Promulgato dieci anni fa, il Catechismo della Chiesa Cattolica illustra il contenuto della vera fede che i cattolici sono tenuti a professare.
Sono passati dieci anni da quando è uscito e nessuno ne parla più. Anche il decimo anniversario è passato quasi inosservato.
Eppure il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica, voluto da Giovanni Paolo Il e da lui promulgato, frutto di un lungo lavoro coordinato dal cardinale Joseph Ratzinger è e rimarrà il più importante documento dottrinale del pontificato. Dopo il Concilio Vaticano II, nonostante i catastrofici risultati dell’ esperimento olandese, si era diffusa la consapevolezza che mai più ci sarebbe stato un catechismo unico e universale. Meglio lasciare alle Chiese locali e alle conferenze episcopali la possibilità di redigere i vari testi, adattandoli alle esigenze dei luoghi e dei destinatari. I catechismi, soprattutto quelli dei bambini, non proponevano più semplici formule da mandare a memoria, né sintetiche risposte ad altrettanto sintetiche e dirette domande.
Eppure, per chi si avvicinava per la prima volta alla fede, magari da adulto, un testo come il catechismo di San Pio X risultava immediato e utilissimo. Cera poi da risolvere un altro problema: da dove avrebbero attinto gli estensori dei catechismi locali?
Così dopo alcuni tentativi abortiti, accogliendo un’indicazione in questo senso del Sinodo dei vescovi, Papa Wojtyla ha deciso di mettere mano all’importante documento. Ratzinger si è servito di importanti teologi e di vescovi preparati: l’unico italiano che ha lavorato alla stesura del testo è stato il vescovo Alessandro Maggiolini, che ha iniziato a lavorare nella commissione quando era vescovo di Carpi e l’ha finito da vescovo di Como.
Il nuovo Catechismo, accolto inizialmente con scetticismo e spesso rifiutato dal mondo cattolico occidentale, si è invece imposto come un sussidio indispensabile, grazie al suo schema completo e alle sue sintesi che permettono di trovare immediatamente l’argomento che interessa e le risposte che si cercano. C’era la necessità di riaffermare il contenuto della fede comune, che i cattolici sono tenuti a credere, sia che si trovino in Papuasia, a Belfast o Città del Capo.
Il cardinale Ratzinger ha spiegato che attraverso questo testo si può “esprimere verbalmente anche in un modo a tutti comune ciò che crediamo: se ciò non fosse possibile, l’unità della Chiesa, l’unità della fede, l’unità dell’umanità sarebbe una finzione”.
Ricevendo in udienza i partecipanti al convegno convocato in Vaticano per i dieci anni dalla pubblicazione, Giovanni Paolo Il ha invitato” a dare ulteriore risalto a quella priorità pastorale che è una catechesi chiara e motivata, integrale e sistematica e, quando occorre, anche apologetica: una catechesi che sia tale da poter rimanere fissata nella mente e nel cuore, così da nutrire la preghiera, imprimere uno stile di vita, orientare il comportamento dei fedeli”. Papa Wojtyla ha anche incoraggiato a prestare particolare attenzione ai catechismi locali per i quali il Catechismo “si propone come punto di riferimento sicuro e autentico nel delicato impegno di mediazione a livello locale dell’unico e perenne deposito della fede”.
In dieci anni, sono state tirate otto milioni di copie del nuovo Catechismo, stampate in più di sessanta lingue diverse.
RICORDA
“Bisogna dire dunque che nella catechesi è Cristo, Verbo Incarnato e Figlio di Dio, che viene insegnato, e tutto il resto lo è in riferimento a lui; e che solo Cristo insegna, mentre ogni altro lo fa nella misura in cui è il suo portavoce, consentendo al Cristo di insegnare per bocca sua. La costante preoccupazione di ogni catechista – quale che sia il livello delle sue responsabilità nella Chiesa – dev’essere quella di far passare, attraverso il proprio insegnamento ed il proprio comportamento, la dottrina e la vita di Gesù”.
(Giovanni Paolo Il, Catechesi tradendae, n. 6).
IL TIMONE N. 22 – ANNO IV – Novembre/Dicembre 2002 – pag. 10