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12.12.2024

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Aborto. Una valutazione filosofica
31 Gennaio 2014

Aborto. Una valutazione filosofica

 

Riflessioni laiche e posate per una valutazione morale dell’aborto. Per chi è disponibile a ragionare su un tema tragico.

Cerchiamo di riflettere in modo pacato sull’aborto. Voglio rasserenare quelle donne che, su questo tema, si sentono aggredite: so bene che, non di rado, le donne sono vittime di uomini squallidi e senza scrupoli e che, diverse volte, la decisione di abortire matura in situazioni difficilissime e drammatiche. Le donne devono essere aiutate e soccorse.

0. Una volta lette le seguenti considerazioni si veda questo famoso filmato  www.cattolicesimo.com/ChiesaSociet%C3%A0/aborto/UrloSilenzioso/urlo.htm.jkl. È datato, ma sempre attuale, e fu elogiato da Ronald Reagan; la voce narrante è quella di un medico che, in passato, ha praticato diverse migliaia di aborti.

1. Come ci insegna la biologia, fin dalla penetrazione dello spermatozoo nell’ovocita (cioè prima ancora della fusione dei nuclei dei due gameti) il concepito è autonomo e inizia uno sviluppo continuo, che gli consente dopo mesi, anzi dopo anni, di esercitare le azioni tipiche dell’uomo (pensare, amare, ecc.), a meno che non ci siano delle patologie (handicap).

2. Il concepito è autonomo nel senso che costruisce se stesso, guida il proprio sviluppo ed accrescimento, senza essere guidato da qualcun altro: come dice la prestigiosa rivista scientifica «British Medical Journal» (editoriale del novembre 2000), «l’embrione non è passivo, bensì è l’attivo orchestratore del proprio annidamento e della propria vita».

3. Lo sviluppo del concepito è continuo nel senso che è privo di interruzioni e di salti e non c’è mai nessuno stacco che consenta di dire «qui l’embrione diventa uomo». La quantità della sua materia e la complessità della sua organizzazione cambiano, ma l’entità che cresce, che diviene più complessa e che è in evoluzione è sempre la stessa. Lo attestano centinaia di studi scientifici: limitiamoci a citare uno dei manuali di biologia dello sviluppo più diffusi nelle università degli Stati Uniti e tradotto in diverse lingue, quello di Scott F. Gilbert, che afferma che «con la fertilizzazione inizia un nuovo organismo vivente. C’è un unico continuo processo dalla fertilizzazione allo sviluppo embrionale e fetale, alla crescita postnatale, alla senescenza fino alla morte» (Developmental Biology, Sinauer, Sunderland MA 2002, cap. 7, p. 254).

4. Del resto, l’evoluzione prosegue anche dopo la nascita, sia sotto l’aspetto fisico, sia sotto l’aspetto psicologico, e noi diciamo di aver a che fare con la stessa entità, anche se è in evoluzione.

5. Alcuni dicono che il concepito non è realmente autonomo, perché dipende dalla madre. Ma sua madre non guida il suo sviluppo, bensì gli dà protezione e nutrimento, che proseguono anche dopo la nascita e per molto tempo senza che questa dipendenza dalla madre ci faccia dire che un bambino piccolo può essere ucciso. Inoltre, anche un adulto costretto a letto ha bisogno di qualcuno che gli porti da mangiare e lo imbocchi, ma questa sua non autosufficienza non gli toglie lo status di essere umano. Insomma, l’autonomia dell’embrione non è indipendenza o autosufficienza assoluta, bensì capacità di autocostruirsi.  

6. Che non sia la madre a guidare lo sviluppo del figlio lo dimostra anche la fecondazione artificiale, che mostra che lo zigote può essere concepito e può inizialmente svilupparsi anche senza un grembo materno: è lui che guida il proprio sviluppo, non sua madre.
Per comprendere ulteriormente l’autonomia del concepito, confrontiamo lo sviluppo dell’embrione con la costruzione di una casa: una casa non si costruisce da sola, per la sua costruzione è necessario qualcuno che costruisce i mattoni e li unisce uno dopo l’altro; invece il concepito costruisce e unisce i suoi «mattoni» da solo.

7. Perciò il concepito è un’entità nuova rispetto all’ovulo e allo spermatozoo. Come i mattoni possono aspettare millenni senza diventare casa se non interviene un muratore, così l’ovulo e lo spermatozoo possono attendere tutta la loro (breve) vita senza svilupparsi se non avviene un rapporto sessuale che li fa incontrare; il concepito, al contrario, se non viene ostacolato, si sviluppa da solo ad una velocità vertiginosa. Insomma, distinguiamo (con Aristotele), tra potenza passiva, cioè capacità di diventare qualcosa ad opera di altro (per es., il marmo è in potenza passiva a diventare statua), e potenza attiva, cioè capacità di intervenire su qualcosa, anche su se stessi (lo scultore ha la potenza attiva di scolpire il marmo). Ebbene, i gameti sono in potenza passiva a formare un embrione, mentre l’embrione ha la potenza attiva di svilupparsi e di svolgere le attività tipicamente umane.

8. Altri dicono che lo sviluppo non è continuo e fissano uno stacco nel momento della fusione dei due nuclei dei gameti (prima di cui parlano di «ootide»), o nella formazione della stria cerebrale dell’embrione, o al momento del suo impianto nell’utero. Ma non è così, perché tutti questi momenti sono guidati dall’embrione stesso e sono già programmati fin dall’inizio. Di più, per quanto riguarda specificamente la fase che precede l’incontro dei due nuclei, studi recenti hanno del resto documentato che «l’attivazione coordinata del nuovo genoma, precede e non dipende dall’incontro dei due pronuclei e dall’apposizione [= l’avvicinamento] dei [loro] cromosomi» (cfr.  www.academiavita.org/template.jsp?sez=Documenti&pag=testo/embrio/embrio).

9. Si può svolgere lo stesso discorso sulla continuità dello sviluppo retrocedendo a ritroso. Se osservo le mie fotografie di qualche anno fa mi riconosco: sono io. Eppure la materia che mi costituisce è completamente cambiata. Sono sempre io anche nelle fotografie di quando ero appena nato, o nelle ecografie fatte un giorno prima del parto, o uno o due o sette mesi prima. E se avessi un’ecografia del momento del concepimento potrei di nuovo dire che sono sempre io quello grande come la capocchia di uno spillo.
Così, se io sono un uomo, e se tra me e l’embrione da cui provengo non c’è stato alcuno stacco, vuol dire che l’embrione da cui provengo era già un uomo. Ciascuno di noi è stato embrione e retrocedendo a ritroso nel nostro sviluppo non siamo in grado di trovare un punto prima di cui fosse lecito ucciderci.

10. Altri dicono che un essere umano ha un’individualità mentre l’embrione fino al 14o giorno può diventare due o più embrioni (gemellanza) e perciò non è ancora un individuo, perché – secondo loro – ciò che è divisibile non è individuo.
10.1. Ora, è vero che l’uomo per esser tale dev’essere individuo; ma questo discorso confonde erroneamente l’individualità con l’indivisibilità: un ente può essere individuo pur essendo divisibile, purché le sue parti abbiano coesione ed unità (per es., un albero è individuo, pur essendo divisibile in rami, foglie, ecc.).
10.2. Di più, la biologia ci dice che, anche quando avviene il processo della gemellanza, fin dal concepimento c’è un individuo (infatti un unico controllo centrale dirige tutto il processo dello sviluppo, compreso quello che porta alla gemellanza, ed inoltre le singole cellule dell’embrione sono coese tra loro, cioè sono parti integranti di un tutto), che è vivente e che genera un altro individuo vivente: da subito c’è un individuo a cui se ne aggiunge in seguito un altro.

11. Alcuni dicono che un essere umano è persona solo quando compie attualmente certe attività tipiche della persona, ad esempio quelle razionali. Essi distinguono l’essere umano dalla persona e deducono che un embrione e un malato non sono persone quando non sono coscienti, in quanto non esplicano attività razionali. Coerentemente a queste premesse, per un bioeticista molto famoso come H.T. Engelhardt, anche l’uccisione dei neonati è lecita.
Ma se fosse persona solo chi esercita attualmente operazioni razionali, allora bisognerebbe dire che anche un dormiente o un uomo sotto anestesia non sono persone, giacché non esplicano tali attività, e, dunque, sarebbe lecito uccidere anche loro.

12. Altri dicono che è il primo atto razionale-cognitivo, cioè un’espressione del suo agire, ciò che fa essere persona un uomo.
Ma, al contrario (cfr. già Aristotele), è l’essere (la natura) di un’entità ciò che determina le sue potenzialità ed il suo agire (per esempio una farfalla non può avere le potenzialità di un gatto e non può compiere le attività di un gatto e viceversa) e non si può agire in un certo modo se non si ha già la natura corrispondente (un animale non può volare se prima di volare non ha già la natura del volatile, un albero non può produrre mele se prima di produrle non ha già la natura del melo, ecc.). Perciò, solo chi è già persona, solo chi ha già una natura razionale, può essere in potenza a compiere attività razionali-personali e può attualmente compiere attività personali, dunque il primo atto personale lo può compiere solo chi è già persona; e solo chi è già persona da prima ha (potuto aver) già esercitato attività personali, qualora le abbia esercitate.
Ora, abbiamo già visto che, dal concepimento in poi, non c’è nessun salto, non c’è nessuno stacco nello sviluppo del concepito che corrisponda ad un cambiamento dell’entità che si sviluppa: l’entità che si sviluppa è sempre la stessa (cambia la quantità della materia e la complessità della sua organizzazione), perciò la sua natura (la natura del concepito) non muta lungo il suo sviluppo. Ora, visto che dopo alcuni anni il concepito compirà atti razionali, e visto che non c’è alcun salto nel suo sviluppo, né in quello prenatale, né in quello postnatale, vuol dire che il concepito ha una natura razionale.

Infine, come la natura determina l’agire, così l’agire retroagisce, in qualche modo (che non ci interessa qui analizzare), sulla natura; ma la mera cessazione dell’agire non può cambiare la natura di un ente: un melo non smette di essere melo perché non produce più mele, un pesce non smette di essere pesce se non riesce più a nuotare e una persona non smette di essere persona se, «in stato vegetativo», cessa di compiere attività razionali.   

13. Per alcuni:
– è persona sia colui che esercita attualmente attività cognitive (il bambino che ha già qualche anno);
– sia colui che le ha già esercitate e la cui l’attività cognitiva è temporaneamente sospesa, cioè chi ha già esercitato attività personali ed è in potenza ad esercitarle di nuovo (per es. il dormiente);
– non è invece persona chi è in potenza ad esercitarle ma non le ha ancora esercitate (l’embrione).

Ora, questa definizione è arbitraria, pare formulata apposta per poter negare all’embrione lo status di persona. Come dire: poiché vogliamo negare lo status di persona all’embrione, la definizione di persona che ci consente di farlo è questa, dunque adottiamola.
Ad ogni modo analizziamola.
Bisogna chiedersi: «che cosa determina l’esser persona di colui che ha già esercitato le attività cognitive ed è in grado di esercitarle di nuovo? O ciò che determina il suo esser persona è la sua natura razionale-cognitiva oppure è la sua (già compiuta) attività razionale-cognitiva. Che sia la sua (già compiuta) attività razionale-cognitiva lo abbiamo già escluso (al n. 12), dunque resta in piedi solo l’ipotesi alternativa: ciò che determina il suo esser persona è la sua natura razionale-cognitiva, il che è vero. Ma, anche il concepito umano è di natura razionale-cognitiva, infatti è in grado (salvo patologie o interventi esterni) di compiere attività razionali-cognitive, è in potenza (attiva) a compierle e chi ha la capacità di compiere attività razionali è di natura razionale, perché (cfr. sempre n. 12) la natura di un ente determina le sue potenzialità ed il suo agire.    

14. Visto che si possono prelevare gli organi da un uomo cerebralmente morto, perché non possiamo utilizzare l’embrione finché non ha il cervello?
Perché non c’è simmetria tra lo stato di un uomo col cervello completamente morto e lo stato di un embrione ancora senza cervello. Infatti, quando il cervello di un uomo è morto anche quell’uomo è morto (tra l’altro ultimamente ci sono studi che mettono in dubbio ciò e quindi anche il prelievo di organi): perciò, se ci fosse simmetria tra le due situazioni, bisognerebbe dire che un embrione che non ha ancora il cervello non è ancora vivo, il che è sbagliato, perché centinaia di studi di biologia attestano che la vita dell’embrione inizia con la penetrazione dello spermatozoo nella cellula uovo.

15. Insomma, l’essere umano è persona anche quando non compie azioni tipiche della persona, dunque l’embrione è insieme uomo e persona in atto fin dal concepimento ed è in potenza solo rispetto al compimento di certe operazioni.
Se l’embrione è uomo come noi (salvo per la quantità e il grado di complessità della materia), allora merita la stessa ed identica tutela che si deve riservare a ciascuno di noi, il che vuol dire che l’uccisione di un embrione, cioè l’aborto, equivale ad un omicidio; anche se, talvolta, chi vi ricorre e/o lo promuove non ne è consapevole, e ciò può comportare diverse attenuanti, così come sono attenuanti certe circostanze in cui matura.

16. D’altra parte, anche se nella società ci sono divergenze circa lo status del concepito, lo Stato deve applicare il principio di precauzione: se sussiste il minimo dubbio circa lo status dell’embrione, lo Stato non deve correre il rischio di uccidere un uomo. Se il cacciatore vede un cespuglio che si muove non deve sparare fino a che non sa con sicurezza che dietro al cespuglio non c’è un uomo.

17. L’aborto non è lecito nemmeno quando il bambino nascerà handicappato?
17.1. Tali diagnosi possono provocare un comprensibile sconforto nei genitori (alcuni dei quali, peraltro, poi amano molto questi loro figli, se li hanno lasciati nascere), ma a volte sono sbagliate.
17.2. Visto che l’embrione è uno di noi, la sua uccisione resta sempre un omicidio.

18. Ma se lo si lascia vivere egli sarà infelice.
18.1. Questo non avviene sempre, anzi.
18.2. Se è lecito uccidere per evitargli l’infelicità, allora (visto che lui è come noi) dovrebbe essere lecito poter uccidere qualsiasi uomo infelice.

19. L’aborto non è lecito nemmeno quando la gravidanza è frutto di una violenza? Certamente una situazione del genere è drammatica per la donna; ma il concepito non è colpevole della violenza, dunque la sua uccisione è l’uccisione di un innocente. Perciò sua madre ha il dovere morale di concludere la gravidanza (e la società deve esserle di aiuto in tutti i modi), ma non quello di tenere con sé il figlio: può darlo in adozione, se vuole. E ci sono tantissime coppie che sarebbero pronte ad accogliere amorevolmente questi bambini. Se invece lo ama, lo terrà con sé.

20. È vero che la gravidanza può risultare molto pesante per una donna, ma ciò non può autorizzare l’uccisione di un uomo, perché la vita di un uomo ha un valore preminente, che lo Stato dovrebbe proteggere sempre.

21. È vero che la legalizzazione dell’aborto rimuove i rischi per le donne legati agli aborti clandestini. Ma allora (per fare un’analogia, che è scorretto prendere alla lettera) perché non legalizziamo le rapine in banca per evitare le vittime delle sparatorie con la polizia? Un fine importantissimo (la salvaguardia della vita della donna) non può mai giustificare un mezzo intrinsecamente malvagio, come l’uccisione del proprio figlio/figlia (pochi ci pensano, ma anche la figlia nel grembo materno è una donna da tutelare). Piuttosto, le donne vanno aiutate in tutti i modi (economici, psicologici, eccetera) a portare termine la gravidanza.  

22. È vero, s. Tommaso (come fanno notare alcuni sostenitori dell’aborto) riteneva che l’aborto fosse omicidio solo dopo il 40o giorno: ma non era infallibile (tutti i santi, come s. Pietro, possono sbagliarsi) e comunque noi non vogliamo sottometterci al principio di autorità, bensì vogliamo ragionare; del resto Tommaso non disponeva delle nostre conoscenze biologiche sull’embrione. In ogni caso, pur non considerando l’aborto fin dal concepimento un omicidio, egli lo condannava duramente (Commento alle Sentenze, l. 4, d. 31, q. 2, a. 3).

 

BIBLIOGRAFIA 

 

PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA, L'embrione umano nella fase del preimpianto, www.academiavita.org/template.jsp?sez=Documenti&pag=testo/embrio/embrio.
ELIO SGRECCIA, Manuale di Bioetica, Vita e Pensiero, varie edizioni, cap. 9.
GIORGIO MARIA CARBONE, L’embrione umano: qualcosa o qualcuno?, ESD, 2005.
AA.VV., Identità e statuto dell’embrione umano, LEV, 1998.
LINO CICCONE, La vita umana, Ares, 2000, pp. 101-125.

 

 

IL TIMONE  N. 72 – ANNO X – Aprile 2008 – pag. 30-31

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