Una bambina rimane incinta dopo una violenza, e i medici la fanno abortire.
La Chiesa annuncia la scomunica, e scoppia la bufera mediatica. Ecco tutti i perché di una giusta e doverosa condanna.
Un diritto o un delitto?
Questa vicenda ha tutti gli ingredienti ideali per far vacillare le convinzioni di molti cattolici. L'immagine di una bambina che, in uno scenario di allucinante squallore morale, subisce violenza e resta incinta di due gemelli ci colpisce tutti violentemente. Le preoccupazioni legittime per la salute della gestante fanno il resto, e spingono molti a concludere che l'unica soluzione ragionevole sia, "almeno" in un caso simile, l'aborto. L'emotività e il conformismo dominante sono però dei pessimi consiglieri. Occorre vagliare ogni atto umano, compreso questo caso estremo, alla luce della retta ragione e – per chi è cattolico – della fede.
Le ragioni della condanna canonica
In questa vicenda, l'altro motivo di "scandalo" risiede nella severità della Chiesa di fronte all'aborto, che si materializza nella scomunica latae sententiae. Una pena troppo dura – pensano in molti – di fronte a un atto che le leggi degli Stati e il pensiero dominante considerano tormentato e proprio per questo lecito. A queste reazioni occorre reagire con solidi argomenti.
Funzione della pena. La scomunica è definita dal Concilio di Trento "il nerbo della disciplina ecclesiastica", è una extrema ratio cui la Chiesa ricorre di fronte a delitti particolarmente gravi. Per esempio, la scomunica colpisce automaticamente, senza bisogno di una sentenza (latae sententiae), il confessore che viola direttamente il segreto (C. 1388), l'apostata l'eretico e lo scismatico (C. 1364), il vescovo che consacra un vescovo senza mandato pontificio (C. 1382), chi usa violenza fisica contro il Papa (C. 1370), chi spregia le specie eucaristiche (C. 1367). Per essere punibili bisogna sapere quel che si fa: il Codice di Diritto Canonico prevede che il minore di 16 anni non è passibile di alcuna pena, ed ecco perché in ogni caso la bambina brasiliana non poteva essere in alcun modo scomunicata.
Peccato e peccatore. La scomunica è una pena cosiddetta "medicinale" (C. 1312), e il suo scopo non è l'annientamento del reo, ma al contrario il suo recupero attraverso il pentimento e il perdono. Essa viene minacciata per difendere il bene tutelato, e per avvertire gli uomini di quanto grave sarebbe la violazione della norma. La durezza contro il peccato si accompagna sempre alla misericordia nei confronti del peccatore. Dopo il Vaticano" diverse voci chiesero la soppressione del diritto penale nell'ambito canonico, in nome di una malintesa bontà della Chiesa. I canoni che contengono delle pene sono effettivamente stati ridotti in modo drastico: erano 219 nel codice del 1917, sono diventati 88 nel codice del 1983.
Ma il diritto coattivo è proprio di qualunque società perfetta, e non può essere tolto proprio alla Chiesa, che ha «il diritto nativo proprio di costringere con sanzioni penali i fedeli che hanno commesso delitti» (C. 1311)
Aborto, le ragioni della scomunica. " Canone 1398 ha una formulazione perentoria: «Chi procura l'aborto ottenendo l'effetto incorre nella scomunica latae sententiae». In virtù del Canone 1329 § 2, la stessa pena colpisce i complici «senza i quali il delitto non sarebbe stato commesso». Ecco perché nel caso specifico la scomunica riguarda la madre della bambina e i medici. Come mai l'aborto porta alla scomunica e l'omicidio no? Si possono suggerire almeno tre motivazioni:
a. in senso oggettivo (fatto salvo cioè il giudizio sulla colpa di chi agisce) l'aborto è la forma di delitto contro la vita più grave e abominevole;
b. l'assoluta debolezza, la invisibilità della vittima, le leggi abortiste rendono il nascituro particolarmente indifeso: occorre una protezione giuridica eccezionale;
c. con l'omicidio si vuole di solito uccidere una persona conosciuta e determinata, mentre la vittima dell'aborto ci è ignota; si dice no alla vita tutta quanta, ci si ribella al progetto procreativo di Dio. Vengono in mente le parole che Chesterton dedica al suicidio: «L'uomo che uccide un uomo uccide un uomo; l'uomo che uccide se stesso, uccide tutti gli uomini: per quanto lo riguarda, annulla il mondo. Il suo atto (simbolicamente parlando) è peggiore di qualsiasi stupro o attentato dinamitardo: abbatte tutti gli edifici, offende tutte le donne» (Ortodossia, p.100) .
IL TIMONE N. 82 – ANNO XI – Aprile 2009 – pag. 12 – 13
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