L’aridità spirituale che si sta diffondendo un po’ ovunque e i danni prodotti da teologi fuorviati impongono il recupero della teologia spirituale e mistica. Mai come oggi questa sta cadendo nel dimenticatoio, anche a causa dell’accusa neomodernista di essere “intimista”. Le carenze dottrinali in tale ambito hanno nel tempo causato vari guai: crisi di guide spirituali, gravi errori di discernimento, carenza di vocazioni, penuria di santità.
Eppure l’esperienza mistica (che non va confusa con la manifestazione di carismi o i fenomeni di apparizione) è la più autentica dimensione della fede. Essa affonda le sue radici nell’insegnamento di Gesù, ed è la più profonda espressione della compartecipazione alla sua natura divina. «Io sono la vite, voi i tralci,… chi rimane in me e io in lui porta molto frutto» (Gv 15,1ss); «Che tutti siano uno, come tu, Padre, sei in me e io in te» (Gv 17,21ss); «Chi mangia di me vivrà per me» (Gv 6,57). San Pietro spiegò che proseguendo nel cammino di fede diventiamo «partecipi della natura divina» (2 Pt 1,4), e San Paolo, grande mistico, giunse a scrivere: «Per me vivere è Cristo» (Fil 1,21), «non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me» (Gal 2,20).
Nella mistica avviene dunque un processo di fusione dell’anima con Dio, che possiamo verificare dalle biografie di tanti santi. Ma per comprendere la mistica non basta essere teologi: occorre percorrere almeno in parte questo stesso cammino, entrare in congenialità profonda con Cristo e i suoi amici “più intimi”, quali sono appunto i mistici. Una deformazione frequente nei teologi è una certa presunzione che viene dal trattare cose alte con una eccessiva stima della propria intelligenza o cultura. Ma l’esperienza e il linguaggio dei mistici sfuggono alle facili schematizzazioni e alle fredde catalogazioni di chi si accosta allo studio delle cose di Dio con cuore arido. Invece, la mistica nasconde un tesoro di conoscenza, acquisito per via contemplativa e per unione sponsale col mistero, che è assai prezioso; un tesoro avvicinabile solo dai “puri di cuore”, dagli spiriti più umili e più innamorati del Cristo.
Tra tutti i carismi che lo Spirito Santo elargisce al popolo di Dio, non v’è dubbio che il “carisma migliore” sia proprio la vita mistica, che ha effetti grandemente benefici sul Corpo Mistico della Chiesa, ed anzi ne è la vera espressione. Nelle vite dei santi leggiamo che quando essi approdano nella vita mistica apprendono molte più cose che in tutto il resto della loro vita, e talvolta si tratta di conoscenze così alte da essere perfino difficile comunicarle. San Tommaso d’Aquino dichiarò, prima di morire, che tutta quella scienza di cui aveva scritto era ben poca cosa rispetto a ciò che Dio gli aveva comunicato per via mistica. Sant’Ignazio di Loyola, quando si ritirò a vita spirituale sulla riva del Cardonner, fu introdotto da Dio alle vette più Il dono mistico alte dello spirito, tanto da cogliere l’unificazione di tutto e il più profondo senso delle cose. Affermò di aver ricevuto una luce così intensa nell’intelletto che gli parve di essere divenuto “un altro uomo”, e se anche non fosse esistita la Sacra Scrittura a insegnargli le verità fondamentali, sarebbe stato ugualmente disposto a morire per esse in virtù “di quanto aveva visto”. Santa Teresa d’Avila, santa Caterina da Siena, santa Brigida di Svezia, santa Faustina Kowalska, santa Margherita Maria Alacoque entrarono così profondamente nella vita mistica da intuire perfino il mistero della Trinità, di cui, tramite i loro scritti mistici, divennero maestre per tutta la Chiesa, sebbene le loro maggiori luci non trovarono formulazioni adatte al nostro linguaggio. In sostanza, il dono mistico è immersione più profonda nel mistero di Dio, donata da Dio stesso a persone da Lui scelte perché siano testimoni vivi del soprannaturale.
La vita mistica si realizza tramite una dilatazione del cuore che consente alla luce ineffabile dello Spirito, che pure è amore, di comunicarsi con l’intelletto, ampliando così l’orizzonte spirituale dell’anima, e conferendole una conoscenza esperienziale eccezionale delle cose di Dio. L’irradiazione intensa della santità di Dio che invade l’anima dotata del dono mistico la porta a un amore struggente verso Dio e a una struggente partecipazione al mistero di Cristo. Il Catechismo conferma questo punto affermando: «Il progresso spirituale tende all’unione sempre più intima con Cristo. Questa unione si chiama “mistica” perché partecipa al mistero di Cristo mediante i sacramenti – “i santi misteri” – e, in lui, al mistero della Santissima Trinità. Dio ci chiama tutti a questa intima unione con lui, anche se soltanto ad alcuni sono concesse grazie speciali o segni straordinari di questa vita mistica, allo scopo di rendere manifesto il dono gratuito fatto a tutti» (CCC 2014).
IL TIMONE – Aprile 2014 (pag. 61)