A motivo della sua trascendenza, Dio non può essere visto quale è “se non quando egli stesso apre il suo Mistero alla contemplazione immediata dell'uomo e gliene dona la capacità” (CCC 1028).
La vera natura dell'uomo è dunque quella contemplativa, e solo quando si è in possesso della virtù contemplativa si raggiunge la propria pienezza. Tale virtù è un dono speciale della grazia, che viene offerto a tutti, anche se conosciuto ed esercitato raramente. Si tratta di un particolare stato d'essere tramite il quale l'intelletto accede a conoscenze altrimenti invisibili, contempla in maggiore profondità le cose, arriva a scoprire quella "quarta dimensione" cui si riferiva San Paolo quando scriveva che oltre alla larghezza, alla lunghezza, all'altezza, esiste una profunditas «che sorpassa ogni conoscenza» (Ef 3,18). L'attitudine contemplativa conferisce all'uomo una disposizione interiore di intensa ricettività nei confronti delle cose, permette di percepire meglio la realtà che ci circonda, rendendoci più sensibili verso di essa. La mente del contemplativo si dischiude a una visione più profonda del mondo, la sua percezione viene così affinata da poter dire: «Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano. Stupenda per me la tua saggezza, troppo alta, e io non la comprendo. Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti. Se prendo le ali dell'aurora per abitare all'estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra. Se dico: "Almeno l'oscurità mi copra e intorno a me sia la notte", nemmeno le tenebre per te sono oscure, e la notte è chiara come il giorno; per te le tenebre sono come luce» (SI 138,5-12). Dio è onnipresente, ci circonda con la sua presenza, ed è quindi raggiungibile ad ogni istante, non solo nelle cose, che sono tutte abitate dalla sua presenza, ma anche in noi stessi, perché, come nostro Creatore, egli è "intimior intimo meo", più intimo a me stesso di quanto io possa esserlo a me stesso. È presente in noi con una "supercomprensione d'amore" di cui non riusciremo mai a misurarne i limiti. E anche le cose da Lui create rivelano agli occhi del contemplativo un'intelligenza, una sapienza, una potenza insondabile. La scienza scruta la materia compiendo un immane sforzo per conoscerne i segreti, ma è ben lontana dall'esaurirne il fondo. «Davvero stolti per natura tutti gli uomini che vivevano nell'ignoranza di Dio, e dai beni visibili non riconobbero colui che è, non riconobbero l'artefice, pur considerandone le opere", dice il Libro della Sapienza (13,1). Dio vuole renderei compartecipi dei segreti nascosti nel suo creato; come proclama San Paolo: «Dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute» (Rm, 1,20).
La presenza del Signore ci circonda in ogni verso, ma per vederla occorre, come scriveva un fine contemplativo, il gesuita padre Vittorio De Bernardi «accendere i fari del cuore». La virtù contemplativa non vede solo le cose, ma permette di cogliere il senso delle cose, le connessioni di ogni cosa con il tutto. Quando l'uomo si apre ad essa, Dio interviene a "svezzarci il cuore", ad elevare le nostre motivazioni interiori. Accendere i fari del cuore significa vedere le cose alla luce di "Colui che sta al di là delle cose". Ma occorre silenzio interiore, fuga dalla fretta che ci pone continuamente obiettivi diversi mentre il nostro obiettivo è uno solo: fermarsi e contemplare. Per capirlo, occorre non solo rinascere nella fede, ma anche l'arte di saper intrecciare la conoscenza con l'amore. Nell'amore i due, conoscente e conosciuto, diventano uno. Tra noi e le cose esiste un rapporto di natura sponsale. Conoscere è generare nel proprio cuore la cosa conosciuta. La stessa parola "conoscenza", del resto, deriva da "nascere con". Conoscere è generare nel proprio cuore la cosa conosciuta. Se siamo in grado di nascere insieme alla cosa conosciuta, essa nasce in noi e noi nasciamo con essa a cognizione nuova. La virtù contemplativa rende in grado di "comprendere" ("prendere con"), "capire" ("con-tenere"), e di "intuire" ("entrare dentro"). Se si perde questo rapporto tra conoscente e cosa conosciuta si rimane vuoti, e a loro volta le cose rimangono morte per noi. I doni più preziosi della vita rischiano di scorrere davanti a noi senza che ce ne accorgiamo. E tra questi la capacità di intuire, di vedere, di ascoltare, e soprattutto il dono che sta al di sopra di ogni altro dono, e cioè l'attitudine contemplativa che ci fa vedere Dio in ogni cosa, e ogni cosa in Dio. La contemplazione è "sguardo di fede", che perciò "conduce alla conoscenza interiore del Signore" (CCC 2715). •
Il Timone – Settembre/Ottobre 2014
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