah, ma io sono da sempre contro l’aborto! »), ma si guarderà bene dal trarre la conseguenza giuridica, cioè a battersi per una legge che definisca delittuoso quel crimine. La seconda motivazione attiene al rapporto con il mondo: se dico che una legge è gravemente ingiusta, entro in conflitto permanente con lo Stato, le istituzioni e gli uomini che le rappresentano. Se incontro il presidente di una Repubblica che ha accumulato 6 milioni di bambini uccisi con l’aborto con i soldi dello Stato, qualche cosa gli devo dire, e pubblicamente. E probabilmente non mi viene nemmeno in mente di premiare tale presidente per «il generoso e sacrificato impegno nella promozione dei diritti della persona», come ha fatto l’Università Pontificia Lateranense nei confronti di Giorgio Napolitano.
Parole di verità
Nel mondo cattolico, però, non tutti si rassegnano a questa messa in liquidazione della verità. Nelle scorse settimane, ad esempio, Costanza Miriano – prestigiosa firma del Timone – ha reso una splendida testimonianza quando è stata intervistata da Giuseppe Cruciani, giornalista intelligente che proviene dal mondo radicale, e che conduce il programma di successo La Zanzara su Radio24, emittente di area confindustriale.
Trasmissione totalmente dissolutoria e dissacratoria, incline al turpiloquio, ambiente ostile pieno di trappole: ma la Miriano non si è lasciata intimidire, e ha detto senza mezzi termini: «La legge che consente l’aborto va eliminata (…) Una donna incinta deve essere costretta a partorire. Dobbiamo essere tutti costretti ad aiutarla ad accogliere il figlio. Va eliminata la possibilità di abortire. Il bambino è un essere umano da subito». Insomma, Costanza ha evitato tutto il campionario del politicamente corretto neo prolife, del tipo: «bisogna applicare interamente la legge 194», soprattutto nelle sue «parti buone», e bisogna guardarsi soprattutto dal chiedere che sia abrogata.
Purtroppo, in questi anni si è consolidato un minimalismo pro life, totalmente antigiuridico e a-dottrinale, che si rifugia nel solidarismo dei Centri di Aiuto alla Vita (Cav). Così facendo, però, ci si dimentica di mostrare quello che dicono i numeri: e cioè che in un anno in Italia i Cav hanno favorito 10.000 nascite difficili – il che è in sé meritorio – ma contemporaneamente gli aborti legali sono stati 110.000, cui vanno aggiunti almeno 40.000 clandestini e il buco nero insondabile dell’aborto chimico.
Morale della favola? Senza la forza della legge, il diritto alla vita degli innocenti è indifendibile.
IL TIMONE N. 130 – ANNO XVI – Febbraio 2014 – pag. 14 – 15
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