Che differenza tra i campioni del laicismo illuminista e la Chiesa. Di fronte a essere umani nati con deformità, i primi predicano – e praticano – disprezzo e discriminazione. La seconda accoglie, cura, educa e soprattutto ama
La Chiesa e i “mostri”: i malati teratologici. Ossia gli afflitti da gravi deformità e anomalie fisiche congenite o acquisite. Coloro che per eccellenza facevano spavento. Pure questi si è cercato di usare contro la storia della Chiesa matrigna e per magnificare invece la “società laica”, pietosissima. Vediamo come stanno davvero le cose.
Voltaire
Partiamo dal padre spirituale di laicisti e illuministi: Voltaire. Nel suo arcinoto e in realtà poco letto Dictionaire Philosophique, il gran burlone fin troppo preso sul serio si interroga su quando la medicina possa definire “mostro” un essere umano nato con delle anomalie. «Se a un uomo ben fatto mancano quattro dita dei piedi, lo chiameremo un mostro?», e generosamente ammette che la mancanza di certi organi, così come l’eccesso di dita, di altri organi o ghiandole, di per sé non costituisce “prova di mostruosità”.
Poi, con fare distratto, come suo costume, getta una pietra contro la Chiesa (ne è ossessionato) e nasconde la mano. Tirando in ballo anche Locke, si domanda quale sia il “limite”, nell’ottica della scienza che studia le anomalie nello sviluppo animale, la teratologia, oltre il quale più che parlare di “mostri” (ed ecco l’esca avvelenata) si possa “negare il battesimo a un neonato e respingerlo nell’animalità”.
Voltaire, anche a nome di Locke, non solo non risponde alla domanda, ma rifiuta di “fissare un limite”. Prendendo due piccioni con una fava: fa passare il messaggio subliminale che invece la Chiesa, crudele, quel limite lo fissa; al contempo, che egli, Voltaire, e Locke, “aprioristicamente accettano di considerare come appartenenti alla razza umana” i malformati, i focomelici, gli altri casi “mostruosi”. Già! La Chiesa magari – lo leggi tra le righe volterriane – no.
In realtà, Voltaire non trova un “limite” al battesimo, e astutamente gira intorno all’ostacolo, mentendo senza mentire, perché quel “limite” non era mai esistito, non per la Chiesa almeno, che considera vita umana e anima divina qualsiasi creatura si nasconda dietro i veli amniotici del grembo materno, prima ancora di vederne il volto; anche se poi dovesse risultare mostruoso quel volto, anche se non dovesse averne alcuno.
È lo stesso Voltaire che poche pagine più in là, stavolta senza limiti, come “mostri” immondi qualificherà nell’ordine: negri, ebrei e in parte le donne. Sui neri: prima, s’intrattiene sinistramente sul loro aspetto “disumano”, poi passa a sostenerne la minorità, quindi deduce debbano considerarsi bestie, e in quanto tali naturaliter schiavi; infine, va oltre e afferma che forse i negri hanno avuto origine da “abominevoli incroci” tra donne e scimmie. E tutto questo per il loro aspetto: mostruoso.
Curioso che negli stessi anni in cui Voltaire scriveva queste cose, la Chiesa per mano di Benedetto XIV beatificava (e pochi anni dopo canonizzava) un frate del ’500, e per giunta lo dichiarava compatrono di Palermo e patrono delle comunità negre dell’America Latina: san Benedetto il Moro. Discendente di schiavi africani, negro egli stesso.
Se per Voltaire il negro nascerebbe da abominevoli incroci tra donna e gorilla, e se dalla scimmia ha ereditato la mostruosità, l’imbecillità, invece, l’ha ereditata dalla donna, che reputa completamente incapace di intendere e volere. È lo stesso che dipinge gli ebrei come esseri immondi: si veda il suo Dictionaire, dove per decine di volte cita gli ebrei per brutalizzarli con epiteti crudeli.
Ebbene sì: il razzismo biologico fu riscoperto dagli illuministi. E Voltaire ne fu il dottore. Lui il padre dell’antisemitismo, del razzismo, il teorico della misoginia e dello schiavismo. Non meraviglia che sia anche il patriarca dei propagandisti anticattolici. Voltaire! A proposito del quale leggiamo queste affermazioni di Messori: «Chiariamo subito che l’antisemitismo biologico e razziale non ha nulla a che fare con la tradizione cristiana. Ci sono state dispute teologiche e religiose attorno alla figura dell’ebreo Gesù, sul suo essere o no il Messia, da cui è nato l’antigiudaismo. Ma le origini dell’antisemitismo violento, sfociato nelle persecuzioni di Hitler, vanno ricercate nel pensiero illuminista e darwiniano. Consideriamo la virulenza antiebraica di Voltaire: non è un caso se nelle scuole della Francia di Vichy veniva imposta la lettura di un libretto in cui erano state raccolte tutte le citazioni antisemite del filosofo dei lumi».
«Per cui non vi sono più né Ebrei né Gentili, né Greci né Romani, né padroni néschiavi, non più discriminazioni fra uomini e donne, né potenti né oppressi; tutti gli uomini sono fratelli in quanto figli di Dio» e perché «tutti siete un solo uomo in Gesù Cristo». È san Paolo. Allora all’interno della comunità cristiana, al contrario di quella greca e romana, non hanno più importanza le peculiari differenze etniche (giudeo o greco), sociali (liberi o schiavi), sessuali (uomo o donna): tutti ormai hanno lo stesso valore, identica dignità, medesima uguaglianza, quella che deriva loro dal costituire in Cristo e per Cristo il “popolo” della nuova alleanza, “erede” delle promesse fatte ad Abramo.
Possiamo ben dire che è il cristianesimo a istituire l’uguaglianza. Non il “Padre dei diritti umani”, quel Voltaire che addirittura perora un ritorno all’antico, aristocratico razzismo del giudaismo e del paganesimo.
Rousseau
Ma ci sarebbe anche l’altro oracolo dei laicisti, rivale di Voltaire: Rousseau, quello che sosteneva la bontà dell’uomo nato libero, selvatico, allo stato naturale, ossia la negazione più perfetta della macchia antica, il peccato originale. Ebbene, pure costui si intrattiene con gran scialo di buoni sentimenti sui “mostri”, gli infelici fisicamente. Nel suo Emile ou de l’education scrive che «un padre non deve avere preferenze nella famiglia che Dio gli ha dato: tutti i suoi figli sono per lui eguali, a tutti deve la stessa tenerezza, siano essi storpi o sani, deboli o robusti. Ciascuno di essi è un deposito di cui deve rendere conto alla Mano che glielo ha affidato».
Belle parole, non v’è dubbio. Ma è fumo negli occhi. Tra le righe, Rousseau lascia intendere che egli è contrario alla soppressione di bambini nati deformi, come era successo per i famigerati infanticidi di Liegi, dove si fece strage di infanti nati focomelici ossia senza gambe e braccia. Tutto questo per quanto riguarda il “padre di famiglia”, perché per se stesso il buon Rousseau usa altri parametri.
Infatti, in quelle stesse pagine del trattato di pedagogia, poco dopo Rousseau consiglia ai pedagoghi di fare come lui e «rifiutare per allievo un fanciullo malaticcio e cachettico. Io, ad esempio, non vorrei interessarmi a un allievo che si preoccupa unicamente della propria conservazione fisica e di cui il corpo nuoce all’educazione dell’anima».
Ecco la differenza tra buonismo e bontà, tra teoria e pratica, tra la imperturbabile etica cattolica e le labili etiche civili: un Rousseau, padre nobile del laicismo, risolve il problema degli alunni malformati, malaticci allontanandoli dal suo domicilio, reputandoli incapaci di imparare qualcosa; un san Filippo Smaldone, pochi decenni dopo la morte di Rousseau, apre una scuola per bambini sordomuti e per giunta poveri, ritenendo pure questi capaci di imparare qualcosa.
Poco prima della nascita di Rousseau, i santi Vincenzo de’ Paoli e Luisa di Marillac riempivano tutta la Francia di questi illuministi allergici alle donne, ai negri e ai bambini malaticci, di “Figlie della Carità”, vale a dire di scuole, ospedali, orfanotrofi per loro, i malaticci, i deformi, i piccoli ritardati, e tutti, va da sé, poveri; ai quali anche a domicilio donavano la loro assistenza attraverso consorelle laiche addestrate alla fede cattolica, alla pietà cristiana e alla scienza infermieristica.
Come non bastasse, appena chiusi gli occhi Rousseau, li aprì san Giuseppe Benedetto Cottolengo, uno dei tanti preti destinati a patire pene inenarrabili sotto le dominazioni francesi scatenate da quella Rivoluzione Francese che a Rousseau e Voltaire s’ispirava, tanto da dover studiare in clandestinità. Fonderà quella Piccola Casa della Divina Provvidenza, destinata proprio a raccogliere i “rifiuti umani” della società e persino dei sanatori, gli inguardabili e gli inguaribili, gli errori e orrori della natura, gli scherzi e scarabocchi di Dio, per usare il quantomeno colorato (e cinico) vocabolario laico: i “mostri”. I grandi deformi, gli afflitti dalle malattie più repellenti, rare e dai risvolti osceni, difficilmente tollerabili dai nostri sensi. Ai quali la pietà cattolica offrì assistenza, e riparo invalicabile dallo sguardo offensivo del mondo “civile”. E illuminista.
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