La fede in Dio, in Gesù Cristo e nella Chiesa va riportata al centro della nuova evangelizzazione. E ai giovani serve anche la testimonianza personale e comunitaria. Intervista con il card. Camillo Ruini
Quando il Figlio dell’Uomo tornerà, troverà ancora la fede… in Italia? Parafrasando – e localizzando geograficamente – il detto evangelico, qualche legittimo dubbio potrebbe pur sorgere. E l’Anno della Fede appare come l’occasione più adatta per scioglierlo. Chi però potrebbe farlo meglio, chi può essere più aggiornato se non colui che nell’ultimo ventennio e fino a non molto tempo fa è stato il responsabile della Conferenza episcopale italiana, ovvero il referente primo della Chiesa della Penisola? Il cardinale Camillo Ruini ha accettato di rispondere.
Eminenza: Italia “Paese cattolico”… Certamente lo è, almeno da un punto di vista anagrafico e storico. Ma oggi? Qual è il suo bilancio personale dopo tanti anni ai vertici dei vescovi della Penisola?
«Come tutti sanno, l’Italia oggi è caratterizzata da un abbastanza consistente pluralismo etnico e quindi anche religioso: le presenze principali sono quella musulmana e quella cristiana ortodossa, naturalmente quanto mai diverse tra loro per vicinanza al cattolicesimo. Il pluralismo secondo me più impegnativo è però dovuto all’espandersi tra i cattolici stessi delle aree della non fede o, praticamente, dell’indifferenza religiosa, oppure di un “fai da te” religioso che spesso convive con una certa pratica della religione cattolica. Coloro che si considerano cattolici e a modo loro sono convinti di esserlo rimangono comunque la maggioranza della popolazione e molti di questi lo sono anche in modo più personale e profondo. Un problema particolarmente grave è quello del mondo giovanile, dove il distacco dalla fede e dal cattolicesimo incide assai di più: per affrontarlo non basta trovare un linguaggio più comprensibile ai giovani, occorre soprattutto la testimonianza personale e comunitaria, come opportunità e come via che offriamo ai giovani per il loro incontro con il Signore».
Negli anni Settanta si parlava di una “crisi della fede” in senso negativo assoluto: si ricordi ad esempio lo slogan “Dio è morto”. Oggi pare invece che la fede abbia recuperato credibilità in sé, per gli individui e nella società, però si sia impoverita nei contenuti: vedi i tanti credo “fai-da-te” o il relativismo imperante. Qual è la sua analisi di ciò che è successo?
«Alla radice di questa problematica ci sono indubbiamente fattori sociali e culturali, ma c’è anche qualcosa di più profondo. In tante persone è venuta meno la fede nella verità della rivelazione di Dio in Gesù Cristo e quindi la fiducia in questa rivelazione e l’ubbidienza verso di essa. Possiamo dire che è stata compromessa così la struttura essenziale del cristianesimo. La mentalità e cultura relativiste, se assolutizzate, sono alternative e incompatibili con questa struttura: non si tratta dunque soltanto di questioni etiche e socio-politiche, ma di qualcosa che tocca il cuore della fede. Nella sostanza la medesima crisi riguarda quella che io chiamo la “struttura cattolica della Chiesa”. Essa aggiunge alla struttura del cristianesimo un anello ulteriore: la fede che la Chiesa parli in nome di Cristo e del Padre. Qui naturalmente entrano in gioco anche le tendenze anti-istituzionali del nostro tempo. A quest’ultimo aspetto della crisi si può rispondere non semplicemente con una sottolineatura dell’autorità della Chiesa, o anche di Dio. Occorre che la Chiesa sia percepita come comunione e fraternità, per poter restituire all’ubbidienza quel carattere soprannaturale (il teologo e cardinale Yves-Marie-Joseph Congar diceva “mistico”) senza il quale l’ubbidienza alla Chiesa non si regge».
Lei è stato un grande organizzatore della Chiesa in Italia. Talvolta, tuttavia, si ha l’impressione che tante strutture non aiutino la “vera” fede, anzi ne mascherino le reali debolezze. Qualche osservatore (anche tra i cosiddetti “conservatori”…) sostiene che nella Chiesa troppi uffici, tanti programmi e soprattutto troppi soldi non aiutano a credere di più, anzi. Che ne pensa?
«Questo pericolo è reale, ma c’è anche il pericolo opposto, quello di pensare alla fede e alla Chiesa in termini puramente spirituali, prescindendo dal loro aspetto sociale con tutte le sue implicazioni: direi che va evitato da una parte il “terrenismo”, dall’altra l’“angelismo”. Ad esempio, in Germania la Chiesa soffre probabilmente di un eccesso di mezzi, in Francia invece di una loro eccessiva carenza. Personalmente, sulla base della mia passata esperienza, ritengo che il rischio della burocratizzazione sia reale ma anche che l’efficienza concreta delle strutture ecclesiali sia bassa e dovrebbe essere migliorata. È essenziale comunque rimettere la fede al centro, in particolare nella catechesi e nella prassi sacramentale, che spesso sembrano presupporre quello che invece dobbiamo ricostruire o almeno fortificare: la fede in Dio e in Gesù Cristo e anche nella Chiesa».
E a proposito di “programmi”: non dovrebbe ogni anno essere l’“Anno della Fede”? Quali obiettivi lei vorrebbe che la Chiesa italiana raggiungesse tra 12 mesi?
«Per l’Anno della Fede vorrei un grande sforzo corale e ancor prima una grande invocazione al Signore, fatta di preghiera e di offerta di noi stessi. Il libro “Intervista su Dio”, che ho scritto con il vostro collaboratore Andrea Galli, spera di essere un piccolo contributo anche all’anno della fede. Dobbiamo riscoprire l’autentica realtà e missione per la Chiesa, che ci mette in contatto con Dio e con la sua verità: a questo scopo vanno approfondite le motivazioni intellettuali ma è soprattutto fondamentale, come dicevo prima, la testimonianza personale e comunitaria».
DA NON PERDERE
Camillo Ruini con Andrea Galli, Intervista su Dio. Le parole della fede, il cammino della ragione, Mondadori, Milano 2012, pp. 300, € 18,50.
«Dedicare la nostra intelligenza alla ricerca di Dio», si legge nel capitolo introduttivo di Intervista su Dio, libro intervista firmato dal cardinale Camillo Ruini e da Andrea Galli, giornalista di Avvenire e collaboratore del Timone, «non è l’unico modo per trovarlo, e nemmeno il più importante. È però un aspetto da cui non si può prescindere, se non vogliamo creare una frattura in noi stessi, per la quale con il desiderio del cuore possiamo essere credenti, ma l’intelligenza non sa il perché, o addirittura è convinta che di Dio non si possa sapere nulla, e forse non ci sia». In questa frase è racchiuso il senso del libro appena edito da Mondadori e qualcosa di più, forse. Dice Ruini che il problema di Dio, il fondamento del discorso teologico, insieme ovviamente alla verità del cristianesimo, «è stato sempre il centro dei miei interessi, non solo teologici ma umani e personali».
Il dialogo che si svolge per circa 300 pagine sembra la sintesi di riflessioni, letture, valutazioni maturate nel corso di molti anni, ma la cui elaborazione ultima e la sua stesura avevano bisogno della fine degli impegni ufficiali del presule emiliano, almeno quelli più onerosi, e di un tempo di decantazione.
Ruini, rispondendo alle domande dell’intervistatore, traccia un percorso possibile per una risalita a Dio che parte dalle ricerche sulla religiosità dell’uomo dell’antichità e passa per il problema annoso della secolarizzazione, messasi in moto con la fine dell’età medievale. «Il percorso dell’essere», legato allo stupore di esistere, «Il percorso della conoscenza della natura», legato alla nostra capacità di decifrare le leggi che regolano la realtà materiale, «il percorso della libertà», che ha a che fare con l’anelito dell’uomo all’infinito e al sommo bene, sono tre vie specifiche che Ruini indica come percorribili per chi oggi voglia risalire con la ragione a Dio. Uno sforzo verso l’alto che si compie pienamente nell’incontro con la rivelazione biblica, che sola dischiude il vero volto di Dio oltre che la certezza della sua esistenza, e a cui è dedicata l’ultima parte del libro. Si tratta di una lettura densa, propedeutica si può dire all’Anno della fede, e che permette di conoscere meglio anche la tempra apologetica di un cardinale per vent’anni al governo della Chiesa italiana.
Dossier: UN "ANNO DELLA FEDE"
IL TIMONE N. 116 – ANNO XIV – Settembre/Ottobre 2012 – pag. 42 – 43
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