1809. Nel Tirolo invaso dalle truppe napoleoniche esplode una nuova insorgenza popolare. La guida un laico cattolico, ricco di fede e di coraggio. Per difendere la religione e la propria terra.
Negli ultimi vent’anni la storiografia e, in parte, il grande pubblico hanno riscoperto l’Insorgenza, la spontanea resistenza delle popolazioni italiane ed europee all’invasione delle idee e degli eserciti della Rivoluzione francese.
Fra queste guerre di popolo vogliamo ricordare l’insorgenza tirolese del 1809, che ha il suo antefatto nel trattato di Presburgo (26 novembre 1805), col quale l’Austria, sconfitta ad Austerlitz, dovette cedere alla Baviera, alleata di Napoleone, il Tirolo, che allora includeva il Trentino e anzi aveva in Trento il suo centro religioso e spirituale. All’atto di giurare fedeltà al nuovo sovrano i delegati tirolesi avevano ottenuto l’impegno al rispetto dei loro tradizionali privilegi e, in particolare, alla libera pratica della religione, però ben presto disatteso dalla politica anticattolica del primo ministro bavarese, l’“illuminato” marchese Giuseppe di Montgelas.
Di conseguenza, quando nel 1809 Vienna intraprese una nuova guerra, l’insofferenza fino ad allora a stento trattenuta esplose in una dirompente e totale insurrezione, che non solo ebbe rapidamente ragione delle truppe bavaresi, ma anche degli stessi francesi accorsi a sostegno dell’alleato e costretti già il 12 aprile a lasciare agli insorti Innsbruck, il principale centro della regione.
Alle vittorie in Tirolo fece però riscontro il 12 luglio la decisiva sconfitta patita a Wagram dall’Austria, costretta a subire l’armistizio di Zuaim, seguito il 14 ottobre dalla pace di Vienna che, oltre al Tirolo, le toglieva alcune delle sue più belle province. Tuttavia, pur privati dell’appoggio delle armate austriache e costretti a lasciare Innsbruck (31 luglio), i tirolesi non vollero abbandonare una lotta che per loro non aveva solo motivazioni politiche e militari. Riorganizzatisi, ripresero l’iniziativa e il 15 agosto, dopo una furibonda battaglia preceduta dalla Santa Messa celebrata dal cappuccino Gioacchino Haspinger e dalla comunione di tutti i combattenti, liberarono per la seconda volta Innsbruck, che tennero fino al 25 ottobre, quando il Tirolo, unica superstite isola di resistenza, era ormai tutto circondato dalle armate francesi.
La Tirol’s Erhebung ha un posto di primissimo piano nel quadro politico-militare delle insorgenze antirivoluzionarie sia per il suo protrarsi anche dopo la sconfitta dell’Austria sia per le tre vittorie conseguite dagli insorti in battaglie in campo aperto (le più difficili per i volontari contro eserciti ben armati, disciplinati ed addestrati), ma è stata solo marginalmente toccata dalla riscoperta italiana delle resistenze popolari all’invasione francese nonostante la corale partecipazione dei tirolesi italiani e il suo rapido propagarsi, frutto di un comune sentire, a gran parte dell’Italia settentrionale. Ancora meno conosciuto, al di fuori del Trentino-Alto Adige, il principale protagonista e simbolo di quella resistenza, Andreas Hofer, un oste di Sand, un paese della val Passiria. Questa persistenza dell’oblio si spiega in parte col concentrarsi dell’attenzione della storiografia italiana in particolare sulla resistenza alla prima invasione francese (1796-1799), quando Napoleone era soltanto un generale del Direttorio, e, ancor più, con la trasformazione di Hofer nel corso del XIX secolo in un preteso campione del nazionalismo germanico.
In realtà, le insorgenze del 1809-1810 sono altrettanto significative di quelle del 1796-99, perché dimostrano come Napoleone, allora al culmine della potenza e della gloria, non riuscì mai a conquistarsi il favore delle masse popolari, che in tutta Europa continuavano a vedere in lui il campione di una rivoluzione nemica mortale del Cristianesimo e, in particolare, della Chiesa cattolica. La figura di Hofer, che di questo sentimento cristiano è forse il più puro rappresentante, è stata invece fagocitata e strumentalizzata dal nascente romanticismo prussiano. Questo, dimentico che l’insurrezione del Tirolo era diretta anzitutto contro il tedeschissimo governo bavarese, volle colorare di nazionalismo germanico una lotta intrapresa «per Dio, l’Imperatore, la Patria», un motto che oggi, dopo due secoli di virulenti nazionalismi, può prestarsi ad equivoci, ma che allora, illuminato dal primo posto tributato a Dio, riusciva inequivocabile. Non per nulla fin dal 1896, al primo manifestarsi del pericolo rivoluzionario, il Tirolo si era consacrato al Divino Cuore di Gesù, una consacrazione tutt’altro che formale e grandemente partecipata come testimonia una iscrizione ancora presente proprio nella casa di Hofer: «Nell’anno 1802 si fece il voto di celebrare ogni anno in questo luogo la festa del dolcissimo Cuore di Gesù e la festa di San Francesco Saverio».
La motivazione essenzialmente religiosa della sollevazione viene costantemente ribadita da Hofer, che alla volontà divina riporta vittorie e sconfitte e che in un momento drammatico, quando lo sconforto invade gli animi, ricorda ai compaesani che «si tratta di religione e di Cristianesimo».
Il continuo richiamo ai principi della fede cattolica non ha però nulla di strumentale. Ad essi, con un rigore che in tempi di dilagante relativismo può perfino apparire eccessivo, Hofer si ispira anche quando, nei circa due mesi di tranquillità seguiti alla seconda liberazione di Innsbruck, deve, nella sua qualità di Oberkommandant del Tirolo, assumerne anche la guida civile ed amministrativa.
Sono questa coerenza nella fede e questo totale abbandono alla volontà di Dio a fare giganteggiare la figura di Hofer anche (forse ancor più) nel momento della sconfitta, della prigionia, della morte.
A dicembre 1809 la grande preponderanza delle armate franco-bavaresi segna la fine dell’Insorgenza, schiacciata con una ferocia che non concede scampo nemmeno ai non combattenti.
Molti dei capi riparano in Austria o in Svizzera. Hofer, sollecitato a seguirne l’esempio, non vuole lasciare i compaesani del cui destino si sente responsabile e si ritira con la moglie e il figlio Giovanni in un maso della sua Passiria.
Qui, tradito da un certo Josef Raffl, viene catturato la notte del 27 gennaio 1810. Condotto in catene a Mantova, è sottoposto ad un processo-farsa, il cui esito è già stato fissato da Napoleone, che ha ordinato al Viceré Eugenio Beauharnais di «giudicarlo e fucilarlo sul posto dove arriverà il vostro ordine. Che tutto venga conchiuso in ventiquattro ore». Hofer viene fucilato il 20 febbraio fra la commozione dei mantovani, che vedono in lui non il tedesco, ma il fratello cristiano, il combattente contro il comune nemico e hanno raccolto denaro per la sua difesa nella illusoria speranza di un esito favorevole del processo.
Mutati i tempi, rimane l’esempio grande della fede e dell’impegno di un eroe cristiano, che poco meno di 170 anni dopo la sua morte Papa Luciani, quando era ancora Patriarca di Venezia, incluse fra gli “Illustrissimi” della sua corrispondenza per indirizzare a lui e ai suoi montanari una lettera, ricordando che «Al tempo della Vostra insurrezione tirolese parecchi vescovi, per timore od interesse, passavano dalla parte di Napoleone strapotente. Voi del Tirolo invece resistevate a Napoleone e ai suoi amici, stando dalla parte di Pio VII, che, proprio in quel 1809, lanciava contro Napoleone la scomunica e, arrestato dai francesi, da Roma veniva tradotto in esilio a Savona».
IL TIMONE – N. 44 – ANNO VII – Giugno 2005 – pag. 28-29