Chi non vorrebbe sapere «le cose che dovranno accadere tra breve»? Soprattutto nei momenti di crisi, questo bisogno si fa prepotente e anche tentante. Quante persone consultano l’oroscopo, magari dicendo a se stessi e agli altri che non ci credono, ma lo consultano lo stesso. In certi momenti terribili il bisogno si fa così urgente che non si teme di andare direttamente dal mago o dalla maga, personaggi d’altri tempi si sarebbe tentati di dire, che sono invece personaggi ben presenti e ben radicati nel nostro tempo.
C’è un libro della Bibbia che ci parla proprio di questo. È il libro conclusivo che si intitola “Apocalisse”, cioè “Rivelazione”, il quale ci dispiega davanti tutto lo svolgersi della storia, fino alla fine dei tempi e alla sua conclusione. In questa grande storia è racchiusa anche la nostra piccola storia, che però – per noi – è la parte più interessante, perché ci riguarda da vicino. Questo libro è dunque un libro profetico, perché ci permette di gettare lo sguardo sulle vicende della storia sorretti e illuminati dalla luce del Creatore della storia, di Colui che è «l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!» (Ap 1,8). Questa storia non è un groviglio inestricabile e assurdo di eventi, non è cioè abbandonata al caso, ma è guidata e condotta in modo armonico dall’azione di Colui che ha creato il mondo in modo tale da risultare un poema bellissimo e affascinante. In questo poema ci sono tanti attori i quali agiscono liberamente. Il Direttore è così bravo che, pur rispettando in tutto e per tutto le loro libertà, riesce a condurre a termine la rappresentazione secondo i suoi piani. Al centro c’è l’attore protagonista: «vidi, in mezzo al trono, circondato dai quattro esseri viventi e dagli anziani, un Agnello, in piedi, come immolato» (Ap 5,6). La sua azione vittoriosa è il cuore di tutta la vicenda: «L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione» (Ap 5,12).
Ma c’è un altro attore (non spettatore!) importante: sono io. Io con la mia libertà, che di tutte le cose mie è la più mia di tutte. Senza la mia libertà, io non sarei più io. Ecco perché lo spettacolo delle «cose che dovranno accadere tra breve» non è una pura e semplice (nel contesto direi: grossolana) fotografia. Non si può fotografare ciò che ancora deve essere e ciò che certamente dipende da Dio, ma anche dalla mia libertà. Ecco perché la profezia dell’Apocalisse è “apocalittica”, cioè si dispiega in una visione che è strutturalmente simbolica. Una miriade di simboli che rimandano, alludono, significano ma non “fotografano”.
Quello che deve succedere lo decido anch’io, con la mia libertà. Sono davanti a una scelta: con l’Amore o contro l’Amore. Con l’Agnello o contro di lui. Non si può stare in disparte a guardare, facendo gli spettatori fuori dal palcoscenico. No! Siamo anche noi attori, sotto la luce dei riflettori. Quello che ora facciamo di nascosto un giorno sarà rivelato perché è già sotto la luce di Dio.
Lo spettacolo dell’Apocalisse lo possiamo vedere anche noi per così dire “in anteprima”. Come si fa? Basta andare a Messa, magari proprio «nel giorno del Signore » (Ap 1,10). Gli esegeti più attenti si sono da tempo accorti che l’Apocalisse è un’azione liturgica, fatta di dialoghi ed acclamazioni (a cui si risponde “Amen”), con altare, incenso, letture e canti: «Poi venne un […] angelo e si fermò presso l’altare, reggendo un incensiere d’oro. Gli furono dati molti profumi, perché li offrisse, insieme alle preghiere di tutti i santi, sull’altare d’oro, posto davanti al trono » (Ap 8,3).
Anche la liturgia è simbolica. Si può dire anzi che tutto in essa è simbolo. I suoi gesti, i suoi oggetti, i suoi paramenti, lo spazio in cui si svolge non “serve” rigorosamente a nulla. Quando il sacerdote si lava le mani non usa il sapone… Quando non siamo più capaci di leggere i simboli come simboli è un brutto segno, vuol dire che stiamo diventando idolatri, cioè ci fermiamo alla cosa, al gesto e non sappiamo più andar al di là: «Fuori […] gli idolatri […]» (Ap 22,15).
C’è un punto nella celebrazione in cui apparenza e realtà misteriosamente “coincidono”: quando la presenza del Signore e del suo sacrificio vittorioso si fa “reale” nel pane e nel vino consacrati. A quel punto possiamo dire in assoluta verità: «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20), cioè Maràna tha (1Cor 16,22), che può essere tradotto anche: «Il Signore è qui» (Maràn atha).
A ogni Messa possiamo assistere alla vicenda centrale della Storia, la vittoria dell’Agnello come immolato e così giocare la nostra libertà con lui e per lui.
IL TIMONE N. 127 – ANNO XV – Novembre 2013 – pag. 60
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