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11.12.2024

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C’erano una volta i figli
31 Gennaio 2014

C’erano una volta i figli

 

 

È arrivata anche in Italia l’ultima moda della cultura edonista: al debutto il movimento “Childfree”, per vivere felici e contenti. Senza i figli, naturalmente. Di questo passo, davanti abbiamo un unico triste destino: invecchiamento e declino.

Il solo pensiero di avere figli ti fa allungare la mano verso una bottiglia di vino? Cerchi sempre una scusa per non andare alle feste degli amici con prole? Non glielo dici, ma consideri il bambino della tua migliore amica una fastidiosa piccola peste? Pensi che una monovolume a sette posti sia un’auto da infelici? Ti chiedi mai: perché fare figli quando potrei continuare a spassarmela?
Se hai risposto “SI” ad almeno una di queste cinque demenziali domande, tieniti forte: sei pronto ad entrare nel favoloso mondo dei non genitori, della vita senza figli. Sei pronto ad aderire al movimento più rivoluzionario che c’è: il Childfree (alla lettera “liberi dai figli”), una associazione di convenienza individualistica di chiara origine anglosassone che comincia a diffondersi anche in Italia, soprattutto nel Nordest. In sordina, senza squilli di fanfara. Ma già forte dell’autorevole sostegno nientedimeno che di un convegno accademico dal titolo eloquente, “Il diritto a non riprodursi”, che si è tenuto all’inizio di quest’anno presso il Centro dipartimentale di Ricerca sulla famiglia dell’Università di Padova, coordinato da due illustri docenti dello stesso ateneo, Mario Cucinato e Mariselda Tassarolo.

Doppio stipendio, nessun bambino


Il meritorio convegno ha preso appunto in esame la moda di sposarsi o convivere ma evitando accuratamente di avere figli. La matrice di questo movimento sta nel Dink, acronimo coniato negli Stati Uniti all’inizio degli anni Ottanta del Novecento e che rischia di rivelarsi più pernicioso dei Pacs o dei Dico: sta infatti per “Dual Income, No Kids“ (doppio stipendio, nessun bambino). È lo slogan, che trasuda generosità e apertura alla vita, coniato per quelle coppie trentacinquenni-cinquantenni, con un reddito che mediamente supera i 100 mila dollari (75 mila euro) l’anno, che investono in Borsa e decidono di non avere bambini. In pratica, una sorta di versione aggiornata degli yuppies, forse un po’ meno rampanti ma sicuramente più fatalisti e amanti della vita comoda. Autentici Peter Pan del XXI secolo, che non vogliono crescere e assumersi responsabilità da adulti. Per costoro, il pargolo è considerato un vero e proprio terzo incomodo. Un ingombrante “incidente di percorso” da cui sfuggire a tutti i costi.

Addio ai sensi di colpa e ai tabù

Esiste anche una specie di “bibbia” per chi non vuole avere marmocchi tra i piedi. Si intitola “Bimbo non a bordo”, sottotitolo “Un inno alla vita senza figli”. L’autrice è una certa Jennifer L. Shawne, che vive a San Francisco con il marito «e due adorabili sostituti felini [leggi gatti] dei figli, Mim e Gita». Il libro in Italia è pubblicato da Magazzini Salani (casa editrice, fatto curioso, specializzata in testi per l’infanzia, e che se davvero questa tendenza a non procreare si imponesse, rischierebbe di chiudere per… mancanza di clienti!). Il manuale della Shawne è definito dall’ufficio stampa che ne ha curato il lancio «ironico e provocatorio», perché «svela tutti i segreti, le gioie e le infinite possibilità di una vita finalmente senza figli». Una scelta che «può essere consapevole e felice». Dunque, «addio ai sensi di colpa, alle remore sociali, ai tabù familiari». Perché «la dolce attesa non sempre è così dolce e l’esistenza può essere gioiosa e creativa anche senza l’obbligo di dover procreare». Appello finale: «Non fate figli, se è quel che volete. Può essere non solo appagante e sensato, ma anche molto divertente».

In un decennio, il boom dei single


Childfree trova da noi un terreno, purtroppo, favorevole, se guardiamo ai freddi, incontestabili dati forniti dall’Istat. Che documentano come la società italiana negli ultimi decenni – non a caso a partire dall’approvazione delle famigerate leggi sul divorzio nel 1970 e sull’aborto nel 1978 – sia profondamente mutata, molto più di quanto possiamo immaginare. Un quarto delle famiglie è costituito da un solo individuo (single, divorziato, vedovo), quasi un altro quarto da coppie senza figli, e per il resto da una maggioranza di coppie con un unico figlio e da un numero crescente di famiglie con un solo genitore (su questo aspetto, perfino il quotidiano della sinistra chic la Repubblica, con una inchiesta di Concita De Gregorio, ha lanciato il grido di allarme). Ci sono regioni in Italia, che sono state definite “sazie e soddisfatte”, in cui soltanto un terzo delle famiglie è composto da più di due persone, mentre quattro coppie su cinque hanno uno o zero figli. D’altra parte, in un solo decennio, dal 1991 al 2001, i single sono aumentati nell’intero Paese di due milioni e mezzo e, mentre i giovani si sposano sempre meno (tanto, dietro l’angolo, c’è il riconoscimento delle unioni di fatto), le famiglie invecchiano sempre più: nemmeno una su tre ha un capofamiglia con meno di 45 anni.

La televisione cattiva maestra


In effetti, il desiderio di maternità pare non essere più, per la nostra generazione, una priorità. Due anni fa, era stato chiesto a un campione di duemila donne in età fertile quali fossero le loro intenzioni di natalità: il 70 per cento si è dichiarato non intenzionato ad avere bambini (e dopo due anni, in effetti, non hanno ancora procreato); l’8 per cento era intenzionato a procreare e l’ha fatto; il 7 per cento non c’è riuscito per problemi fisici. Un trend che nel Nordest, ma anche nelle aree metropolitane e nel Centro Italia, è in crescita, legato all’impegno delle donne nel lavoro, all’incremento di scolarità e alla maggiore indipendenza. La propensione alla maternità o alla paternità non è infatti solo legata a un fatto biologico, ma sempre più spesso a un puro interesse: tenore di vita ritenuto troppo basso (“i figli costano”), carriera al decollo che non si intende sacrificare. O, ancora, timore di non esse-re capaci di sostenere una responsabilità considerata pesante. E l’orizzonte si riduce a: soldi, successo e benessere. È come se si dicesse: nella nostra società la coppia riesce a ottenere a fatica spazi e tempi per vivere il rapporto a due, figuriamoci se ci sono le condizioni per dedicarsi a figli da crescere ed educare! Un’ultima osservazione. Nell’incessante opera di distruzione dei valori familiari, un ruolo decisivo ha sicuramente avuto e continua ad avere la televisione. Infatti con i suoi programmi, soprattutto quelli di intrattenimento, il piccolo schermo propina in continuazione al pubblico storie e personaggi che interpretano l’esistenza come semplice convenienza utilitaristica. Di questo passo, la nostra società è destinata, e se ne vedono con chiarezza tutti i segni, a un lento declino. Occorre più che mai testimoniare uno stile di vita di-verso. Liberi dai figli? No, grazie.

Bibliografia
Roberto Volpi, La fine della famiglia. La rivoluzione di cui non ci siamo accorti, Mondadori, 2007.
AA.VV, Quale risposta alla domanda di figlio, presentazione di Giorgio Maria Carbone, Gribaudi, 2007.
Carlo Bellieni, Godersi la gravidanza… come una volta, Ancora, 2007.

IL TIMONE – N.62 – ANNO IX – Aprile 2007 pag. 16-17

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