C’è un progetto di Dio sui singoli, ma anche sulle nazioni. Esiste una legge naturale, che il mondo osteggia. Il compito dei cattolici? Guadagnare uomini e società a Dio.
Vi è stato un tempo in cui il termine consecratio mundi ha avuto un certo rilievo nel mondo cattolico, particolarmente in Italia, quando Papa Pio XII lo ha indicato come opera da compiersi da parte dei laici, attraverso il loro apostolato.
Erano gli anni successivi alla seconda guerra mondiale, quando le nazioni occidentali uscivano prostrate dal conflitto in cui le avevano costrette le ideologie che avevano preteso di costruire un mondo senza Dio, un mondo che si sarebbe presto rivelato contro l’uomo, secondo la celebre espressione ricorrente nel Magistero del Santo Padre Giovanni Paolo II.
In particolare in Italia, il mondo cattolico aveva la grande opportunità di costruire una civiltà conforme all’ insegnamento del Vangelo e della dottrina sociale naturale e cristiana, anche grazie alla grande fiducia che la popolazione, impoverita dalla guerra e umiliata dal crollo istituzionale successivo all’8 settembre 1943, riponeva nella Chiesa e soprattutto nei parroci, che erano sempre stati vicini alle persone, aiutandole nei drammatici problemi della vita quotidiana.
Per consecratio mundi Pio XII non intendeva un’indebita ingerenza del clero nella vita temporale delle nazioni – una sorta di “repubblica dei preti”, come verrà descritta dalla propaganda laici sta anche grazie a diffusi esempi di clericalismo fra laici e sacerdoti dell’ epoca -, ma il riconoscimento dell’ esistenza di un progetto di Dio non solo sui singoli, ma anche sulle nazioni, e di una legge naturale comune a tutti gli uomini e fonte dei loro diritti e doveri.
Per una serie di motivi, questo grande ideale di santità personale e sociale proposto dal Pontefice – che assumerà in particolare il nome di “crociata per un mondo migliore” – non si è realizzato, non soltanto per cause esterne ma anche per motivi interni alla vita della Chiesa. Con la sua scomparsa dagli ideali proclamati dai cattolici più impegnati, si è perso anche in buona parte lo spirito missionario, aspetto fondamentale del patrimonio della Chiesa, al punto che una Chiesa che rinunciasse alla ricerca della missione non sarebbe più la stessa Chiesa fondata da Gesù Cristo. Per usare le drammatiche parole di Papa Paolo VI, un sottile ma reale processo di “autodemolizione” (Allocuzione del 7 dicembre 1968) si sarebbe verificato nella vita della Chiesa, addirittura “il fumo di Satana” (Allocuzione del 29 giugno 1972) sarebbe penetrato nel sacro recinto della Chiesa negli anni successivi al Concilio Vaticano II.
Eppure il Magistero del Concilio Vaticano II non ha evitato di ricordare la natura missionaria della Chiesa e, riferendosi all’ apostolato specifico dei laici, ha ricordato come l’ “animazione cristiana dell’ ordine temporale” sia l’ambito specifico nel quale il laico deve tendere al perseguimento della santità: sia il capitolo IV della Costituzione del Concilio Vaticano II Lumen gentium che il decreto conciliare Apostolicam actuositatem sull’ apostolato dei laici riprendono e sviluppano il magistero di Pio XII sul laicato. Nel 1989, ricordando i lavori del Sinodo dei vescovi sullaicato del 1987, Papa Giovanni Paolo II pubblica l’esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici. Chiamati alla santità, in quanto battezzati, attraverso la vita nel mondo, i fedeli sono invitati a rendere quest’ultimo più conforme al disegno di Dio, per offrirlo al Signore della storia e alla successiva generazione un po’ migliore di quanto lo abbiano trovato.
In particolare oggi, ricorda il Papa nella Christifideles laici, nelle nazioni del Primo Mondo, cioènei paesi europei già cristiani, dove la fede viene aggredita dal consumismo e dall’ ateismo pratico -che “non sono meno preoccupanti ed eversivi rispetto all’ateismo dichiarato“-, bisogna preparare e praticare una “nuova evangelizzazione” che rifaccia il tessuto cristiano della società. Non si tratta più soltanto di difendere la fede dagli errori che minacciano il modo di credere dei fedeli, ma di ricostruire rapporti umani e cristiani in un mondo che assomiglia sempre più a un deserto, dove nessuno crede più a niente, neanche agli errori. “Ora i fedeli laici, in forza della loro partecipazione all’ufficio profetico di Cristo, sono pienamente coinvolti in questo compito della Chiesa” (Christifideles laici, n. 34).
Se Pio XII raccomandava la costruzione di un mondo migliore, quando le persone venivano ancora educate nella fede e quindi era possibile preoccuparsi di dare vita a strutture sociali più degne, tutto questo oggi rimane valido come meta, ma presuppone la ricostruzione di un “uomo migliore”, ossia di un uomo nel quale rivivano quelle virtù naturali che il mondo contemporaneo non soltanto non pratica più, ma delle quali la cultura ufficiale diffida, osteggiandole il più possibile. Volete fare una prova? Entrate in una classe delle scuole medie, anche inferiori, e provate a parlare della purezza, oppure intervenite a una riunione di un qualsiasi partito politico parlando della necessità di proclamare pubblicamente la verità e di perseguire il bene comune usando mezzi moralmente leciti. Poi scrivetemi il risultato.
IL TIMONE – N.4 – ANNO I – Novembre/Dicembre 1999 – pag. 22 – 23