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10.12.2024

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C’è pluralismo e pluralismo’¦
31 Gennaio 2014

C’è pluralismo e pluralismo’¦

 



 

L’epoca moderna è stata contrassegnata dalla presenza di fedi e ideologie diverse. Alcune si sono combattute fino a sterminarsi. Solo il cristianesimo, che non è un’ideologia, è sopravvissuto alla furia distruttrice. Ma ha di fronte una superideologia, il relativismo, che corrode ciò che tocca. Spunti di riflessione dalle parole dei Pontefici

Pluralismo è un termine polisemantico che viene usato da molti con un significato completamente diverso, spesso opposto.
Il servo di Dio Paolo VI (1963-1978) disse, in una udienza generale del 1974, che è un termine equivoco, con due significati. Il primo di essi è molto bello; fa riferimento «alla fecondità della nostra dottrina cattolica », capace di dare vita a sistemi culturali o politici diversi pur partendo dalla stessa fede. Porta così l’esempio di come dall’una fides siano nate espressioni diverse «per ogni periodo della storia», citando l’opera del beato John Henry Newman (1801-1890) a questo proposito, «per ogni età e grado della vita umana», portando ancora l’esempio delle diverse formulazioni della dottrina della fede, dall’annuncio primitivo, alla didaché o dottrina apostolica, dalle prime sintesi dottrinali della fede, i diversi credo e poi i catechismi, così numerosi anche se soltanto due universali, quello tridentino e l’attuale Catechismo della Chiesa Cattolica. Paolo VI ricorda anche le molte e diverse liturgie cattoliche e «l’inesauribile produzione letteraria». Insomma, tutte espressioni di una stessa fede, eppure diverse e anche di molto, ma tutte sbocciate dalla «rigorosa osservanza della norma dottrinale».
Ma se questo «è il pluralismo della Chiesa cattolica», il Papa ricorda altre espressioni pluralistiche, per esempio quella dei riformatori protestanti, legati all’idea della sola Scriptura, «quasi che essi fossero i veri fedeli dell’unità religiosa, e quasi che la Sacra Scrittura non derivasse essa stessa dalla Tradizione apostolica (cfr Dei Verbum 7-10)»: dalla Riforma sarebbe derivato quel «“libero esame” che ha polverizzato l’unità della fede nell’innumerevole molteplicità di opinioni personali».
Quale ecumenismo può nascere da queste premesse, si chiedeva il Pontefice; quale unità si può sperare di ritrovare? E ancora, si chiedeva Paolo VI: «dove finirebbe il cristianesimo, dove ancor più il cattolicesimo, se ancor oggi, sotto uno specioso, ma inammissibile pluralismo, si accettasse come legittima la disgregazione dottrinale, e quindi anche ecclesiale, che esso può recare con sé»?
Cinque anni prima, nel 1969, il Papa aveva espresso le stesse riflessioni, ricordando l’interpretazione positiva del termine, quello che si può chiamare il “pluralismo sociale” perché riguarda la varietà dei corpi sociali intermedi fra l’individuo e lo Stato, e invece, al contrario, il pluralismo ideologico, che è un vero e proprio regno dell’opinione, del “secondo me”: «Siamo pluralisti noi?» si chiedeva Papa Montini, e rispondeva: «sì, che lo siamo […] proprio perché cattolici, cioè universali», anzi, «solo la religione cattolica possiede la visione del tutto, la sapienza superiore del mondo, dell’essere umano, dei destini del tempo e della vita».
Tuttavia, anche questo legittimo pluralismo ha dei limiti: «La fede non è pluralistica » e noi cattolici «non saremmo fedeli all’univocità della Parola di Dio, al magistero, che ne deriva, della Chiesa, se ci arrogassimo la licenza d’un “libero esame”, di un’interpretazione soggettiva, d’una subordinazione della dottrina definita ai criteri delle scienze profane, e tanto meno alla moda dell’opinione pubblica, ai gusti e alle deviazioni (oggi tanto pronunciate) della mentalità speculativa e pratica della letteratura corrente» (Udienza del 14 maggio 1969).

Pluralismo e mondo moderno
Pluralismo è un termine che ha accompagnato la nascita e lo sviluppo della modernità, e in qualche modo la caratterizza. Perché è con la Rivoluzione francese del 1789 che il pluralismo, quello ideologico, penetra nel senso comune dei popoli e nelle istituzioni con la nascita delle ideologie e dei partiti politici, che allora si chiamavano club, mentre il pluralismo sociale, cioè la ricchezza della vita della società composta da corpi intermedi, tende progressivamente ad essere uniformizzato dall’estensione e dall’invadenza dello Stato.
Il mondo perde così la sua omogeneità culturale, garantita dal diritto naturale e dalla religione cattolica, e le diverse ideologie entrano a pieno titolo nella vita pubblica e cominciano a combattersi, a volte anche in modo cruento, per l’egemonia sulla società e sugli Stati: sarà la lunga «guerra civile europea», per usare un’espressione cara a Ernst Nolte, che vedrà contrapporsi liberalismo, nazionalismo, fascismo, nazionalsocialismo e socialcomunismo, fino al 1989.

Oggi, il relativismo
Oggi, nel mondo successivo al crollo del Muro di Berlino, si usa maggiormente l’espressione “relativismo”, per indicare il rifiuto della verità non in nome di idee forti, come nell’epoca delle ideologie, che pretendevano di rispondere falsamente a domande vere, ma nel nome di un nichilismo assoluto, che cerca di estirpare la domanda di verità dal cuore dell’uomo, per creare masse di consumatori silenti e incapaci di porre quesiti. Ma «se l’uomo nega la sua fondamentale capacità della verità – scrive la Congregazione per la Dottrina della Fede nella Nota dottrinale Missus a Patre del 2007 – se diviene scettico sulla sua facoltà di conoscere realmente ciò che è vero, egli finisce per perdere ciò che in modo unico può avvincere la sua intelligenza e affascinare il suo cuore».

Che fare?
Alla società postmoderna, disillusa, la Chiesa propone una nuova evangelizzazione. Allo scopo servono “operai” innamorati di Dio, capaci di ripetere il miracolo del primo Millennio, quando i cristiani seppero penetrare nella cultura e nelle istituzioni del tempo per seminarvi il Vangelo. Il secondo Millennio dell’era cristiana vide così spuntare i frutti e i fiori della prima evangelizzazione, una civiltà sempre più umana perché teneva conto dell’insegnamento di Cristo.
La Chiesa non ha cominciato oggi a porsi il problema di come aiutare il ritorno alla fede di chi si è allontanato. Nel 1950, l’Azione Cattolica lanciò una grande crociata per il «gran ritorno e il gran perdono » di chi aveva prima combattuto nelle elezioni del 18 aprile 1948 e poi era stato scomunicato nel 1949. Fu una campagna voluta dal servo di Dio Pio XII (1939-1958), realizzata da Luigi Gedda (1902-2000), in cui il mondo cattolico mostrò che accanto al combattimento, quando necessario, i cattolici sanno unire la delicatezza e la riservatezza del rapporto personale. Iniziò lì, probabilmente, la nuova evangelizzazione, che sarebbe continuata nel nuovo approccio proposto dai documenti del Concilio Vaticano II, dall’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del servo di Dio Paolo VI del 1975, e infine nella esplicitazione della nuova evangelizzazione nei pontificati del servo di Dio Giovanni Paolo II (1978-2005) e di Benedetto XVI.

Per saperne di più…

Le Udienze generali da cui traggo e principali citazioni sono rispettivamente del 28 agosto 974 e del 4 maggio 1969. Entrambe le ho consultate sul sito della Santa Sede www.vatican.va.
La Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede Missus a Patre su alcuni aspetti dell’evangelizzazione, del 3 dicembre 007, si può leggere in Enchiridion vaticanum, vol. 24, Documenti ufficiali della Santa Sede 2007, EDB, 2009, pp. 1168-1211.
Sulla crociata del 1950 cfr. Mario Casella, L’azione cattolica italiana e i «lontani». L’anno santo del 1950 e la «crociata del gran ritorno e del gran perdono», Velar, 2010..

 

 

 

 

 

IL TIMONE N. 99 – ANNO XIII – Gennaio 2011 – pag. 58 – 59

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