Dio ha qualcosa da dire sull’organizzazione di questo mondo? La risposta – affermativa – fonda l’impegno politico del cattolico. Che non può prescindere dai principi non negoziabili: vita, famiglia, libertà di educazione
La politica e il posto di Dio nel mondo
Per questo motivo il problema politico è prima di tutto un problema teologico: è il problema del posto di Dio nel mondo. Scriveva Benedetto XVI nella Lettera del 10 marzo 2009 ai vescovi riguardo al ritiro della scomunica dei quattro vescovi ordinati dall’arcivescovo Marcel Lefebvre che «Il vero problema in questo momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento». La politica smarrisce la propria strada quando non c’è più un posto per Dio nel mondo. Il primo scopo della presenza dei cattolici in politica è aprire lo spazio ad una presenza di Dio nel mondo. Se il mondo viene organizzato senza Dio, nemmeno la politica può conseguire i propri risultati. Se si perde di vista la vocazione eterna dell’uomo anche la sua vocazione terrena risulta in pericolo. Non si tratta infatti di due vocazioni separate, ma di un’unica vocazione e quella terrena riceve luce e orientamento da quella trascendente.
Chiediamoci: nella nostra società, un qualsiasi giovane di oggi dove può incontrare Dio? Nella scuola certamente no, quando non viene sistematicamente distratto su altre strade. Nel mondo economico, dell’impresa e del lavoro? È molto difficile, perché in genere Dio è bandito da questi ambiti. Negli uffici pubblici dove si vogliono rimuovere i simboli religiosi? Negli ospedali dove spesso si scoraggia e a volte si impedisce la preghiera degli ammalati? Alla televisione? Non scherziamo! Dio non lo si incontra più nella vita pubblica. Questo è non solo un problema teologico ma è il primo problema politico, un problema politico dalle enormi conseguenze distruttive.
Il mondo di oggi si costruisce nella presunzione di poter raggiungere i propri fini con le sole sue forze. Per questo estromette Dio dall’ambito pubblico e chiama questo vuoto “laicità”. Però, costruire un mondo senza Dio non significa costruire un mondo neutro, significa costruirlo senza Dio. Benedetto XVI ha detto ai giovani a Sidney il 17 luglio 2008: «Se Dio è irrilevante nella vita pubblica, allora la società potrà essere plasmata secondo un’immagine priva di Dio».
La dimensione pubblica della fede
La fede cristiana ha una dimensione pubblica non perché i cattolici debbano fare gli infermieri della società, o Cristo sia un imbonitore sociale, ma perché c’è una potestà di Cristo sul cosmo e la storia. In Gesù di Nazareth Dio ha fatto incursione nella storia e non solo allora, ma anche adesso, perché il suo Corpo non cessa di vivere nella storia.
La fede cristiana è fin dalle origini una fede comunitaria e mentre i credenti conservano e approfondiscono la relazione con Dio stabiliscono anche relazioni reciproche.
Nel dogma della Trinità è contenuto il modello di ogni comunità.
Il Dio cristiano non è un despota arbitrario dal capriccioso volere insondabile ma è il “Dio dal Volto umano”, il Dio Vero e Buono che parla agli uomini in modo conforme alla ragione umana.
Il Dio che si è rivelato in Gesù Cristo è la stessa Mente creatrice, che ha creato le cose secondo un ordine. Il diritto alla vita, alla libertà religiosa, i diritti della famiglia e del matrimonio, la uni-dualità uomo-donna, l’identità umana davanti alle minacce della tecnologia, il senso umano del nascere e del morire sono tutti elementi relativi alla salvaguardia del creato e per i quali servono impegni pubblici, legislativi, istituzionali e politici.
Il dogma del peccato originale ci dice che le relazioni umane hanno sempre bisogno di essere purificate, le virtù civiche hanno sempre bisogno di venire sostenute e indirizzate, la comunità politica ha bisogno di risorse che da sola non si può dare.
Infine, se ci collochiamo dal punto di vista delle “cose ultime”, Cristo riconcilierà in sé tutte le cose, ricapitolandole. Tutta la realtà è destinata alla rigenerazione. La salvezza di Cristo non è a compartimenti stagni, ma pervade di sé l’intera realtà. Non è quindi possibile restringerla solo ad alcuni ambiti dell’essere e della vita. Ho ricordato qui sopra alcuni motivi teologici della imprescindibile dimensione pubblica della fede. Se questo continua a rimanere estraneo a tanti cattolici, l’obiettivo di far nascere una nuova generazione di politici cattolici rimarrà lontano.
Il significato politico dei principi non negoziabili
L’importanza dei cosiddetti “principi non negoziabili” sta tutta qui. Essi sono delle verità sulla dignità umana a carattere assoluto e che, come tali, testimoniano la presenza del trascendente nella storia e nella politica. Essi rappresentano il limite della politica, che le impedisce di contare solo su se stessa e, assolutizzandosi, di diventare pericolosa. La politica non sa darsi i suoi limiti da sola, e quindi non sa darsi da sola nemmeno i suoi fini. I fini, infatti, esprimono un senso che non ci diamo noi, perciò sono anche dei limiti. Rispettare i principi non negoziabili significa aprire un posto di Dio nel mondo; non rispettarli significa pensare che tutto rientri nella nostra disponibilità.
Davanti ad essi cessa ogni discrezionalità per il politico cattolico: se egli facesse passi in avanti ruberebbe spazio al posto di Dio nel mondo. Nel suo recente libro Il cattolico in politica. Manuale per la ripresa, l’arcivescovo di Trieste mons. Giampaolo Crepaldi ipotizza due situazioni limite. La prima è che il politico cattolico si trovi davanti ad una scelta radicale; in questo caso egli deve tener conto che «ci sono momenti in cui l’uomo politico è anche chiamato a fare un passo indietro. Anche questa è una forma, e delle più alte, di servizio pubblico». L’altra è il caso in cui nessun partito esistente garantisca il rispetto dei principi non negoziabili: «Nel caso in cui tutti i partiti fossero di diritto contrari ai principi non negoziabili al politico cattolico non rimarrebbe che fondare un altro partito».
Per saperne di più…
IL TIMONE N. 99 – ANNO XIII – Gennaio 2011 – pag. 50 – 51
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