L’epoca moderna è stata contrassegnata dalla presenza di fedi e ideologie diverse. Alcune si sono combattute fino a sterminarsi. Solo il cristianesimo, che non è un’ideologia, è sopravvissuto alla furia distruttrice. Ma ha di fronte una superideologia, il relativismo, che corrode ciò che tocca. Spunti di riflessione dalle parole dei Pontefici
Pluralismo e mondo moderno
Pluralismo è un termine che ha accompagnato la nascita e lo sviluppo della modernità, e in qualche modo la caratterizza. Perché è con la Rivoluzione francese del 1789 che il pluralismo, quello ideologico, penetra nel senso comune dei popoli e nelle istituzioni con la nascita delle ideologie e dei partiti politici, che allora si chiamavano club, mentre il pluralismo sociale, cioè la ricchezza della vita della società composta da corpi intermedi, tende progressivamente ad essere uniformizzato dall’estensione e dall’invadenza dello Stato.
Il mondo perde così la sua omogeneità culturale, garantita dal diritto naturale e dalla religione cattolica, e le diverse ideologie entrano a pieno titolo nella vita pubblica e cominciano a combattersi, a volte anche in modo cruento, per l’egemonia sulla società e sugli Stati: sarà la lunga «guerra civile europea», per usare un’espressione cara a Ernst Nolte, che vedrà contrapporsi liberalismo, nazionalismo, fascismo, nazionalsocialismo e socialcomunismo, fino al 1989.
Oggi, il relativismo
Oggi, nel mondo successivo al crollo del Muro di Berlino, si usa maggiormente l’espressione “relativismo”, per indicare il rifiuto della verità non in nome di idee forti, come nell’epoca delle ideologie, che pretendevano di rispondere falsamente a domande vere, ma nel nome di un nichilismo assoluto, che cerca di estirpare la domanda di verità dal cuore dell’uomo, per creare masse di consumatori silenti e incapaci di porre quesiti. Ma «se l’uomo nega la sua fondamentale capacità della verità – scrive la Congregazione per la Dottrina della Fede nella Nota dottrinale Missus a Patre del 2007 – se diviene scettico sulla sua facoltà di conoscere realmente ciò che è vero, egli finisce per perdere ciò che in modo unico può avvincere la sua intelligenza e affascinare il suo cuore».
Che fare?
Alla società postmoderna, disillusa, la Chiesa propone una nuova evangelizzazione. Allo scopo servono “operai” innamorati di Dio, capaci di ripetere il miracolo del primo Millennio, quando i cristiani seppero penetrare nella cultura e nelle istituzioni del tempo per seminarvi il Vangelo. Il secondo Millennio dell’era cristiana vide così spuntare i frutti e i fiori della prima evangelizzazione, una civiltà sempre più umana perché teneva conto dell’insegnamento di Cristo.
La Chiesa non ha cominciato oggi a porsi il problema di come aiutare il ritorno alla fede di chi si è allontanato. Nel 1950, l’Azione Cattolica lanciò una grande crociata per il «gran ritorno e il gran perdono » di chi aveva prima combattuto nelle elezioni del 18 aprile 1948 e poi era stato scomunicato nel 1949. Fu una campagna voluta dal servo di Dio Pio XII (1939-1958), realizzata da Luigi Gedda (1902-2000), in cui il mondo cattolico mostrò che accanto al combattimento, quando necessario, i cattolici sanno unire la delicatezza e la riservatezza del rapporto personale. Iniziò lì, probabilmente, la nuova evangelizzazione, che sarebbe continuata nel nuovo approccio proposto dai documenti del Concilio Vaticano II, dall’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del servo di Dio Paolo VI del 1975, e infine nella esplicitazione della nuova evangelizzazione nei pontificati del servo di Dio Giovanni Paolo II (1978-2005) e di Benedetto XVI.
Per saperne di più…
IL TIMONE N. 99 – ANNO XIII – Gennaio 2011 – pag. 58 – 59
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