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11.12.2024

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C’era una volta la classe operaia
31 Gennaio 2014

C’era una volta la classe operaia

 


Sta tentando di diventare egemone una cultura che, scegliendo di privilegiare i piaceri e i desideri, rischia di lasciarsi alle spalle i bisogni veri del popolo. E i cattolici che difendono tradizione e ragione diventano un ostacolo.

La “dittatura dei desideri” al posto della dittatura del proletariato?

Da quando in qua, proviamo a chiederci, è divenuto così decisivo e impellente assicurare il matrimonio agli omosessuali e la pensione alle coppie di fatto? Determinate forze politico-culturali, ben spalleggiate da potenti mass media, si gettano, anzi si scaraventano su questi temi con grande determinazione (non diciamo con tutta l’anima, perché non ce l’hanno più), ma non ci sono magari problemi più urgenti da risolvere di questi? Non è forse in gioco il benessere del popolo, di tutto il popolo, che è qualcosa di diverso e di più di queste rivendicazioni da salotto? Tentiamo di capire che cosa è successo, e qual è la posta in gioco.
C’era una volta… la dittatura del proletariato. E la classe operaia andava in Paradiso. Oggi è acqua passata. Oggi vanno in Paradiso i gay, le coppie di fatto, i paladini dell’aborto e dell’eutanasia, gli adoratori di una scienza contro l’uomo e i fanatici delle moschee.
È di moda la dittatura dei desideri e delle minoranze. O, se volete, la dittatura del relativismo, delle aspirazioni borghesi, della sregolatezza, dei piaceri effimeri e delle voglie al posto dei doveri e delle responsabilità. È di moda la dittatura della ragione calpestata, delle manipolazioni genetiche. Insomma, la dittatura di una società trasgressiva, egoista, anti-solidale, falsamente pacifista, anzi ribelle, violenta e volgare verso chi osa scostarsi dal pensiero unico dominante.
La vecchia favola della lotta per una società perfetta, un tempo piatto forte dell’illusione social-comunista, è stata sostituita da una favola nuova, di cui si è fatto portabandiera nel nostro Paese un variegato arcipelago di forze politiche e culturali, che hanno tra l’altro l’ambizione – anzi, l’arrogante pretesa – di governare l’Italia, per mandato divino o giù di lì. Favola nuova e inquietante, che potremmo definire orwelliana-pannelliana-zapatera: il suo arsenale ideologico è infatti un fritto misto di richiami a utopie disumane, volontà di imporre nuovi valori contro natura, uso dello strumento legislativo per distruggere la tradizione e sfigurare la vita della gente.
La Spagna insegna, l’Italia (speriamo di no) insegue.
Le cose sono davvero cambiate, e in fretta. Prima un certo schieramento partitico difendeva, o almeno ci provava, gli operai e si batteva a fianco dei proletari e per il salario. Non è che adesso non lo faccia più del tutto – in certi “folli” e anacronistici proclami trovano ancora posto l’esasperazione del conflitto sociale e l’aggressione alle rendite finanziarie, arcaici strumenti di guerra anticapitalista – ma le nuove parole d’ordine sono ormai altre. Si punta a “mobilitare le masse” e a ottenere il consenso per governare, in base a un “programma” che potrebbe essere così sintetizzato:
a) distruggere la centralità della famiglia, come caposaldo della società, oggi battendosi per dare visibilità e rilevanza sociale alla coppie di fatto, ma puntando in prospettiva alle nozze di gay e lesbiche (più di uno ha ammesso che “i Pacs non bastano”);
b) favorire la più ampia libertà sessuale, con una precisa opera di corruzione delle giovani generazioni che passa attraverso norme ad hoc, come la distribuzione di preservativi nelle scuole e nei luoghi di ritrovo, la sottrazione alla patria potestà, ecc.;
c) consentire alle donne che non vogliono un figlio di sbarazzarsene in modo apparentemente facile e indolore (vedi RU486);
d) consentire alle donne che invece un figlio lo vogliono a tutti i costi di ottenerlo senza alcuna limitazione (vedi procreazione medicalmente assistita, ma senza alcun limite, riproponendo l’eterologa);
e) approvare la liberalizzazione delle droghe falsamente definite “leggere” e in ogni caso allentare la presa nella lotta alla diffusione degli stupefacenti,
f) far costruire ovunque moschee a spese dei contribuenti a partire, come già avviene, dai Comuni gestiti dalle sinistre (ma guai a parlare di esenzione dall’Ici per le opere educative e di assistenza della Chiesa cattolica!);
g) aprire, o permettere che continuino a funzionare, scuole coraniche che sono fuorilegge, oltre che una palestra di incitamento all’odio che è sotto gli occhi di tutti.
E l’elenco potrebbe continuare a lungo, dal momento che le più classiche e virulente battaglie radicali, libertarie e anticlericali, sono ormai diventate (o meglio, sono tornate ad essere) patrimonio comune di un vasto arco di forze, mettendo in grave difficoltà e imbarazzo quei cattolici impegnati nel campo “progressista” che rifuggono da una deriva zapatera sempre più chiara e palpabile.
Ma davvero, chiediamoci, quello che sta accadendo, cioè questo per tanti aspetti sorprendente spostamento dell’orizzonte politico
“ultimo”, ci deve stupire? A ben guardare, no. Come ha osservato il giornalista Maurizio Blondet su La Padania, per Engels (teorico, con Marx, dell’ideologia comunista) scopo della rivoluzione non è migliorare la condizione della classe operaia, ma “cambiare lo stato di cose presente”. Così, gli operai sono stati spinti alla rivolta solo fin quando erano “la forza sociale più potente” (la definizione è sempre di Engels). Adesso che non lo sono più – dal momento che i posti di lavoro operai sono emigrati nell’Europa dell’Est o in Cina – chi politicamente se ne era assunto la rappresentanza si aggrappa ad altri nuclei sociali ritenuti “potenti”, o almeno portatori di voti. Tra questi ritiene che vi siano, per esempio, i fanatici delle moschee e i musulmani che non osservano la legge italiana, ma soprattutto la lobby omosessuale, sicuramente ben influente nel mondo delle comunicazioni sociali (Tv, giornali, pubblicità, editoria), dello spettacolo e della moda. Per questo c’è chi cavalca e dà corda alla loro protesta, alla loro insoddisfazione per “lo stato di cose presente”. Non si spiega altrimenti l’accanimento per far digerire all’opinione pubblica i Pacs, i patti civili di solidarietà che scimmiottano l’unione stabile tra un uomo e una donna sancita dal matrimonio.
“Cambiare lo stato di cose presente”, ci pare evidente, non per il meglio. Vanno “cambiate” le “cose” buone, tradizionali, antiche.
Come appunto la famiglia. Sempre Engels diceva: “Tutto ciò che esiste merita di morire”. Frase che in realtà aveva ripreso dal Faust di Goethe, dove la pronunciava Mefistofele, ovvero il diavolo. Ora dovrebbe essere più chiaro perché la Chiesa, attenta all’uomo e al suo destino, custode della tradizione e baluardo della ragione, esprime giudizi e dà orientamenti, più che legittimi, sulla pericolosa china che rischia di intraprendere la società italiana. E si spiega anche perché la stessa Chiesa e i suoi pastori sono sottoposti ad attacchi inauditi e furibondi proprio da parte di esponenti (non tutti, per fortuna) dello scacchiere politico. L’esito inaspettato e confortante del referendum sulla fecondazione assistita di qualche mese fa, con sette elettori su dieci che non hanno accettato di far passare la procreazione selvaggia, sono di buon auspicio. Sempre che ci siano uomini e donne, partiti e schieramenti, aldilà delle alchimie di potere e dei sistemi elettorali, capaci di interpretare il sentire più genuino del popolo e di dargli rappresentanza adeguata in Parlamento.

IL TIMONE – N. 47 – ANNO VII – Novembre 2005 – pag. 8 – 9
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