Ai primi cristiani mosse accuse di commettere delitti infamanti: infanticidio e incesto. Al centro delle insinuazioni, la celebrazione della comunione, fino al II secolo confusa con sacrifici umani e altre pratiche disonorevoli. Le testimonianze del pagano Plinio il Giovane e di Tertulliano ristabiliscono la verità.
Una prima allusione al fraintendimento dell’Eucarestia da parte delle folle pagane è presente in Tacito (Ann. XV, 44.4) che, parlando dell’attribuzione ai Cristiani da parte di Nerone dell’incendio di Roma del luglio 64, osserva che essi, pur innocenti dell’incendio, erano invisi al volgo per flagitia.
Il termine flagitium indica in latino colpe atroci e turpi, le stesse per le quali la Prima Lettera di Pietro (4,4) – che io credo di poco anteriore all’incendio – dice che i cristiani erano calunniati (il greco usa il verbo blasfemein).
Che fra questi flagitia ci fosse appunto il pasto eucaristico, inteso come atto di cannibalismo, sembra certo, oltre che dalla ripresa che ne fece nel II secolo Frontone, da un’allusione di Petronio nel Satyricon, cap. 141, in cui Eumolpo stabilisce nel suo testamento che entrino in possesso della sua immensa eredità solo coloro che, tagliato a pezzi il suo corpo, se lo mangiano in pubblico. Com’è noto, Petronio scriveva in ambiente neroniano e in un periodo molto vicino all’incendio del 64, conosceva i Cristiani e arrivava addirittura a far la parodia del Vangelo di Marco a proposito dell’unzione di Betania. Non si può quindi escludere che anche qui, come nel caso della Resurrezione nella novella della Matrona di Efeso, intenda alludere al Cristianesimo.
La calunnia doveva essere ancora diffusa in Bitinia intorno al 112 d.C. se Plinio il Giovane – che allora governava la provincia e che in seguito al moltiplicarsi delle accuse aveva dovuto affrontare i processi contro i cristiani – si sente costretto a chiedere a Traiano se essi vadano condannati per il nomen (cioè solo per la loro adesione al cristianesimo) o per i flagitia cohaerentia nomini (cioè per i delitti collegati a quella professione di fede; Ep. X. 96,2). Plinio si fa poi un dovere di rassicurare l’imperatore circa l’inesistenza di questi flagitia e di attestare ciò che egli aveva appurato nell’interrogatorio degli accusati e di due ministrae (diaconesse?): i cristiani si riuniscono in un giorno stabilito prima dell’alba e si obbligano con giuramento (sacramento) non a compiere qualche delitto, ma a fuggire i furti, i latrocinii, gli adulterii, a mantenere la parola data (fidem), a restituire i depositi. Dopo di ciò, egli dice, si separano e poi si riuniscono di nuovo, per prendere un cibo comune, ma innocuo (ad capiendum cibum, promiscuum tamen sed innoxium).
Oggi prevale l’idea che l’assemblea eucaristica sia la prima riunione antilucana e che la seconda riguardi l’agape: il termine sacramentum, in effetti, usato per certe iniziazioni misteriche e per le congiure, ma anche e soprattutto per il giuramento militare, indica sempre un giuramento collegato con un sacrificio a fondamento di un patto. L’idea di alleanza fondata su un sacrificio è ben presente nell’azione liturgica cristiana: Paolo, nella Prima Lettera ai Corinti (11,25) ricorda le parole di Cristo sulla «nuova alleanza fondata nel mio sangue». Plinio, applicando qui per la prima volta il termine sacramentum al Cristianesimo, sembra aver colto correttamente il senso profondo dell’assemblea eucaristica. Tertulliano, citando Plinio (Apologeticum, 2,6), ne riprende l’espressione usando il plurale e anticipandola come contenuto dell’intera assemblea e della stessa fede cristiana.
Dopo la presa di posizione di Plinio, l’accusa ai cristiani di flagitia sembra aver perduto per qualche tempo il suo peso: anche se essa forse continuava tra le folle ignoranti, la certezza che l’autorità non era disposta a prenderla in considerazione toglieva ad essa la sua pericolosità, tanto che i primi apologisti, da Aristide a Giustino, non avevano sentito il bisogno di confutarla sistematicamente.
In Atenagora, invece, e poi in Minucio e in Tertulliano, la confutazione di questa accusa assume un’importanza decisiva ed essa ebbe una parte nei processi dei martiri di Lione del 177. Essa fu rilanciata in effetti nell’orazione di Frontone, console del 143 e maestro e amico di Marco Aurelio, il cui attacco al cristianesimo è il più antico sferrato dalla cultura pagana in modo sistematico di cui noi abbiamo notizia.
Di esso Minucio Felice ci conserva per bocca del pagano Cecilio un frammento nell’Ottavio (IX,6): «Si riuniscono per un banchetto in un giorno solenne con tutti i figli, le sorelle e le madri, uomini di ogni sesso e di ogni età; quando, dopo aver pranzato, il convito si riscalda e arde di fervore di una libidine incestuosa, un cane rovescia il candelabro a cui è legato e, spenta la luce, essi intrecciano accoppiamenti di infame lussuria, macchiandosi di incesto».
Tertulliano (Apol. VII,1 e seguenti), attingendo alla stessa fonte, ricorda che i cristiani sono detti scelleratissimi de sacramento infanticidi et pabulo inde et post convivium incestum (per il rito dell’infanticidio e per il cibo quindi preso e per l’incesto) e, più avanti (VIII, 7-8) irride con caustica ironia la scena descritta da Frontone, spiegando che per divenire cristiano è dunque necessario prendere un bambino ancora tenero, un cane, un candelabro e, soprattutto, avere sorelle, fratelli e figli: e che farai – si domanda – se la madre e la sorella non vorranno venire o se non ne avrai?
Negli anni fra il 175 e il 177 la ricerca d’ufficio, esclusa da Traiano, fu applicata ai cristiani da Marco Aurelio grazie a una modifica della legislazione sui sacrilegi, a cui i Cristiani, nel momento in cui si diffondeva l’eresia montanista, venivano da molti assimilati.
Le apologie di Atenagora, di Melitone, di Apollinare, di Milziade, tutte fra il 176 e il 177, eliminarono in gran parte l’equivoco sulla confusione tra cristiani e montanisti e già alla fine del regno di Marco Aurelio e poi, certamente, sotto Commodo e sotto i Severi, con l’invito ai Cristiani ad uscire dalla clandestinità, fu ripristinata la linea traianea e, in molti casi, la tolleranza di fatto. Quando, nella seconda metà del III secolo, con la grande persecuzione di Valeriano (257-260) e poi nel IV secolo con quella di Diocleziano e di Galerio (303-311), l’attacco al Cristianesimo fu ripreso, non più contro i singoli per una colpa religiosa, ma contro la Chiesa, dei flagitia non si parlò più.
BIBLIOGRAFIA
M. Sordi, Le polemiche intorno al cristianesimo nel II secolo, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, XVI, 1962 p. 1 e sgg.
M. Sordi, Il sacramentum in Plinio Ep. X, 96,7, in Vetera Christianorum, 19, 1982, p. 97 e sgg; ora in Da mysterion a sacramentum, in Autori Vari, Il mistero della carne, a cura di A.M. Mazzanti, Edizioni Itaca, Castel Bolognese 2003, p. 65 e sgg.
IL TIMONE – N. 46 – ANNO VII – Settembre/Ottobre 2005 – pag. 28 – 29