La Sindone, per la seconda volta nel III millennio cristiano, verrà solennemente mostrata.
È necessario mettersi in viaggio e ripercorrere, in qualche modo, l’esperienza di Abramo, padre di tutti i credenti. La ricerca di senso, che precede la fede, è sicuramente come un viaggio di uscita dalle proprie convinzioni. I credenti in Cristo dovrebbero sapere poi che questo tipo di itinerario si configura come un cammino di rinascita dall’alto, dall’acqua e dallo Spirito, come insegna Gesù all’anziano Nicodemo, notturno investigatore di senso e di pienezza.
Sentiamoci come Nicodemo, immagine e metafora dell’umanità in ricerca. Egli, coraggioso nonostante le avversità, affronta i perigli della notte, gli ostacoli esterni e interiori, le paure che gli impediscono di trovare le risposte a quelle domande sorte in lui, e cerca di esaudire il desiderio di conoscere ciò che conta di più, il fondamento, l’essenziale. Curiamo anche noi questo atteggiamento credente.
Facciamo parlare in noi il desiderio di capire, di conoscere il Signore. Chiediamoci che cosa può dire la Sindone a un’umanità che sembra così sbandata, che vive in una società paurosamente complessa, piena di contraddizioni, di aneliti e di conquiste di vere e presunte libertà, a un mondo inquietante, ma affascinante perché sempre più unito, in comunicazione, in rete.
Prendiamo coscienza che la condizione essenziale del cristiano è quella del “pellegrino” che accoglie la provvisorietà della propria esistenza rigettando la paura della morte e sorridendo quotidianamente al respiro della vita che riempie, senza accorgersene, i polmoni e che permette a ciascuno di continuare a percorrere la strada dell’esistenza.
Diventiamo consapevoli che siamo di passaggio e, per questo, sempre pronti alla vita, capaci di accogliere ogni gesto, ogni momento, ogni situazione come un dono inestimabile della Grazia e della Misericordia di Dio. Il “passaggio” è una prospettiva Pasquale, per antonomasia.
La nostra epoca moderna, tecnologizzata, piena di immagini, di “selfie”, di apparenze travestite da realtà, ci offre anche la possibilità di conoscere approfonditamente la Sindone, quasi che il Signore Gesù l’avesse concepita (perché se quell’immagine è Nostro Signore Gesù Cristo possiamo dire con certezza che non è capitata su quel telo per un caso) proprio per l’uomo della modernità, ubriaco di immagini che gli scorrono vorticosamente davanti agli occhi e che provano a distrarlo, ogni attimo, da sé stesso e dalla propria ricerca di verità e di senso.
Ci metteremo in viaggio, dunque, credenti e non credenti, per andare a vedere la Sindone. La vedremo a distanza di qualche metro, perché solo in questo modo potremo coglierne i contorni, la bellezza, l’armonia, la pienezza.
Lasceremo che quest’immagine, fissata misteriosamente sul lenzuolo reliquiario intriso di sangue umano, parli al nostro cuore, alla nostra mente, alla nostra persona. Lasciamoci emozionare, interrogare, commuovere da quel corpo che parla inesorabilmente di morte, di sofferenza. Contempliamo con gli occhi della fede e con l’intelligenza dell’umana ragione, L’uomo martoriato, distorto e composto della rigidità cadaverica, quel fisico importante, impegnativo, quella corporalità innegabilmente umana, sospesa fra la vita vissuta e la morte, accertata dall’evidente e impressionante lacerazione al costato dal quale sgorgò il sangue bicolore sieroseparato. Lasciamoci meravigliare da questo telo di morte, senza traccia di corruzione e ombra di putrefazione, nel quale nessuna fibra fu alterata dai processi chimici tipici del deterioramento dei corpi. â–
Il Timone – Marzo 2015