Agli algoritmi dell’Intelligenza Artificiale serve l’uomo
Per un’etica dell’infosfera occorre ripartire dall’humanum. Altrimenti il rischio è la rimozione di qualsiasi presupposto metafisico, con la prospettiva di scenari post-umani, al limite del distopico
Il cellulare ci localizza e l’orologio conta i nostri passi, cuciniamo con Alexa e guidiamo con Maps, se abbiamo un dubbio chiediamo ai chatbot e facciamo dipendere la nostra autostima dai cuoricini accumulati su Instagram. Insomma, viviamo in un tempo “onlife”. Secondo Luciano Floridi, l’ideatore di questa espressione, non esiste oggi una vita online e una vita offline, ma solamente una vita onlife, perché siamo perennemente connessi. Sarà solo una questione di nuove abitudini?
In parte sì; ma uno sguardo più attento può accorgersi facilmente che è in ballo una revisione della nostra stessa identità e che un semplice strumento computazionale, se non adeguatamente arginato, può aprire derive assai problematiche sotto il profilo antropologico ed etico. Per mettere meglio a fuoco queste ed altre implicazioni dell’Intelligenza Artificiale, sul Timone di ottobre Giorgia Brambilla - docente di Etica sociale ed Etica dell’Intelligenza artificiale presso l’Università LUMSA di Roma -, firma un accurato approfondimento dal quale si ricava, anche in questa nuove e decisiva frontiera, l’indispensabilità dell’essere umano.
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