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11.12.2024

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Benedetto Papa
31 Gennaio 2014

Benedetto Papa


Non passerà alla storia come il Papa della rinuncia, ma come colui che ha lasciato al mondo la più grande eredità possibile: la fede. Ecco i motivi per cui quello di Papa Ratzinger è stato un gesto di totale abbandono a Dio e non una resa davanti alle difficoltà.


Tutte le parole disponibili per descrivere gli stati d’animo dei fedeli appena appresa la notizia della rinuncia di papa Benedetto XVI, l’11 febbraio, sono state esaurite in pochi minuti: sorpresi, sconvolti, tristi, smarriti, disorientati e via dicendo. Poi sono cominciate a nascere le domande sul perché, di chi è la “colpa”; ma soprattutto una si è insinuata nella testa anche di coloro che più hanno ammirato la decisione del Papa. Vale a dire: sarà stato un gesto davvero coraggioso o una sorta di resa davanti alle difficoltà?
È importante dare una risposta sincera e vera a questa domanda perché la fecondità nel tempo di questo grande papato dipenderà anche da come i fedeli sapranno capirne e farne proprie le ragioni, anche perché – lo si è visto fin dai primi giorni – subito è iniziata una campagna mediatica per offrire interpretazioni riduttive del gesto papale che vanno a colpire proprio l’istituzione del papato.

Per il bene della Chiesa
Allora è proprio necessario leggere con intelligenza e saggezza questo avvenimento epocale, e per questo vanno messi in rilievo alcuni aspetti.
Anzitutto una considerazione storico-giuridica. Il codice di diritto canonico contempla già la possibilità di rinuncia al ministero di vescovo di Roma e ne regola il procedimento, cosa che già da sola basterebbe a negare qualsiasi pretesa di considerare queste dimissioni come “la fine del papato così come lo abbiamo conosciuto”. Ma c’è anche il fatto che oltre ai precedenti storici di dimissioni, per quanto vecchie di secoli, molti di più sono stati i Papi che hanno seriamente pensato di compiere questo passo, sempre nella prospettiva del “bene della Chiesa”, come ha detto della sua scelta Benedetto XVI. Tra coloro che arrivarono a un passo dalla decisione ci furono anche Pio XII e Paolo VI, che già avevano scelto il monastero in cui ritirarsi: in Svizzera il primo, a Montecassino il secondo.

La Chiesa è di Cristo
C’è poi un secondo aspetto che riguarda la “coerenza” spirituale e teologica di Benedetto XVI. Una resa è sempre la confessione di un “vorrei ma non posso”, un momento di rottura con quanto precedentemente fatto e affermato, se vogliamo: una negazione nei fatti di ciò in cui si è creduto o si crede. Un po’ come il politico che promette di abbassare le tasse e poi si trova costretto ad aumentarle, se è permessa una analogia. Non così è però per Papa Ratzinger. Al proposito è molto istruttivo un aneddoto raccontato da Vittorio Messori in una intervista concessa al quotidiano on-line La Nuova Bussola Quotidiana (www.lanuovabq.it ). Si era a metà degli anni ’80, il cardinale Joseph Ratzinger era il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e in quegli anni di contestazione ecclesiale era oggetto dei più velenosi attacchi da parte dei cosiddetti progressisti e dalla stampa laica. Messori lavorò alcuni giorni con lui per la preparazione del librointervista che poi fu pubblicato col titolo “Rapporto sulla Fede”. Ebbene, Messori ricorda che prima di congedarsi chiese al cardinale Ratzinger se fosse in grado di dormire bene visti i gravi problemi della Chiesa che si trovava a fronteggiare. E la risposta di Ratzinger, quasi sorpreso della domanda, fu eloquente: «Io dormo benissimo, perché sono consapevole che la Chiesa non è nostra, è di Cristo, noi siamo solo servi inutili: io alla sera faccio l’esame di coscienza, se constato che durante la giornata ho fatto con buona volontà tutto quello che potevo, io dormo tranquillo».

Nulla davanti a Dio
Ratzinger dunque ha sempre avuto la certezza esistenziale che a guidare la Chiesa è Cristo, che non tocca agli uomini e neanche al Papa salvare alcunché, che quindi nostro compito è solo servire la Chiesa non secondo il nostro progetto, ma secondo ciò che Dio ci suggerisce attraverso le circostanze. Riconoscere nelle circostanze della vecchiaia e del venir meno delle energie un segno oggettivo che spinge a passare la mano è dunque l’estrema affermazione della signoria di Cristo sulla Chiesa e sul mondo, è il riconoscere di essere nulla davanti a Dio. Pensando alla logica di questo mondo e al delirio di onnipotenza che ha ormai avvolto tutto il nostro mondo moderno, cattolici compresi, quella di Papa Benedetto XVI suona davvero come una provocazione, un gesto profondamente trasgressivo, segno di contraddizione. Un gesto che porta fino alle estreme conseguenze annunciando che si ritirerà nel nascondimento a pregare, l’unica attività veramente essenziale per il bene della Chiesa. Nell’Angelus del 3 febbraio scorso, commentando il brano del Vangelo in cui Gesù nella sinagoga di Nazareth fa infuriare i suoi concittadini presentandosi come l’incompreso profeta in patria, il Papa si chiedeva come mai Gesù avesse deciso di provocare in quel modo i suoi concittadini: «All’inizio la gente era ammirata di lui, e forse avrebbe potuto ottenere un certo consenso», diceva il Papa. In fondo, sarebbe bastato un miracolo per essere acclamato invece che rischiare di essere fatto fuori. «Ma proprio questo è il punto – ha spiegato il Papa –: Gesù non è venuto per cercare il consenso degli uomini, ma (…) per “dare testimonianza alla verità”». Con queste parole Benedetto XVI ha definito anche se stesso: non importa che cosa pensa il mondo, non si fa il Papa e non si è cattolici nel mondo per cercare il consenso, siamo qui solo per dare testimonianza alla verità.

Mancanza di fede

E qui si aggancia anche la terza considerazione: il Papa ha tracciato con chiarezza la strada per la riforma, per il rinnovamento della Chiesa.
Benedetto XVI ha individuato il nocciolo della crisi contemporanea, del mondo e soprattutto della Chiesa, di cui non ha mai nascosto i gravi problemi. Tutto sta nella mancanza di fede, la madre di tutti i problemi è la mancanza di fede. Ed è proprio la grande testimonianza di fede personale l’eredità più grande che egli ci lascia, testimonianza che diventa indicazione di cammino per tutti. L’indizione dell’Anno della Fede è al contempo un’intuizione geniale e una strada già tracciata che altri dovranno aiutare a percorrere. È il contrario della resa: chi si arrende molla tutto, è svuotato di energia, trova sterile e inutile ogni altro tentativo. Invece Papa Ratzinger ha indicato la strada da percorrere e, anzi, negli ultimi mesi – se possibile – è stato ancora più netto e deciso nel sottolineare la radice di tutti i problemi, anche quelli che agitano pesantemente la Chiesa. E nel dare l’annuncio delle sue dimissioni, non ha smesso di indicare la strada, come farebbe chiunque si fosse arreso, sconfitto dalle difficoltà. Subito prima e subito dopo l’annuncio delle sue dimissioni ha fatto dei discorsi memorabili, che costituiranno una parte non secondaria della sua eredità e certamente un passaggio sicuro e ineludibile per il suo successore.

RICORDA

«Questa grande testimonianza ha avuto il punto terminale, inaspettato, sconvolgente nelle dimissioni che sono state in linea perfetta con questa volontà di dedizione alla Chiesa, con la consapevolezza umile e realistica di non riuscire più a vivere in modo adeguato, a onorare in modo adeguato, questo servizio pontificale per l’unità della Chiesa, per la sua verità, per la sua carità, per la comunione che deve animare la vita della Chiesa universale e delle Chiese particolari, che trova nel Papa il punto ultimo di riferimento».
(S.E. mons. Luigi Negri, in La Nuova Bussola quotidiana, 14/2/2013).

IL TIMONE N. 121 – ANNO XV – Marzo 2013 – pag. 10 – 11

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