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13.12.2024

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Branduardi. Il signore dei menestrelli
31 Gennaio 2014

Branduardi. Il signore dei menestrelli

 

 

Secondo il celebre cantautore, questo libro «é un’opera d’arte incredibile, un meraviglioso romanzo scritto da un grande personaggio». Il tema dominante? La ricerca, la lotta in cui si cade, si sbaglia e ci si rialza, la necessità di compiere atti di fede lungo la propria vita 

 

E alla fine Frodo, compiuta una deviazione dalla Terra di Mezzo, andò a vendersi l’anello alla «Fiera dell’est» per comprarsi un bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò… Beh, se esiste nel complesso globo terracqueo della canzone italiana un menestrello che potrebbe sul serio mettere in musica Il Signore degli anelli, costui è senz’ombra di dubbio Angelo Branduardi: elfico nelle movenze, crinito di grigio come Gandalf, amante della danza e festoso come un hobbit. Niente di strano, dunque, nell’apprendere che il noto cantautore nutre sul serio una passione d’antica data per Tolkien.

Branduardi, come ha scoperto Il Signore degli anelli?

«Credo di essere stato uno dei primi a leggerlo in Italia. Tornò mia moglie (meglio, colei che sarebbe poi diventata mia moglie) da un viaggio in Inghilterra con un volumone in inglese. Diceva che lassù i giovani lo leggevano tutti, i “figli dei fiori” ce l’avevano nello zaino in tutti i raduni hippies… Provai a leggerlo in lingua e non riuscivo più a staccarmi dalle pagine. Poi poco dopo lo tradusse e pubblicò Rusconi».

Siamo dunque nel 1970, lei ha vent’anni ed è già un virtuoso del violino. Che cosa la colpisce di quel libro?

«Di quel mondo immaginario posso dire che mi ha colpito tutto: la costruzione di un universo inventato ma coerente, una visione straordinariamente complessa e affascinante… Il “Signore” è un’opera d’arte incredibile, un meraviglioso romanzo scritto da un grande personaggio che poi era anche professore di letteratura medievale. L’ho letto due o tre volte, poi ho cercato gli altri libri di Tolkien e ho constatato come sia inimitabile: io non ho passione per il fantasy, so che ci sono tante altre storie del genere ma non mi interessano. Solo Tolkien: il suo è un mondo vero, le altre sono bolle di sapone, invenzioni».

Fors’anche perché lei subisce la suggestione dell’ambiente medievale: vedi i lavori su san Francesco, le riedizioni dei madrigali, l’andamento da menestrello e così via…
«Però in realtà il medioevo che mi affascina non è quello vero, nudo e crudo e persino troppo aspro, bensì quello filtrato attraverso l’interpretazione tardoromantica dell’Ottocento; in pratica lo stesso di Tolkien, appunto. La mia non è tanto una passione storica, quanto epica: più di tutto sono toccato dal tema della ricerca, quella che si compiva sul destriero e accompagnati dal cane, vestiti da cavalieri solitari… Sì, la ricerca del Graal: anche se sappiamo tutti che non esiste, ma ha un valore simbolico fondamentale».

Un simbolo religioso, dunque. Lei sa che dell’opera di Frodo & C. sono state date interpretazioni addirittura teologiche. Che ne pensa?

«A dir la verità non ho mai considerato tutti i castelli che si costruiscono sopra Il Signore degli anelli. Quando lo conobbi, ad esempio, l’Espresso sosteneva che fosse un libro di destra, addirittura nazista, e io ci risi sopra. Senz’altro un’interpretazione cattolica sarebbe più credibile, tuttavia le esegesi da topi di biblioteca non mi esaltano mai, a meno che l’intento dell’autore non sia chiaro ed esplicito in tal senso; ma per l’appunto in Tolkien non è così, o almeno non mi sembra».

Eppure la trama evidenzia idee nettamente «religiose»: la nobiltà d’animo, la fedeltà al proprio ideale, la vita come missione…
«Indubbiamente. Ma a me piace la ricerca in quanto tale, la lotta in cui si cade, si sbaglia e ci si rialza, il percorso durante il quale si sale e poi si scende, le difficoltà che ci costringono a grattare il fondo del barile… Ecco, se c’è un senso religioso a mio parere sta nel cammino; il mio è un atto di fede, ma di una fede misteriosa, non salda per sicurezze o dogmi. Anzi, a volte il contrario. Ma che richiede sempre atti di grande coraggio, anche nel dubbio. Pure san Francesco l’ho sentito più vicino a me quando si credeva abbandonato e chiedeva a Dio di farsi sentire».

E allora, qual è la sua lettura del romanzo di Tolkien?
«Puramente artistica. Non bisogna lambiccarsi troppo: l’arte è arte e semmai, essendo pura spiritualità, vede ciò che l’uomo di solito non vede, scruta al di là della porta chiusa e scopre un mondo che non esiste ma che si vorrebbe esistesse. A noi artisti, del resto, capita spesso di dire cose che non sappiamo di dire: costruiamo durante tutta la vita un mondo immaginario che poi altri interpretano diversamente da quanto pensavamo. Ed è bello e giusto anche quando si viene fraintesi in questo modo».

Come mai il tolkeniano Branduardi non ha mai inciso una canzone ispirata alla “Terra di Mezzo”? D’altra parte sarebbe un luogo ideale per le sue ispirazioni, no?
«Sì, vengo molto spesso affiancato a Tolkien per il lato mitologico, per il comune senso dell’eroismo, per il trionfo del bene sul male, insomma per l’attenzione alla Ricerca con l’iniziale maiuscola. Tanto che la Società Tolkeniana italiana mi ha eletto spesso suo ambasciatore, addirittura invitandomi una volta al Parlamento europeo di Bruxelles a tenere una relazione per i 50 anni del Signore degli Anelli. Ma non ho mai pensato di scrivere canzoni sulle liriche (bellissime peraltro) che si trovano nel libro. Anzi, per la verità un tentativo l’ho fatto, sull’ultimo testo poetico del volume; devo avere ancora da qualche parte gli spartiti. Però non ha funzionato. Del resto l’ispirazione, in un testo tanto complesso, non è facile. Ma non è detto che un giorno non scocchi la scintilla giusta…».

 

 

 

 

 

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IL TIMONE  N. 102 – ANNO XIII – Aprile 2011 – pag. 42 – 43

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