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12.12.2024

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Apocalisse
31 Gennaio 2014

Apocalisse



«Rivelazione di Gesù Cristo, al quale Dio la consegnò per mostrare ai suoi servi le cose che dovranno accadere tra breve. Ed egli la manifestò, inviandola per mezzo del suo angelo al suo servo Giovanni, il quale attesta la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo, riferendo ciò che ha visto. Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e custodiscono le cose che vi sono scritte: il tempo infatti è vicino» (Ap 1,1-3)




Chi non vorrebbe sapere «le cose che dovranno accadere tra breve»? Soprattutto nei momenti di crisi, questo bisogno si fa prepotente e anche tentante. Quante persone consultano l’oroscopo, magari dicendo a se stessi e agli altri che non ci credono, ma lo consultano lo stesso. In certi momenti terribili il bisogno si fa così urgente che non si teme di andare direttamente dal mago o dalla maga, personaggi d’altri tempi si sarebbe tentati di dire, che sono invece personaggi ben presenti e ben radicati nel nostro tempo.
C’è un libro della Bibbia che ci parla proprio di questo. È il libro conclusivo che si intitola “Apocalisse”, cioè “Rivelazione”, il quale ci dispiega davanti tutto lo svolgersi della storia, fino alla fine dei tempi e alla sua conclusione. In questa grande storia è racchiusa anche la nostra piccola storia, che però – per noi – è la parte più interessante, perché ci riguarda da vicino. Questo libro è dunque un libro profetico, perché ci permette di gettare lo sguardo sulle vicende della storia sorretti e illuminati dalla luce del Creatore della storia, di Colui che è «l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!» (Ap 1,8). Questa storia non è un groviglio inestricabile e assurdo di eventi, non è cioè abbandonata al caso, ma è guidata e condotta in modo armonico dall’azione di Colui che ha creato il mondo in modo tale da risultare un poema bellissimo e affascinante. In questo poema ci sono tanti attori i quali agiscono liberamente. Il Direttore è così bravo che, pur rispettando in tutto e per tutto le loro libertà, riesce a condurre a termine la rappresentazione secondo i suoi piani. Al centro c’è l’attore protagonista: «vidi, in mezzo al trono, circondato dai quattro esseri viventi e dagli anziani, un Agnello, in piedi, come immolato» (Ap 5,6). La sua azione vittoriosa è il cuore di tutta la vicenda: «L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione» (Ap 5,12).
Ma c’è un altro attore (non spettatore!) importante: sono io. Io con la mia libertà, che di tutte le cose mie è la più mia di tutte. Senza la mia libertà, io non sarei più io. Ecco perché lo spettacolo delle «cose che dovranno accadere tra breve» non è una pura e semplice (nel contesto direi: grossolana) fotografia. Non si può fotografare ciò che ancora deve essere e ciò che certamente dipende da Dio, ma anche dalla mia libertà. Ecco perché la profezia dell’Apocalisse è “apocalittica”, cioè si dispiega in una visione che è strutturalmente simbolica. Una miriade di simboli che rimandano, alludono, significano ma non “fotografano”.
Quello che deve succedere lo decido anch’io, con la mia libertà. Sono davanti a una scelta: con l’Amore o contro l’Amore. Con l’Agnello o contro di lui. Non si può stare in disparte a guardare, facendo gli spettatori fuori dal palcoscenico. No! Siamo anche noi attori, sotto la luce dei riflettori. Quello che ora facciamo di nascosto un giorno sarà rivelato perché è già sotto la luce di Dio.
Lo spettacolo dell’Apocalisse lo possiamo vedere anche noi per così dire “in anteprima”. Come si fa? Basta andare a Messa, magari proprio «nel giorno del Signore » (Ap 1,10). Gli esegeti più attenti si sono da tempo accorti che l’Apocalisse è un’azione liturgica, fatta di dialoghi ed acclamazioni (a cui si risponde “Amen”), con altare, incenso, letture e canti: «Poi venne un […] angelo e si fermò presso l’altare, reggendo un incensiere d’oro. Gli furono dati molti profumi, perché li offrisse, insieme alle preghiere di tutti i santi, sull’altare d’oro, posto davanti al trono » (Ap 8,3).
Anche la liturgia è simbolica. Si può dire anzi che tutto in essa è simbolo. I suoi gesti, i suoi oggetti, i suoi paramenti, lo spazio in cui si svolge non “serve” rigorosamente a nulla. Quando il sacerdote si lava le mani non usa il sapone… Quando non siamo più capaci di leggere i simboli come simboli è un brutto segno, vuol dire che stiamo diventando idolatri, cioè ci fermiamo alla cosa, al gesto e non sappiamo più andar al di là: «Fuori […] gli idolatri […]» (Ap 22,15).
C’è un punto nella celebrazione in cui apparenza e realtà misteriosamente “coincidono”: quando la presenza del Signore e del suo sacrificio vittorioso si fa “reale” nel pane e nel vino consacrati. A quel punto possiamo dire in assoluta verità: «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20), cioè Maràna tha (1Cor 16,22), che può essere tradotto anche: «Il Signore è qui» (Maràn atha).
A ogni Messa possiamo assistere alla vicenda centrale della Storia, la vittoria dell’Agnello come immolato e così giocare la nostra libertà con lui e per lui.

IL TIMONE N. 127 – ANNO XV – Novembre 2013 – pag. 60

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