AMARE SORPRESE
Quando in occasione del Natale vi verrà richiesto un contributo economico, prestate attenzione a chi ve lo chiede.Perché dietro a sigle conosciute come benefattrici dell’umanità a volte si celano organizzazioni diventate ostili al diritto alla vita. Alcuni esempi
Dietro il buonismo, si possono nascondere orrori. Prudenza vuole che ormai, prima di acquistare anche un semplice biglietto di auguri, siamo costretti a svolgere una verifica preliminare. Altrimenti rischiamo che le nostre buone intenzioni siano dirottate verso campagne che non hanno proprio nulla a che fare con la beneficenza. Anzi.
L’Unicef
Tra le agenzie internazionali che si occupano della condizione dei bambini sofferenti, la più nota è forse l’Unicef, cioè il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia. Era nata nel 1946 per venire incontro al disagio delle vittime più indifese della Seconda Guerra Mondiale, i piccoli che avevano perduto i genitori e i parenti. Poi, nel 1965, la premiano con il Nobel per la Pace.
E si sa che il successo dà alla testa. Così, al termine di un percorso ininterrotto di involuzione ideologica, si scopre che l’Unicef, nel proprio rapporto annuale 2013, diffuso nel giugno scorso, ha incluso anche «la garanzia di accesso universale a informazione e diritti sulla salute riproduttiva e sessuale», anche per i minori, cioè la fascia di età che va dai 10 ai 19 anni (cfr. United Nations Children’s Fund, Annual Report 2013, giugno 2014 www.unicef.org/publications/files/UNICEF_Annual_Report_2013_web_26_June_2014.pdf, p. 26).
Nel 2009 l’Unicef era stata ancora più specifica e temeraria nella proposta di «servizi confidenziali» in materia, da svolgersi quindi anche senza il consenso dei genitori. Poi qualche gruppo pro-life, innanzitutto lo statunitense C-FAM, ossia il Center for Family & Human Rights di New York City e di Washington Dc, è intervenuto evidenziando e criticando pubblicamente il progetto. A quel punto, la formulazione si è fatta meno esplicita, pur rimanendo insidiosamente ambigua poiché il concetto di salute riproduttiva e sessuale notoriamente implica l’accesso alla contraccezione (anche d’emergenza, cioè alla pillolakiller del “giorno dopo”) e all’aborto. Peccato solo che, quando vanno a caccia di offerte, i volontari dell’Unicef non facciano alcun cenno alla questione. Forse perché nemmeno loro sono pienamente al corrente del genere di opere compiute grazie al denaro che raccolgono. Sarebbe interessante comunque porre loro un quesito sul
punto, nel momento in cui ci interpellano per la questua.
Save the Children
Si potrebbe estendere lo stesso sforzo di coscientizzazione nei confronti di chi spende tempo ed energie per altre organizzazioni, come Save the Children. Oltre quella sigla programmatica, che indica il nobile scopo di “salvare i bambini”, si nasconde infatti una campagna globale che punta a diffondere la pianificazione familiare, cioè il ricorso alle solite tecniche contraccettive e abortive. Nell’ultimo rapporto pubblicato dalla loro filiale italiana, presentato alla stampa il 6 ottobre 2014 (Nati per morire. L’indice del rischio di mortalità mamma-bambino, a cura di Chiara Saturnino, Save the
ChildrenItalia onlus, Roma ottobre 2014, http://images.savethechildren.it/IT/f/img_pubblicazioni/img247_b.pdf?_ga=1.87300945.831390403.1414142869), si denuncia che ogni anno 6,3 milioni di bambini sotto i cinque anni muoiono e che tra questi 2,8 milioni sono neonati. Per risolvere il problema, indicano, fra le altre, anche una soluzione piuttosto drastica: basta non farli nascere.
Così, si indicano gli obiettivi da conseguire per abbattere l’indice di rischio mortalità mamma-bambino. Per indorare la “pillola”, si procede accostando il banco di scuola, un onesto impiego e la sala operatoria, cioè i diritti all’istruzione e al lavoro e la cultura della morte. A pagina 30, si spiega che «dove la disuguaglianza di genere è ancora profonda, la donna non ha pieno accesso alle risorse o pieno potere decisionale su scelte legate ad esempio all’istruzione o alla sua salute riproduttiva.
Dove invece il gender gap è meno rilevante, è più alta l’attenzione nei confronti della scolarizzazione della popolazione femminile, è più facile l’accesso ai servizi di salute riproduttiva e la possibilità di scelta in ambito lavorativo». Come se studiare, guadagnarsi dignitosamente da vivere e uccidere fossero attività equivalenti, insomma.
Sulla scia già tracciata dall’Unicef, anche Save the Children afferma che prima si impara a sbarazzarsi dei figli e meglio è. Sulla base della loro esperienza, infatti, riferiscono a p. 34, «una lezione che questi 14 anni hanno insegnato è che evitare le morti di mamme e bambini non è solo combattere il fenomeno, ma anche prevenirlo. La relazione, messa in evidenza dall’Indice, tra salute materna e infantile si traduce infatti anche nell’educare adolescenti e mamme alla salute sessuale e riproduttiva (…)». Se si trascura l’identificazione fra la gravidanza e il male da prevenire, tutto appare strettamente logico e razionale.
Del resto, l’ideale proposto a p. 23 «sono Stati come la Danimarca e la Norvegia», nei quali «risulta più agevole anche l’accesso ai servizi di pianificazione familiare, alle informazioni su eventuali rischi che possono incorrere nel corso della gravidanza e sulle corrette misure per affrontarla in salute». Uno scenario apparentemente lindo e asettico, al cui interno tuttavia, fa notare criticamente l’associazione Generazione Voglio Vivere, si consuma quotidianamente un massacro in nome dell’eugenetica:
«Ci permettiamo di ricordare che la Danimarca è lo stesso Paese il cui governo nel 2004 impresse una forte spinta alla possibilità di ricorrere gratuitamente alle diagnosi prenatali, per l’identificazione e la conseguente eliminazione a mezzo aborto, dei nascituri “difettosi”.
Obiettivo: quello di raggiungere il primato di unico Paese al mondo Down Syndrome Free». Il nobile scopo delle istituzioni scandinave, quindi, consisterebbe nel far sparire dalla circolazione, prima ancora che vengano al mondo, i bambini affetti dalla sindrome di Down. E qualcuno li considera anche esempi da seguire.
Amnesty International
Occorre stare in guardia, quindi, perché può capitare anche che realtà nate sotto ottimi auspici poi prendano direzioni del
tutto opposte a quella iniziale. È la sconcertante metamorfosi descritta sul Foglio del 18 ottobre 2014 da Giulio Meotti riguardo ad Amnesty International, fondata nel 1961 dal cattolico Peter Benenson.
All’ideale di partenza, la difesa dei perseguitati politici, si sono via via aggiunte altre battaglie cosiddette “civili”, fino a comprendere in quel novero l’aborto e l’eutanasia.
Va da sé che, come è stato rilevato recentemente sulla Nuova Bussola Quotidiana (cfr. Stefano Magni, Anche Amnesty
dimentica i cristiani dell’Iraq, www.lanuovabq.it/it/articoli-anche-amnesty-dimentica-i-cristiani-delliraq-10213.htm,
3 settembre 2014; Luigi Santambrogio, Macché Califfo. Per Amnesty il pericolo è l’omofobia, www.lanuovabq.it/it/articoli-macche-califfo-per-amnesty-il-pericolo-e-lomofobia-10622.htm, 15 ottobre 2014), un tale processo di allontanamento dalle origini abbia condotto ad anteporre l’impegno contro l’omofobia e la transfobia alla tragedia dei cristiani perseguitati in Iraq, completamente dimenticata.
Ora appare ancora più puntuale il richiamo insistente di papa Francesco a evitare che la Chiesa si riduca a un’organizzazione non governativa. A partire da quell’intuizione profonda del Pontefice, ci si può soffermare da un lato sulla necessità di non mettere da parte l’origine e la destinazione soprannaturale del Corpo mistico di Nostro Signore Gesù Cristo, come anche dall’altro addentrarsi nelle dinamiche storiche e ideologiche di alcune ONG. Le sorprese, in questo secondo caso, si rivelano sgradevolmente numerose.
Talvolta, quando con un inglesismo le chiamano charities, diamo per scontato che, ognuna a suo modo, le realtà del volontariato pratichino la virtù della carità. A noi non rimane che esercitare la vigilanza, per analizzare scrupolosamente i loro programmi e i loro proclami. Soprattutto in prossimità del Natale di Nostro Signore Gesù Cristo, per non trasformarci inconsapevolmente in seguaci di Erode. â–
Il Timone – dicembre 2014