«Dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete. Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete: saprete che io sono il Signore» (Ez 37,5-6).
La profezia di Ezechiele (598 a.C.), passando attraverso la risurrezione di Cristo, diventerà promessa escatologica per tutti i credenti. Sarà proprio il Figlio di Dio, infatti, a identificarsi con la risurrezione stessa: «lo sono la risurrezione e la vita» (Gv 11,25). Risurrezione, vita: le due realtà “aspettate” dal nostro Credo. Dicendo «aspetto la risurrezione», diciamo, infatti, lo stesso che “aspetto Cristo”. E dicendo «aspetto la vita», diciamo ancora “aspetto Cristo”. L’antichissimo Simbolo degli Apostoli, rispetto a quello di Nicea-Costantinopoli, sottolinea ancora di più la fisicità della nostra futura risurrezione, chiamandola «risurrezione della carne». Scrive il profeta Ezechiele: «Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi resusciterò dai vostri sepolcri, o popolo mio» (Ez 37,13). E, quasi a voler fugare ogni perplessità, Dio conclude: «L’ho detto e lo farò» (Ez 37,14). Allo stesso modo, il Simbolo degli Apostoli, sottolinea però anche la dimensione spirituale di questa risurrezione, affermando che la vita del «mondo che verrà», e da noi nel Credo attesa, non è la vita di questo mondo, ma è «la vita eterna». Perché «chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno» (Gv 11,25-26). L’apostolo Giovanni vide, in visione, la realizzazione di questa promessa, e così la descrive nel libro dell’Apocalisse: «Vidi poi un grande trono bianco e Colui che sedeva su di esso. Dalla sua presenza erano scomparsi la terra e il cielo senza lasciar traccia di sé. Poi vidi i morti, grandi e piccoli, ritti davanti al trono. Furono aperti i libri, e fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati in base a quanto scritto in quei libri ciascuno secondo le sue opere. Il mare restitui i morti che esso custodiva, e la morte, e gli Inferi resero i morti da loro custoditi, e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere» (Ap 20,11-13). Successivamente l’apostolo descrive anche, dopo la scomparsa del cielo e della terra, la venuta del “mondo che verrà”: «Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,1-3). Ecco la «dimora di Dio con gli uomini», ove «non vi sarà più notte, e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà» (Ap 22,5). Si legge nel Catechismo degli Adulti della C.E.I. «Con la letteratura sapienziale e apocalittica la speranza si estende anche ai morti: i giusti continuano a vivere nell’amicizia di Dio e nell’ultimo giorno risorgeranno con il corpo a nuova vita, mentre crollerà il vecchio mondo e dalle sue rovine ne germoglierà uno più bello. Intanto bisogna essere fedeli e perseveranti» (CdA 1173). L’attesa della realizzazione di questa stupenda promessa non deve vederci inattivi ed inoperosi, perché «ciò che è dono della Provvidenza è anche frutto della libera cooperazione dell’uomo. Gli uomini contribuiscono a preparare il futuro e a disegnarne la figura» (CdA 1179). Quest’insegnamento era già stato messo in luce dal Concilio Vaticano Il: «Ignoriamo il tempo in cui saranno portati a compimento la terra e l’umanità, e non sappiamo il modo con cui sarà trasformato l’universo… Tuttavia l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, ma piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova, che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo» (Gaudium et Spes 39). La profezia del libro dell’Apocalisse che annuncia: «Tergerà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 21,4), può già cominciare a compiersi fin da ora con i nostri gesti di amore e di carità, verso i fratelli che vanno custoditi come sentinelle, perché, se si risvegliano nella fede, si affiancheranno a noi e ci supereranno. Profeta non è, infatti, solo colui che vede il futuro, ma anche colui che ce lo fa vedere, che lo incarna, lo vive, lo anticipa, facendo suo il richiamo udito da Ezechiele: «Profetizza allo spirito, profetizza figlio dell’uomo e annunzia allo spirito: Dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano» (Ez 37,9). |
IL TIMONE N. 69 – ANNO X – Gennaio 2008 – pag. 61
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