In un recente articolo sull’Espresso, Eugenio Scalfari, padre “nobile” di Repubblica e del pensiero liberal-radical nostrano, ha illustrato con chiarezza il suo oscuro pensiero: discendiamo, noi uomini, da scimmie urlanti e pelose, come diceva Darwin, e siamo, nello stesso tempo, Dio. «Se il divino è dentro di me, io stesso sono portatore di Dio, sono un pezzetto di Dio, infine sono Dio» (L’Espresso, 24/11/2005).
Un simile ragionamento può destare stupore, ma soltanto in chi non abbia consuetudine con la filosofia moderna. Non è l’Illuminismo, con Voltaire, ad esaltare, in senso relativistico, la tolleranza sopra ogni cosa, salvo poi giustificare, con il poligenismo, la netta distinzione tra razze, e considerare i neri capaci di accoppiarsi con le scimmie e generare prole? E non è sempre l’Illuminismo a deificare la Ragione, per poi affermare, con Rousseau, che «l’uomo che pensa è un animale pervertito»? È sempre l’Illuminismo a generare un progressismo ottuso, sino ad ipotizzare la futura immortalità dell’uomo, e a diffondere nello stesso tempo l’idea, con Nicolas Restif de la Bretonne (1734-1806) e dom Léger-Marie Deschamps (1716-1774), che l’uomo debba ritornare allo stato animalesco, vivendo senza leggi, né educazione, seguendo solamente l’istinto (da cui la legittimazione persino dell’incesto). Non bisogna dunque meravigliarsi: la contraddizione è propria di chi, accantonando il vero Dio, elimina il fondamento della realtà, trasformando ogni singolo uomo in autore e manipolatore del senso e dell’ordine delle cose.
In quest’ottica il pensiero di Scalfari riassume le tendenze assurde della filosofia moderna: in quanto Dio, l’uomo può fare assolutamente ciò che vuole, anche uccidere con l’aborto o l’eutanasia; come scimmia, al contrario, non è altro che materia oscura, impasto di impulsi bestiali, passibile di subire qualsiasi sperimentazione, sino al punto di essere selezionato e scartato in base a criteri eugenetici, come voleva Darwin, allo stesso modo delle pecore e dei cavalli. Sino al punto, come negli ibridi moderni, che avverano le folli credenze di Voltaire, di venire impiantato, allo stadio di embrione, in uteri di scimmia!
Così la filosofia illuminista ha aperto due direttrici, solo apparentemente divergenti: quella dei filosofi che fanno dell’uomo l’ordinatore della realtà (gli idealisti), e quella di coloro che lo considerano un essere puramente materiale (i materialisti), determinato solo dagli aspetti inferiori, cioè dai bisogni materiali o dagli impulsi istintivi (Darwin, Marx e Freud). Ebbene, queste due posizioni trovano oggi in Umberto Veronesi e Piero Angela i loro più famosi divulgatori.
Per il primo, infatti, la natura si presenta come un aggregato di mostruosità e di orrori, che l’uomo può e deve modificare, attraverso le biotecnologie: lo scienziato non è, come si è sempre ritenuto, un ammiratore del Creato, che legge e interpreta il libro della natura, senza mai dimenticare, come scriveva Einstein, il «senso del Mistero», ma un nuovo “creatore”, che magicamente si prefigge «il controllo dell’evoluzione dell’umanità», attuando «un dominio sul proprio Dna, o sul Dna di altri esseri viventi» (L’ombra e la luce: la mia battaglia contro il male, Gruppo Editoriale L’Espresso, 2005).
Di qui il tentativo di Veronesi di giustificare la sperimentazione occisiva sugli embrioni umani, l’aborto selettivo, la Ru 486 e la fecondazione artificiale, nonostante anch’essa si riveli, ogni giorno di più, pericolosissima per la salute stessa delle donne e dei bambini: al punto che la rivista Le scienze, nell’allegato del dicembre 2005, parla chiaramente, per i concepiti con tecniche artificiali, di «incidenza doppia di aborti spontanei, tripla di morte prima della nascita o neonatale e quintupla di gravidanza ectopica», oltre che di «molteplici difetti congeniti, in particolare anomalie cromosomiche e muscolo-scheletriche». Veronesi difende quindi ogni arbitrio, appellandosi da una parte al “diritto” per l’uomo di non essere limitato da leggi superiori, e dall’altra al darwinismo ed alla somiglianza genetica tra l’uomo e lo scimpanzé: poiché sperimenta sugli animali, perché l’uomo-dio non dovrebbe poterlo fare anche sugli uomini-bestia (Corriere della Sera, 15/5/2005)? Similmente, nelle sue riflessioni sulla morte, Veronesi promuove l’eutanasia, per «lasciare spazio agli altri, come fanno quegli animali che da vecchi si staccano dal branco per andare a morire soli», e contemporaneamente nutre la ridicola presunzione di «determinare in laboratorio la lunghezza della vita», finanziando ricerche sul gene P66, da cui si attendono mirabili effetti per la longevità umana (oltre che lautissimi guadagni economici, “Affari e Finanza”, 3/11/2005).
Sulla stessa lunghezza d’onda si situa il pensiero di Piero Angela, espresso nel suo Ti amerò per sempre. La scienza dell’amore (Mondadori, 2005). In quest’opera infatti ritorna il materialismo dei darwinisti ottocenteschi, secondo i quali come i reni producono l’urina, così il cervello produce i pensieri. Per Angela, infatti, anche l’amore non è altro che una complessa fenomenologia solamente corporea di istinti, ormoni e materiale genetico, riuniti in un’amalgama bestiale in cui non vi è spazio per la spiritualità, la libertà, il sacrificio, e tutto ciò che differenzia l’amore umano da quello animale. Come una scimmia nella sua gabbia, o come un «ciottolo della strada», secondo il dettato positivista, così anche l’uomo è un essere determinato dalla materia, e l’amore, con i suoi «meccanismi », è solo «una reazione chimica che si è prodotta all’interno, impadronendosi delle emozioni e dei pensieri», e che ha l’unico scopo di garantire la riproduzione della specie. Sono questi meccanismi, queste reazioni chimiche, a detta dello “scienziato” Angela, a far sì che alcuni uomini si innamorino «in continuazione», forse «per il cattivo funzionamento di certe strutture cerebrali», e che altri, in base a determinati circuiti neurologici, amino una persona e facciano sesso con un’altra. Comune a tutti i maschi, invece, la «vocazione poligamica»: «l’uomo possiede un annaffiatoio che gli permette in teoria di spargere ovunque il suo seme», per cui, come per gli altri mammiferi, «il modello dell’harem, sempre in teoria, sarebbe per lui il più conveniente».
Ancora una volta il materialismo più bieco e bestiale spacciato per scienza. Se questo è il progresso…
«Solo l’uomo che si affida totalmente a Dio trova la vera libertà, la vastità grande e creativa della libertà del bene. L’uomo che si volge verso Dio non diventa più piccolo, ma più grande, perché grazie a Dio e insieme con Lui diventa grande, diventa divino, diventa veramente se stesso.
L’uomo che si mette nelle mani di Dio non si allontana dagli altri, ritirandosi nella sua salvezza privata; al contrario, solo allora il suo cuore si desta veramente ed egli diventa una persona sensibile e perciò benevola ed aperta».
(Benedetto XVI, Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, 8 dicembre 2005).