Se si volesse eliminare tutto ciò che potrebbe urtare la sensibilità degli islamici ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli.
Bisognerebbe innanzitutto cominciare dal nome «Europa», perché la prima volta che il termine appare in un documento è nelle cronache coeve alla battaglia di Poitiers, dove nel 732 Carlo Martello fermò i musulmani invasori. Poiché questi ultimi erano africani, sebbene provenissero dalla Spagna, il cronista designò i loro avversari come «europei». Le grandi coalizioni che organizzarono le Crociate furono un’Unione Europea ante litteram precedute dall’impero bizantino che, essendo «romano» in quanto pars orientalis di Roma, da quest’ultima ereditò il braccio di ferro con l’impero persiano e fino al 1453 costituì l’antemurale contro l’islam. Proprio la sua caduta costrinse l’Europa a cercare di raggiungere i mercati delle spezie (essenziali per la conservazione del cibo) circumnavigando il globo, giacché la via verso Est era irrimediabilmente bloccata. Dunque, anche l’America deve la sua nascita all’assedio islamico.
Non solo: Colombo ricordò ai Re Cattolici nel suo testamento l’impegno che avevano preso con lui di utilizzare l’oro e l’argento portato dal Nuovo Mondo per la grande crociata che avrebbe dovuto liberare per sempre i Luoghi Santi. Ma poco dopo scoppiò la rivoluzione protestante e l’Europa ebbe altro a cui pensare.
Si deve a Bisanzio la festa dell’Esaltazione della Croce (14 settembre), che ricorda la protocrociata dell’imperatore Eraclio contro i Persiani mazdeisti. Questi avevano invaso la Palestina e distrutto il Santo Sepolcro, portandosi via come preda la Vera Croce (a suo tempo ritrovata dalla madre di Costantino, s. Elena). Nel 629, dopo una straordinaria campagna militare, Eraclio riuscì a riportare la fondamentale reliquia a Gerusalemme il 14 settembre. Ma proprio il logoramento reciproco tra i due imperi permise ai maomettani subito dopo di sconfiggerli tutti e due e di impadronirsi di Gerusalemme.
In Spagna, ottocento anni di Reconquista cristiana condotta contro l’islam hanno di certo lasciato qualche ricordino in loco, a cominciare da quel Santiago Matamoros (letteralmente: «san Giacomo uccisore di mori») che i preti custodi di Compostella hanno recentemente cercato di defilare nel museo suscitando un coro di proteste.
Eh, sì, la storia è storia, e a nessun cristiano di Turchia, per esempio, viene in mente di protestare perché Santa Sofia era un tempo la più grande cattedrale della cristianità. Certo, è più agevole «rileggere» il nostro s. Francesco, la sua partecipazione alla quinta crociata e il suo drammatico confronto col sultano Malik al-Kamil come «protodialogo interreligioso », anche perché l’interessato non può più chiarire. Ma non c’è politically correctness che possa censurare i passi della Divina Commedia dedicati a Maometto o il famigerato affresco nella bolognese San Petronio.
Si può, sì, far finta che il calendario liturgico non abbia nulla a che vedere con la millenaria lotta dell’Europa cristiana contro l’antico avversario. O che la festa principale della siciliana Scicli, per esempio, non sia dedicata a Nostra Signora delle Milizie (con tanto di statua, equestre e rampante, della Madonna – sì, avete letto bene – con la corazza e la spada sguainata), a ricordo della strepitosa vittoria ottenuta dal normanno Ruggero contro indovinate chi. Ma un’indagine paese per paese, in tutta Europa, darebbe chissà quali altre sorprese. Niente, restiamo a quel che vale per tutti, il calendario appunto. Il 7 ottobre è, sì, la festa della Madonna del Rosario, ma si chiama anche Nostra Signora della Vittoria. La vittoria in questione è quella di Lepanto, nel 1571, quando il papa s. Pio V ordinò a tutti i cattolici di sostenere l’impresa con la recita del rosario. Il 6 agosto è la festa della Trasfigurazione. Fu introdotta per simboleggiare la gioia che aveva «trasfigurato» il volto dell’Europa alla notizia dell’impensabile vittoria del 1456 contro i turchi.
Questi, a soli tre anni dalla presa di Costantinopoli, erano già a Belgrado. Il papa Callisto III, svenando la Chiesa, finanziò la costituzione di un esercito comandato dall’ungherese Janos Hunyadi. Ma era un’armata raccogliticcia, che sarebbe stata schiacciata se il suo cappellano, s. Giovanni da Capestrano (francescano), non l’avesse galvanizzata ponendosi, crocifisso in mano, alla sua testa. La notizia della vittoria giunse a Roma appunto il 6 agosto poco prima di mezzogiorno e il Papa ordinò che le campane di Roma suonassero a distesa. Volle anche che, da allora in poi, tutte le campane della cristianità suonassero a mezzogiorno. Quel papa, ottantenne, era un Borgia.
Un altro papa Borgia, il vituperato Alessandro VI, introdusse l’Angelus di mezzogiorno, annunciato da quelle campane.
La liberazione di Belgrado ritardò per settant’anni l’invasione turca dell’Ungheria e il doppio assedio di Vienna. Il 12 settembre è la festa del Nome di Maria, perché quel nome volle cucito sulle bandiere cristiane l’ennesimo francescano, il beato Marco d’Aviano, anima della vittoria del 1683 alle porte di Vienna. Tra parentesi, il croissant con cui facciamo colazione nacque proprio lì: un panino a forma di mezzaluna, per spregio al nemico. E il Beato era un «cappuccino ». Se i politicamente corretti odierni leggessero l’omelia che quel sant’uomo tenne alle truppe prima della battaglia rabbrividirebbero, perciò la tralasciamo. Ma neanche loro possono decanonizzare la legione di santi e martiri di cui è pieno il calendario cristiano, tra cui quali s. Ferdinando III re di Castiglia, s. Luigi IX re di Francia e gli ottocento Martiri di Otranto.
Se leggiamo il bel libro di Alberto Leoni, Storia militare del cristianesimo (Piemme), vediamo che per quasi tre quarti del volume non si può fare a meno di occuparsi di islam. Se leggiamo l’agghiacciante A morte in nome di Allah di Camille Eid e dello stesso editore ci facciamo un’idea un po’ più precisa su come andavano le cose nel decantato islam iberico e siciliano. Se leggiamo il bellissimo discorso del «cedete il passo» del giovane presidente libanese Bashir Gemayel abbiamo un quadro un po’ più chiaro di certe fantomatiche «felici convivenze» («…mai più noi cristiani dovremo sentirci dire “cedete il passo”…»).
Gemayel saltò in aria per una bomba nel settembre del 1982, nel giorno della Festa dell’esaltazione della Croce, e il Libano sprofondò nella guerra civile: quindici anni di massacri, per finire sotto “protezione” siriana.