Da noi gli omosessuali sono liberi di fare le loro battaglie e non rischiano di certo la pena di morte Altrove sì. Ma nessuno protesta. Nei paesi islamici e in India sono considerati dei criminali e puniti duramente
Nella provincia autonoma di Aceh, in Indonesia, chi è omosessuale è punito con ben 100 frustate, un doloroso e umiliante supplizio che si protrae per parecchie decine di minuti, lasciando chi ne è vittima con la schiena coperta di piaghe, prostrato e privo di forze. In alternativa alla frusta, chi è condannato per relazioni omosessuali deve pagare una multa equivalente a un chilo d'oro oppure scontare una pena detentiva di 100 mesi, più di otto anni di carcere. Un retaggio del passato? No, affatto. La norma è recente, approvata il 27 settembre 2014 dal parlamento locale, e fa parte di un ampio pacchetto di leggi, il Qanun jinaya, che regola severamente pure il consumo di alcolici, il gioco d'azzardo, gli stupri e la mescolanza tra uomini e donne.
La provincia di Aceh, all'estremità settentrionale dell'isola di Sumatra, è diventata "territorio speciale" nel 2001 dopo anni di lotta per l'indipendenza dall'Indonesia, e si distingue come una delle poche zone del Sud-est asiatico in cui la Sharia è legge comune.
La dura legge del sultano
L'Indonesia, che conta il maggior numero di musulmani al mondo, 215 milioni, potrebbe essere pericolosamente "contagiata" dalla scelta integralista della provincia di Aceh: per quanto piccola, con una popolazione di meno di 5 milioni di abitanti, rischia di dar via a un effetto domino. E preoccupa il fatto che le norme anti-gay ad Aceh colpiscano tutti, anche chi non è musulmano. Pochi mesi prima, il 30 aprile 2014, nella stessa area geografica, il sultano Hassanal Bolkiah, sovrano assoluto del Brunei (<<ripongo la mia fede in AIlah»), aveva approvato un sistema legislativo ancora più severo, che estende al codice penale e civile la legge islamica, fino ad ora utilizzata solo per regolare le contese personali e il diritto familiare. In pratica, per l'adulterio e la sodomia è prevista la lapidazione. Sia pure in sordina, le Nazioni Unite hanno espresso la loro preoccupazione. «La legge internazionale considera la lapidazione a morte come una tortura e la proibisce, così come altri trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti», ha dichiarato Rupert Colville, portavoce dell'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani. In realtà, non è una novità che ci siano norme così dure verso i gay nei Paesi islamici. Così, l'Afghanistan è considerato uno dei Paesi più omofobi al mondo e le relazioni omosessuali sono punite con la morte per lapidazione; accade lo stesso in Mauritania. Essere omosessuale è un reato in Arabia Saudita e le pene dipendono dal giudice: si va dal carcere alle multe, dalle percosse all'espulsione se stranieri.
Nigeria, punire chi frequenta i gay
Mentre in Italia le lobby gay, baloccandosi con la parola magica e di gran moda "omofobia", si accaniscono contro chi semplicemente esprime una posizione diversa, a favore della unicità e dignità del matrimonio naturale tra uomo e donna, l'omosessualità è un reato punito con il carcere pure negli Emirati Arabi Uniti, con multe e deportazione se si è stranieri. È contemplata anche la pena di morte. In Iran i gay sono perseguitati e uccisi con l'impiccagione. In Pakistan le relazioni omosessuali sono perseguite e punite con frustate e anche con la morte per lapidazione, in Somalia con la prigione o con la pena di morte. In Sudan e Sud Sudan gli omosessuali sono puniti con pene che vanno da centinaia di frustate fino alla lapidazione. Nello Yemen l'omosessualità è illegale e punita con pene come la flagellazione e la morte. Infine la Nigeria: il più popoloso Paese dell'Africa (più di 160 milioni di abitanti, in continua crescita), il 7 gennaio 2014 ha ufficialmente bandito le unioni omosessuali, le effusioni in pubblico tra persone dello stesso sesso e l'appartenenza a gruppi gay. Secondo il governo, la nuova normativa rifletterebbe il sentimento di gran parte dei cittadini, in maggioranza musulmani. Così l'omosessualità è punita con frustate se si è uomini single, mentre se si è sposati è prevista la prigione o la pena di morte; è prevista invece la condanna a cinque anni di carcere per chiunque sostenga le associazioni a favore dei diritti Lgbt, mentre è allo studio una norma che punisca chi ha rapporti di amicizia o di lavoro con persone omosessuali.
“La compassione di Cristo”
Da notare che il presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, l'arcivescovo di Jos monsignor Ignatius Kaigama, pur ribadendo la posizione tradizionale della Chiesa che considera la pratica omosessuale un vizio morale, ha difeso con chiarezza la dignità delle persone con tendenze omosessuali: «Verso di loro avremo sempre la compassione di Cristo e difenderemo i loro diritti, come abbiamo sempre fatto per le persone discriminate». Anche il Southern Cross, il settimanale dei vescovi del Sudafrica, ha criticato le norme varate dalla Nigeria come da altri Stati del continente africano (Uganda, presto Camerun e Tanzania), che «criminalizzano l'omosessualità». Per la rivista cattolica «queste leggi non intendono rendere illegali le azioni tra persone dello stesso sesso – lo sono già, e pure punibili, in diversi Stati dell'Africa – ma intendono perseguire le persone in base al loro orientamento sessuale». Secondo il Southern Cross «non solo sono ingiuste, ma hanno anche il potenziale di lacerare il tessuto sociale poiché possono facilitare false denunce per guadagno, carriera o vendetta, cioè gli stessi rischi cui sono esposti i cristiani in Pakistan, sotto l'intollerabile legge della blasfemia», La rivista della Conferenza episcopale sudafricana ribadisce la posizione della Chiesa sulle persone omosessuali: odio e intolleranza nei loro confronti «sono in conflitto con gli insegnamenti cattolici. La Chiesa non può sostenere la criminalizzazione», e chiede che i gay «siano accettati con rispetto, compassione ne e sensibilità». Non è possibile accettare il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma la Chiesa «ha l'obbligo, imposto da Cristo, di essere solidale con tutti quelli che sono ingiustamente messi ai margini e perseguitati».
“Reato contro natura”
Anche l'India (un miliardo e cento milioni di abitanti, il secondo Paese più popolato al mondo dopo la Cina, otto indiani su dieci di religione indù, il 13 per cento musulmani), considera gli omosessuali dei criminali. E chi li difende? Anche qui, la Chiesa cattolica. Infatti la Corte suprema ha di recente ripristinato una legge che vieta l'omosessualità in quanto «reato contro natura». La vicenda era iniziata il 2 luglio 2009 quando l'Alta corte di Delhi aveva stabilito che gli atti omosessuali non possono essere considerati un crimine, ma il primo tribunale del Paese, appunto la Corte suprema, in un clima politico mutato dopo la vittoria alle elezioni degli ultranazionalisti indù, ha ribaltato quel giudizio, reintroducendo la norma che prevede fino a dieci anni in cella, e in qualche caso anche il carcere a vita. Tra le voci che si sono opposte con maggior forza a queste norme gravemente punitive spicca appunto quella dell'arcivescovo di Mumbai, monsignor Oswald Gracias. «La Chiesa cattolica», ha detto, «non è mai stata contraria alla decriminalizzazione dell'omosessualità, perché non abbiamo mai considerato i gay criminali. In quanto cristiani esprimiamo il nostro pieno rispetto». Per la precisione, «la Chiesa cattolica si oppone alla legalizzazione dei matrimoni gay, ma insegna che gli omosessuali hanno la stessa dignità di ogni essere umano e condanna ogni forma di ingiusta discriminazione, persecuzione o abuso». Non è altro che l'insegnamento del Catechismo della Chiesa cattolica (punti 2357-2359). Continuare a dipingere la Chiesa come anti-gay non corrisponde alla realtà. •
Il Timone – Novembre 2014