L’anno giubilare è l’occasione che il Santo Padre ha scelto per chiedere, giustamente e ancora una volta, perdono a Dio per le colpe commesse dai cattolici nel corso della storia. Ci uniamo al Papa, lo accompagniamo con la preghiera, lo sosteniamo con il nostro impegno, imploriamo da Dio il perdono, senza curarci delle incomprensioni, delle maldicenze, degli indici puntati, delle risate e degli scherni che, è prevedibile, non mancheranno. Già si vede come il gesto del Pontefice offra a molti il destro per sventolare l’umiliazione della Chiesa davanti al mondo. Non capiscono, non possono, forse non vogliono capire la lezione di sapienza e l’esempio d’umiltà che il Papa impartisce al mondo intero. Sfugge loro la levatura morale, la nobiltà spirituale, perfino la grandezza umana dell’azione del pontefice. Pazienza.
Uniti al Santo Padre, anche noi vogliamo chiedere perdono. Per quanto ci riguarda, oltretutto, abbiamo colpe che sappiamo essere solo nostre, non di coloro che ci hanno preceduto, o ci circondano. Chiediamo perdono in primo luogo a Dio, come vuole il Papa. Ma crediamo di dover chiedere perdono anche ai cattolici. Ce lo consente il dogma della comunione dei santi, in base al quale la Chiesa, di cui siamo membra, è un corpo vivo di cui fanno parte tutti i battezzati: noi che siamo ancora in via (Chiesa militante), quelli che, terminato il cammino, purificano le loro colpe (Chiesa purgante) e coloro che già godono della felicità eterna (Chiesa trionfante). Sì, sentiamo d’aver commesso molte colpe, di aver fatto grandi torti, d’avere offeso tante volte i fratelli nella fede: i cattolici.
Quando? Dove? Ci manca lo spazio per un completo esame di coscienza. Ma un angolino per denunciare almeno una macchia grave lo troviamo.
Abbiamo offeso i cattolici quando, preoccupati di accordarci con il mondo, di tendere la mano anche ai nemici della Chiesa, ci siamo dimenticati dei perseguitati per la fede. Li abbiamo offesi quando, timorosi della reazione che diversamente avremmo scatenato, abbiamo preferito rifugiarci nel silenzio, talvolta nella fuga, spesso nella vile complicità.
Così, per fare un esempio, mentre i comunisti massacravano i credenti, distruggevano le chiese, chiudevano i seminari, bruciavano oggetti e libri sacri, molti di noi cattolici hanno taciuto e facevano accordi con i loro governi, stipulavano contratti commerciali, li ospitavano nelle scuole, li invitavano a casa, li ascoltavano con attenzione. Pensierosi, rispettosi e, vergogna, anche contriti.
Abbiamo offeso i cattolici quando abbiamo condannato all’oblio i fedeli vandeani e, prima di loro, i cattolici insorgenti, e quelli massacrati dai piemontesi risorgimentali, al soldo della Massoneria. E ancora li offendiamo quando, per evitare di stonare, ci siamo uniti al coro di proteste per due parole (dico due) di un politico austriaco – non quello, diabolico, con i baffetti e il braccio teso – ma un contemporaneo, fino a ieri innocuo sconosciuto, e abbiamo applaudito al ritiro degli ambasciatori, alla rottura dei rapporti commerciali, alle manifestazioni della piazza. Ma la nostra gola si è seccata e la lingua paralizzata quando il leader del paese più popolato della Terra, capo di un partito persecutore della Chiesa, visitava riverito, rispettato e anche temuto il nostro bel Paese. Là, a casa sua, i cattolici gemono ancora in carcere, vescovi e fedeli sono arrestati, torturati e uccisi. Qui, a casa nostra, il loro becchino riceveva i nostri omaggi. Sì, almeno in questo anno giubilare, perdonateci. Perdonateci cattolici.
IL TIMONE – N. 6 – ANNO II – Marzo/Aprile 2000 – pag. 2