Banner_Il Sabato del Timone_14 dic 24_1920x280

10.12.2024

/
Azioni sempre malvagie
31 Gennaio 2014

Azioni sempre malvagie

 

 

 

Una critica del consequenzialismo, il quale nega l'esistenza di azioni sempre cattive. E che giustifica, in certi casi, l'assassinio, la sperimentazione letale suglio embrioni, l'uso della bomba atomica, ecc
 
 
 
 
 

Oggigiorno è sempre più diffusa una concezione morale, che si chiama consequenzialismo la quale, per esempio, giustifica la selezione-sperimentazione sugli embrioni, la clonazione, l'eugenetica, ecc., alla luce delle conseguenze positive (evitare di generare figli malati, curare alcune malattie, ecc.) di questi atti. Il consequenzialismo giudica la moralità degli atti umani ogni volta, esclusivamente in base alle loro conseguenze, giudica un'azione calcolandone le conseguenze: se io uccido un innocente per salvare cento persone, se anniento i civili giapponesi con la bomba atomica per terminare la seconda guerra mondiale, se clono una persona per avere organi di ricambio, ecc., compio un atto che non soltanto è lecito, ma è altresì doveroso, perché le sue conseguenze sono globalmente migliori delle conseguenze della sua omissione.
Viceversa, per Aristotele, per Tommaso, per l'etica cristiana, per Kant e per i contemporanei teorici dei diritti, almeno alcuni atti umani hanno una qualità morale intrinseca previa a qualsivoglia conseguenza e ci sono degli atti intrinsecamente malvagi, sempre cattivi. Atti come uccidere un innocente, ridurre in schiavitù, torturare, uccidere in guerra volutamente dei civili, ecc., sono intrinsecamente malvagi e non possono essere giustificati da nessun tipo di conseguenza: le conseguenze possono attenuarne la gravità, ma non possono trasformarne la moralità intrinseca.
Ora, il consequenzialismo è un metodo di ragionamento morale sbagliato per almeno due ragioni.

1. Le conseguenze delle azioni possono essere illimitate o ripercuotersi per secoli. Ad es., le conseguenze della decisione di Cesare di varcare il Rubicone si ripercuotono anche oggi, e di esse fa parte anche il fatto che questo articolo ne stia parlando. Si pensi alle conseguenze di invenzioni come la scrittura, la stampa, il computer, ecc. Ma anche atti di personaggi più ignoti possono avere ripercussioni illimitate: per es., la scelta di sposarsi di un antenato di Cesare, ha avuto per conseguenza la nascita di Cesare.
Inoltre, qualsiasi azione può potenzialmente avere effetti illimitati, perché produce in chi la compie una propensione a compiere atti dello stesso genere: se io mento di frequente genero in me, progressivamente, la propensione ad essere sovente bugiardo. Ebbene, ogni propensione influenza il nostro agire nei rapporti con gli altri, perciò qualsiasi azione influenza gli altri e, attraverso gli altri, o magari direttamente, può influenzare coloro le cui azioni hanno effetti duraturi. Pertanto, visto che le conseguenze dei nostri atti possono essere illimitate, se ne possono prevedere ben poche.
Ora, per il consequenzialista è giusto assassinare un innocente (o clonare una persona, ecc.) se ciò consente di salvare un milione di persone, perché le conseguenze dell'assassinio di una persona sono globalmente migliori della morte di un milione di uomini. Ma come si fa a prevedere il futuro? Quest'uomo che viene ucciso, in futuro avrebbe potuto scoprire il vaccino per il cancro, salvare una nazione da una catastrofe, ecc., o influenzare, in qualche modo, colui che, grazie a questo influsso, avrebbe potuto scoprire il vaccino contro il cancro o salvare un'intera nazione, ecc.
Dunque, il consequenzialismo è impraticabile, per due ragioni.
a) Perché esige che l'uomo preveda il futuro.
b) Perché assegna all'uomo una responsabilità simile a quella divina, in quanto lo rende responsabile di tutto ciò che accade nel mondo come conseguenza delle sue azioni e delle sue omissioni, fino alle loro estreme propaggini.
Perciò alcuni consequenzialisti restringono la responsabilità morale alle sole conseguenze previste. Tuttavia, a che titolo è giustificabile questa restrizione? Dal punto di vista consequenzialista solo se e dopo aver calcolato che essa produce il miglior risultato possibile nel corso dei secoli. Ma, ancora una volta, ciò richiede la capacità di conoscere il futuro.
Tuttavia, anche prescindendo da ciò, emergono ulteriori problemi.
Se si restringe la responsabilità morale alle conseguenze previste dell'azione, l'esito diventa inaccettabile: l'ignoranza circa le conseguenze degli atti toglierebbe la responsabilità e non ci sarebbe un difetto di previsione dovuto a negligenza. Ad es., un chirurgo che fa morire un paziente, in quanto non ha previsto le conseguenze delle sue azioni perché non ha studiato a sufficienza anatomia, non sarebbe imputabile della morte del paziente.
E se il consequenzialista restringe la responsabilità alle conseguenze prevedibili, viene da chiedergli: quali sono le conseguenze prevedibili? Sono quelle che si possono prevedere? Ma così la questione è soltanto spostata e non risolta, perché insorge un'altra domanda: quali sono le conseguenze che ogni uomo, che è diverso dagli altri (per esperienza, per intelligenza, ecc.), può prevedere?
È vero che i calcoli degli effetti dei nostri atti noi li facciamo quotidianamente, ma il problema dell'erroneità dei calcoli è decisivo solo per il consequenzialismo, secondo cui la bontà/malvagità degli atti dipendono del tutto dalla previsione delle loro ripercussioni. Invece, se la bontà/malvagità risiedono nell'atto stesso, chiunque può saperlo prima di fare qualsiasi calcolo.
Insomma, una teoria etica non deve trascurare le conseguenze degli atti, ma nemmeno riporre tutta la valutazione morale su di esse: deve giudicare la moralità intrinseca degli atti, vietare sempre quelli malvagi e, poi, può cercare di valutare le conseguenze.

2. Anche se l'uomo fosse capace di prevedere il futuro, emerge un altro problema già solo se consideriamo il nucleo del consequenzialismo: la dipendenza della moralità degli atti dalle conseguenze, dagli stati del mondo che gli atti producono.
Infatti, le conseguenze producono altre conseguenze all'infinito. Ciò vuoi dire che gli stati del mondo acquisiscono la loro moralità in relazione agli stati del mondo successivi da essi prodotti, e questi stati del mondo successivi ne producono di ulteriori, e così via all'infinito. Ma ciò implica che nessuno stato del mondo abbia una qualità morale e quindi che gli atti umani (che per il consequenzialista acquisiscono la loro moralità in relazione agli stati del mondo che producono) non siano mai né buoni né cattivi. Ebbene, in questo modo, tutto diventa moralmente lecito.
Si obietta: gli stati del mondo possiedono una qualità morale e la cambiano senza averne una definitiva, come un oggetto che cambia colore senza averne mai uno definitivo; ma la verità è che, nel consequenzialismo, è come se un oggetto non avesse mai colore: se la moralità dipende dalle conseguenze ultime dell'agire (cioè dallo stato del mondo finale e non dagli stati intermedi), gli stati del mondo intermedi potrebbero essere buoni/cattivi solo se ci fosse uno stato finale e definitivo, dopo il quale l'universo scompare. Ma accettare la tesi della fine del mondo significherebbe assegnare in etica un posto a Dio (perché solo Dio può far finire completamente il mondo), mentre il consequenzialismo si premura di non considerarlo. E se lo stato finale del mondo non esiste (nemmeno nel pensiero di Dio), non può determinare la moralità degli stati del mondo precedenti.
D'altra parte, se invece si ammette l'esistenza di Dio, per i consequenzialisti insorge un altro problema, rilevato da J. Finnis. Infatti, per la dottrina della provvidenza, Dio ricava il bene dal male. Ora, ciò implica che ogni azione produca conseguenze positive, dato che Dio interviene per trarre il massimo bene dalle azioni umane: interviene poco se un'azione è + già in parte benefica, interviene molto se è dannosa, e il risultato di qualsiasi azione che l'uomo compia è sempre il miglior stato finale del mondo possibile. Perciò, visto che qualsiasi azione produce comunque il miglior stato finale del mondo e visto che la moralità degli atti dipende dalle conseguenze, dal punto di vista morale è indifferente che l'uomo compia qualsivoglia azione. Ma così, di nuovo, tutto diventa moralmente lecito.

Bibliografia

Giacomo Samek Lodovici, L'utilità del bene. Jeremy Bentham, l'utilitarismo e il consequenzialismo, Vita e Pensiero, 2004, specialmente pp. 149-199.
John Finnis, Gli assoluti morali. Tradizione, revisione & verità, Ares, 1993. 

IL TIMONE – N. 68 – ANNO IX –  Dicembre 2007 pag. 32-33

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Per leggere l’articolo integrale, acquista il Timone

Acquista una copia de il Timone in formato cartaceo.
Acquista una copia de il Timone in formato digitale.

Acquista il Timone

Acquista la versione cartacea

Riceverai direttamente a casa tua il Timone

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Acquista la versione digitale

Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone

Resta sempre aggiornato, scarica la nostra App:

Abbonati alla rivista