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10.12.2024

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Cedo la penna a Solzenicyn
31 Gennaio 2014

Cedo la penna a Solzenicyn

 

 

 

“Arcipelago Gulag”, un’opera che deve essere letta da ogni uomo che ama la libertà.

Cari lettori, poiché Vi ho scritto una lunga lettera che troverete nelle pagine immediatamente seguenti questa, una lettera che spero vogliate leggere non solo con attenzione ma anche con benevola comprensione, preferisco non tediarvi oltre con il mio editoriale.
Cedo allora volentieri la penna al più grande scrittore russo vivente, Alexander Solzenicyn, cristiano ortodosso (a proposito: non lo fa nessuno, o, almeno, nessuno dice di farlo, ma noi, come cattolici, mentre restiamo ammirati per la sua testimonianza coraggiosa, invitiamo a pregare per la sua conversione al cattolicesimo). Riporto una sua pagina memorabile, tratta da “Arcipelago Gulag”, un’opera che deve essere letta da ogni uomo che ama la libertà. Per non dimenticare quanto è stato disumano quel regime che si è voluto costruire appositamente senza tenere conto di Dio. Il più disumano che la storia abbia conosciuto fino ad oggi.
“Ecco una scenetta di quegli anni. Si sta svolgendo (nella regione di Mosca) una conferenza regionale di partito. La dirige il nuovo segretario del comitato rionale, nominato al posto dell’altro, recentemente arrestato. Alla fine della conferenza viene approvato un messaggio di fedeltà a Stalin.
Naturalmente tutti si alzano in piedi (come nel corso della conferenza tutti balzavano su a ogni menzione del suo nome). Nella piccola sala è una burrasca di applausi che diventa ovazione. Tre minuti, quattro minuti, cinque minuti: sono sempre burrascosi e si tramutano sempre in ovazione. Ma già le palme sono indolenzite. Già le braccia alzate sono informicolite. Già gli anziani hanno l’affanno.
Sta diventando insopportabilmente ridicolo anche per chi adora sinceramente Stalin. Ma chi oserà smettere per primo! Lo potrebbe fare il segretario del comitato rionale, in piedi sul podio, il quale ha appena letto il messaggio. Ma è nominato da poco, al posto d’un arrestato, ha paura! Infatti vi sono in sala quelli dell’NKVD, in piedi ad applaudire, osservano chi smetterà per primo! E gli applausi, in una piccola sala sperduta, all’insaputa del grande capo, continuano 6 minuti! 7 minuti! 8 minuti! Sono perduti! Rovinati! Non possono più fermarsi fino a quando non saranno caduti colti da infarto!
In fondo alla sala, nella calca, si può ancora fingere, battere le mani meno frequentemente, con minore forza e furore, ma al tavolo della presidenza, in piena vista di tutti? Il direttore della cartiera locale, uomo forte e indipendente, rendendosi pienamente conto della falsità della situazione senza scampo, è tra la presidenza e applaude. 9 minuti! 10 minuti! Egli guarda angosciato il segretario del comitato rionale ma quello non sa fermarsi. Follia! Follia collettiva! I dirigenti del rione, gettando occhiate l’uno all’altro con un filo di speranza ma con la sola esultanza dipinta sulla faccia, applaudiranno fino a cadere, fino a quando li porteranno fuori in barella. E anche allora i rimanenti non batteranno ciglio!
All’undicesimo minuto il direttore della cartiera assume un’aria indaffarata e si siede al suo posto al tavolo della presidenza. Oh miracolo! Dov’è andato a finire il generale indescrivibile irrefrenabile entusiasmo?
Tutti in una volta, con l’ultimo battito di mani, cessano e si mettono a sedere. Sono salvi! Lo scoiattolo ha saputo schizzare fuori dalla gabbia con la ruota che gira!
Tuttavia proprio così si riconoscono gli uomini indipendenti. Proprio così si tolgono di mezzo. La stessa notte il direttore della cartiera è arrestato. Gli appioppano senza difficoltà, per tutt’altro motivo, dieci anni. Ma dopo la firma dell’articolo 206 (del protocollo conclusivo dell’istruttoria), il giudice gli rammenta: «E non smetta mai per primo di applaudire»”.

IL TIMONE N. 16 – ANNO III – Novembre/Dicembre 2001 – pag. 3

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