Cinquant’anni fa, il 5 marzo 1953 morì Giuseppe Stalin. Anche quest’anno in Italia gruppi circoscritti di nostalgici hanno voluto ricordare la ricorrenza con intenti celebrativi. Assente in questi riti è stata la vergogna, che non può essere trascurata quando si tratta del nefasto personaggio in questione. Vogliamo scriverne anche noi con convinzioni del tutto opposte, di circostanziata condanna della ideologia chiamata comunismo, ricordando quelli che furono tra i peggiori delitti di quell’epoca “dalle idee assassine”: le persecuzioni della Chiesa cattolica in Urss, glorificando assieme il martirio di quanti lo patirono per aver mantenuto ferma la loro fede.
Saremmo, però, incompleti se non precisassimo con cura le date di quel continuato eccidio.
Fu nella primavera del 1922, quando la Russia sovietica si trovava stretta nella morsa della carestia e del massacro dei piccoli proprietari contadini, i kulak, che Lenin scrisse in un Memorandum per il Politbjuro: “È precisamente ora e solo ora che nelle regioni in cui c’è la fame la gente mangia carne umana e centinaia se non migliaia di cadaveri ingombrano le strade, che possiamo e perciò dobbiamo confiscare i beni della Chiesa con la più selvaggia e spietata energia (…) per assicurarci un fondo di molte centinaia di milioni di rubli d’oro”.
Dieci mesi dopo, egli morì. Nello stesso 1922, Stalin, nominato Segretario Generale del Partito comunista bolscevico, di fatto isola Lenin convalescente e interpreta, allargandola, la sua politica spietata. Essa compie con lui un salto di qualità e di quantità.
Stalin ha ricevuto dal seminario teologico cristiano ortodosso di Tiflis, dov’è stato dal 1895 al 29 maggio 1899, una istruzione umanistica, anche di lingua francese, di consistente misura. Figlio di un ciabattino buono a nulla di nome Vissarion Dzugasvili che beveva e lo picchiava, mentre sua madre lo difendeva e voleva che diventasse un sacerdote, non perdette mai, ma rifiutò e nascose, il suo accento della Georgia, anzi dell’Ossezia orientale che, nel mondo, può essere solo messo in relazione con la lingua basca di Spagna, lontana dal Caucaso migliaia di chilometri. Egli fu, infatti, un grande russificatore slavofilo.
Come perdette la fede, semmai l’avesse davvero avuta, è cosa poco nota, ma il suo interesse perverso per la religione è accertato: per ferirla e sradicarla. Egli ebbe uno scopo dichiarato e organizzato: cancellare soprattutto il “cattolicesimo romano papista” e a questo scopo introdusse un sistema poliziesco polivalente, considerando i fedeli e il clero portatori d’una fede attentatrice dello Stato e del Partito.
La struttura della Chiesa cattolica, dopo aver ricevuto assicurazioni nei giorni del colpo di stato bolscevico, venne colpita e sbaragliata fin dal 1926 e l’esistenza delle comunità cattoliche fu ridotta alla pura sopravvivenza, in condizioni di clandestinità e isolamento, sempre controllata a vista. Alla fine degli anni ’30, la Chiesa ortodossa fu ammessa, invece, ad usufruire di un sostanziale compromesso con il regime, rappresentato dalla” Dichiarazione di lealtà” firmata dal Metropolita Sergj (Stragorodskij) il 29 luglio 1927. Ciononostante, in un solo anno, nel 1931-’32,
vennero passati per le armi 19.812 fedeli ortodossi. Non restava nemmeno uno dei quasi mille monasteri esistenti prima della Rivoluzione e si trovavano in libertà solo quattro vescovi ordinari. Dal 1937 al ’41 vennero fucilati 110.700 membri del clero ortodosso, tra cui il locum tenens patriarcale Petr (Poljanskij), recluso da dodici anni in prigione. Nel 1939, sul territorio dell’Unione Sovietica rimanevano aperte non più di cento chiese parrocchiali delle 55.000 funzionanti nel 1917, in cui celebravano circa 500 sacerdoti, contro i 115.000 del 1917.
Nello stesso tempo, la lotta contro la Santa Sede divenne uno degli elementi fondamentali di un vero e proprio piano elaborato da Stalin per creare un “Centro religioso mondiale” a Mosca, celebrata come la “Terza Roma”. Nella relativa Risoluzione ufficiale, si calcava l’accento “sul carattere reazionario, antipopolare dei Vescovi romani”, condannati come “anticristiani, antidemocratici e antinazionali”. In particolare, si auspicava “la riunione delle Chiese dell’Europa orientale sotto la guida del Patriarcato di Mosca”, in chiara alternativa al magistero di Roma.
Nel dicembre 1943, Stalin personalmente chiese aIl’NKVD, la polizia segreta, un rapporto dettagliato sulla “situazione delle Chiese cattolico-romane” nel territorio sovietico, stabilendo che di esse avrebbero dovuto soprattutto occuparsi gli Agenti dei Servizi di sicurezza e il Soviet per gli Affari dei culti religiosi, appositamente costituito nella successiva estate del 1944.
L’intero complesso di misure repressive era stato originato da un atto solenne: il 10 maggio del 1937 era stata disposta per legge “la messa al bando della stessa idea di Dio”.
La Chiesa del Cristo Salvatore venne demolita a Mosca per essere sostituita dal Palazzo dei Soviet, il cui progetto di 500 metri di altezza non riuscì mai ad essere realizzato. La Cattedrale della Madonna di Kazan a Leningrado fu trasformata in “Museo della religione e dell’ateismo”.
Fedeli e clero andarono quindi a costituire, senza essere più neanche distinti, la spina dorsale e numericamente qualificata dell’esercito dei detenuti nei gulag. Si trattò di 2.500.000 persone, suddivise in 500 colonie di lavoro, una sessantina di grandi campi e una quindicina di campi a regime speciale; inoltre, si contarono 2.750.000 “coloni speciali” come gli altri obbligati al lavoro coatto e non retribuito, ma in condizioni ancora più feroci.
La Chiesa cattolica contrappose sempre una resistenza ostinata con il dissenso e con la pratica catacombale, come soprattutto la Chiesa greco-cattolica, della Polonia e dell’Ucraina. Nella sua Presentazione al bel libro di Michail Skarovskij, che uscirà fra breve per le Edizioni La Casa di Matriona, dal titolo “La Croce e il Potere”, Giovanna Parravicini conclude: “Quando tutto sembra essersi consumato, profanato, quando è stata tirata una linea e satana si prepara a mietere il suo raccolto, proprio allora succede quello che nessun computer al mondo sarebbe in grado di preventivare, e chissà perché tutto ricomincia da capo”.
Stalin • il mito 50 anni dopo
Dopo mezzo secolo, del “Padre dei popoli” si discute ancora. Dal giudizio che si dà di questa figura storica dipende in gran parte la valutazione del totalitarismo nel XX secolo. Nonostante si sappia tutto sui crimini efferati di questo perioso, il mito staliniano si dimostra più resistente di quanto si potesse credere: un mito d’acciaio inossidabile come sottolinea Adriano Dell’Asta, nell’articolo che apre il numero di marzo del prestigioso bimestrale La Nuova Europa, edito dalla casa di Matriona (tel. 035/294021). Vladimir Kotel’nikov fa un’interessante rassegna di quello che si dice oggi di Stalin in Russia. Michail Skarovskij (nell’anteprima del suo libro La croce e il potere di prossima uscita, presso “La Casa di Matriona”) ricostruisce il progetto staliniano di usare il patriarcato di Mosca come un “Vaticano rosso”, punta avanzata nella politica internazionale sovietica. Seguono una rassegna sulla “revisione storica” del mito staliniano nei libri di testo per le scuole in Italia e in Russia e un retroscena poco noto della politica internazionale di Stalin: l’evacuazione in URSS di tremila bambini spagnoli durante la guerra civile, esempio eloquente della forza dell’ideologia. Il numero della rivista si conclude con una intervista a un sopravvissuto.
Cronologia sommaria
Nella parte settentrionale e occidentale dell’Urss e nelle principali città, i cattolici erano costituiti da polacchi, bielorussi, lituani, lettoni e tedeschi. Nella parte meridionale e centrale della Russia europea, le comunità cattoliche erano formate per 1’80% da tedeschi (coloni nella regione del Volga), da armeni (di rito armeno), da polacchi (di rito latino), da ucraini (di rito slavo) e da georgiani (di rito bizantino-georgiano). Nella Russia asiatica, i cattolici si trovavano lungo le linee ferroviarie ed erano di provenienza polacca, tedesca e lituana.
23 gennaio 1918. Separazione della Chiesa dallo Stato. 26 febbraio 1922. Decreto di confisca dei beni preziosi della Chiesa.
Marzo 1923. Primi processi dei cattolici. Fucilazione di monsignor Costantin Budkevic, parroco di Santa Caterina a Petrograd, primo martire cattolico.
20 febbraio 1935. Arresto di monsignor Bartolomeo, vescovo ortodosso divenuto cattolico. Condannato a morte il 17 giugno.
1937. Più di cento preti cattolici sono fucilati a Solovki e nell’intera URSS. Vescovi e preti ortodossi vengono fucilati a migliaia. Mons. Alessandro Frizon, amministratore apostolico di Odessa, viene fucilato (2 agosto). 29 aprile 1945. Arresto, a Od essa, di padre Leoni, gesuita, e di padre Nicolas, condannati il13 settembre a dieci e otto anni di lavori correzionali.
Lettonia 1940-41. Circa 34.000 lettoni, tra cattolici e luterani, ivi compresi 6.000 intellettuali cattolici, trovano la morte durante l’occupazione sovietica che ha termine, temporaneamente, con l’avanzata dei tedeschi, per riprendere con il ritorno dei sovietici (ottobre 1944). Dei 187 sacerdoti lettoni che si contavano nel 1939, circa 50 (quasi il 30%) sono rimasti vittime del terrore comunista.
Lituania 1939. Si contano circa 900 tra chiese e cappelle, 800 delle quali parrocchie, oltre 1500 sacerdoti e circa 3.000.000 di cattolici, 1’80% della popolazione. Dopo le due occupazioni sovietiche, inframmezzate da quella tedesca, rimanevano (nel 1948) circa 700 sacerdoti, il che significa che le perdite, a quell’epoca, dovute all’imprigionamento, alle deportazioni e alle esecuzioni del clero erano di circa il 53%. Nel 1954, un anno dopo la morte di Stalin, i sacerdoti erano scesi a soli 400.
Ucraina 1945. Nel mese di aprile vengono arrestati i vescovi e la Chiesa greco cattolica è messa fuorilegge. Secondo la testimonianza del cardinale Josyf Slipyj, la persecuzione costò la vita a dieci vescovi, a più di 1.400 sacerdoti e 800 suore, oltre a un numero notevole di semplici fedeli.