La conversione di uno scienziato famoso, premio Nobel per la medicina, non credente e dunque scettico di fronte ai miracoli. Un giorno accompagna una malata terminale a Lourdes e assiste alla sua guarigione istantanea. E la sua vita cambia: aveva incontrato Dio.
Lione 1903: cosa può desiderare un giovane di trent’anni nel pieno della sua crescita professionale, un uomo che solo un anno prima ha scoperto un’importante ritrovato medico, un punto di sutura che rende più sicure le trasfusioni di sangue? Siamo nella Francia dei primi anni del ventesimo secolo, nel pieno della Terza Repubblica e del successo delle teorie positiviste; da quarantacinque anni, nel sud del-l’esagono, in un paese sperduto della Bigorre, avvengono fatti prodigiosi. Si dice e si legge di malati che improvvisamente e inspiegabilmente guariscono, di processioni continue di persone pellegrine da tutta Europa ai piedi di una Grotta. Anche uno scettico come Zola vi ha dedi-cato un libro ed ha parlato di fatti sbalorditivi. Come può un giovane studioso rimanere indifferente davanti a questo caso di vita?
Ed ecco la proposta inattesa per il giovane scettico Alexis Carrel: partire per Lourdes con un treno di malati per sostituire un medico suo conoscente. Non senza «ripugnanza» (sono sue parole) egli accetta, animato dalla curiosità intellettuale di raccogliere più informazioni possibili.
Ha così inizio una delle storie più famose legate al famoso Santuario mariano dei Pirenei: la conversione di Alexis Carrel, medico e ricercatore, insignito nel 1912 del Premio Nobel per la medicina. Di questa intensa esperienza il clinico francese ha lasciato testimonianza in un libretto intitolato Viaggio a Lourdes, la cui fortuna non si è mai spenta. È un diario in terza persona ove l’autore presenta il caso (il suo caso) calandolo nei panni del medico Lerrac. Il racconto che ne esce raffigura un pellegrinaggio le cui modalità non sono tanto diverse rispetto a quelle dei giorni nostri: il lungo viaggio in treno, i ritardi, il disagio per gli ammalati stipati nei diversi scompartimenti, l’ac-coglienza all’Hopital dei Sette Dolori, le funzioni che regolano la giornata del pellegrino, il bagno alle piscine, le incessanti, continue preghiere ed invocazioni.
Carrel-Lerrac si trova subito coinvolto nel pieno della vita del pellegrinaggio; deve più volte intervenire nel corso del lungo viaggio per lenire il dolore dei pazienti. Lerrac si pone da principio la domanda comune a ogni positivista: «quelli che sperano nella guarigione, che hanno sofferto i dolori di questo lungo viaggio, quelli devono morire di disperazione e di fatica quando le loro speranze sono cadute?». Viene colpito da una malata, Maria Bailly: è un caso clinico senza speranza. Qualche giorno prima di partire per Lourdes il chirurgo che l’ha in cura si era rifiutato di operarla; la paziente aveva manifestato lo stesso il desiderio di partire in pellegrinaggio «soffro tanto, ma sono felice di essere venuta».
Carrel-Lerrac è impressionato dal clima che si respira durante il viaggio a Lourdes: «questo treno da pellegrinaggio sembrava un treno di piacere».
Nel frattempo il viaggio di Maria Bailly si rende sempre più drammatico, i collassi si susseguono, le iniezioni di morfina e caffeina di Carrel-Lerrac servono solo a lenire provvisoriamente il dolore. Il suo è un caso di peritonite tubercolare all’ultimo stadio; manca poco alla morte certa. Arrivato a Lourdes Carrell-Lerrac è impressionato dalla scia continua di malati in condizioni disperate che si recano alle piscine, ma durante un dialogo con un amico confessa come «mi è difficile affermare a priori tanto la possibilità del miracolo, quanto la sua impossibilità».
Per il medico il miracolo sarebbe «la guarigione improvvisa da una malattia organica, una gamba tagliata che rinasce, un cancro scomparso, una lussazione congenita che improvvisamente guarisce»; per lo scettico Carrel-Lerrac solo quattro dei casi incontrati potrebbero rispondere a queste caratteristiche.
Il caso che più ha colpito ed interessato il giovane clinico di Lione è ovviamente Maria Bailly: «se guarisse questa ammalata sarebbe un vero miracolo». Dall’ospedale i pazienti sono pronti per recarsi alle piscine; Maria Bailly è in condizioni sempre più gravi e disperate; non riesce più a parlare, i dolori sono lancinanti, si ha paura che possa morire durante il tragitto o alla Grotta. Davanti alle incertezze dei dottori sul da farsi, ecco la considerazione disarmante della suora che ha in cura la paziente: «questa giovane non ha più nulla da perdere… Che muoia oggi o fra qualche giorno non importa gran che. Sarebbe crudele rifiutarle la suprema grazia di essere portata alla grotta». Una frase che ancora oggi ha la sua attualità, considerando la preoccupazione per i malati più gravi, specie quelli all’ultimo stadio, che accompagna sempre chi deve affrontare i viaggi della speranza.
In Carrel-Lerrac sta avvenendo un cambiamento, sorge spontanea una preghiera: «come vorrei credere, con tutti questi disgraziati, che voi non siete solo un’eletta fonte, creata dai nostri cervelli, o Vergine Maria». Maria Bailly intanto è entrata alle piscine; le suore incaricate di immergerla hanno deciso di bagnarle solamente il ventre, la sua condizione non permette diversamente.
Dopo il bagno i malati vengono accompagnati alla Grotta per una preghiera d’intercessione; Carrel-Lerrac si avvicina alla sua malata. Il viso di lei ha cambiato aspetto, la respirazione rallenta, gli occhi si fanno di momento in momento sempre più vivi e brillanti, la coperta che copre il ventre si abbassa a poco a poco. Lerrac-Carrel pensa di essere preda di allucinazioni, di impazzire, impallidisce; si rende conto di essere testimone di una guarigione improvvisa e inspiegabile. Maria Bailly ora parla, si muove, beve tutta d’un soffio una tazza di latte. Nel visitarla il medico nota che la pelle della ma-lata è diventata bianca e liscia, il ventre si è fatto piccolo, l’addome è diventato morbido e trattabile. Nella mente di Lerrac-Carrel incominciano ad affollarsi diversi pensieri: l’errore sull’analisi, una guarigione apparente, un’opera di autosuggestione, ma tutto viene a cadere davanti all’evidenza: la malata è guarita improvvisamente, inspiegabilmente.
Nella notte, entrando in Basilica, restando solo con i suoi pensieri, dal cuore di Carrel-Lerrac sorge una preghiera di ringraziamento: «Io credo in Voi. Voi avete voluto rispondere al mio dubbio con un miracolo manifesto. Io non so vederlo, io dubito ancora. Ma il mio desiderio più vivo… è di credere, perdutamente, ciecamente credere, senza più discutere, senza criticare… Sotto i consigli profondi e duri del mio orgoglio intellettuale giace, disgraziatamente ancora soffocato, un sogno, il più affascinante di tutti i sogni, quello di credere in Voi, di amarvi come i frati dell’anima candida».
Un altro miracolo, forse più nascosto, si è appena manifestato.
IL TIMONE – N.64 – ANNO IX – Giugno 2007 pag. 52-53