«Della Chiesa e di Gesù Cristo io penso che siano la stessa cosa, e che su questo punto non si debbano fare difficoltà». Lo diceva santa Giovanna D’Arco. Non aveva studiato, era analfabeta.
Ma aveva ragione. Ecco perché
Un concetto inadeguato
Ma non può affatto essere considerato il concetto adeguato e soddisfacente. Ridurre tutta la comprensione della Chiesa all’idea di “popolo di Dio”, comporterebbe tra l’altro degli inconvenienti non da poco.
Anche la nazione ebraica prima dell’evento cristiano era il “popolo di Dio”. A usare nei due casi l’identica locuzione si corre il pericolo di non percepire o almeno di non manifestare nella sua decisiva rilevanza il passaggio dall’Antico al Nuovo Israele, come se non fosse intervenuta nel frattempo l’incarnazione del Verbo, il suo sacrificio redentore, la sua glorificazione e la sua arcana immanenza nella comunità dei suoi discepoli.
Il secondo inconveniente, ancora più grave, è quello di non includere esplicitamente Cristo nella struttura intrinseca della Chiesa, mentre dall’insegnamento degli Apostoli si apprende che la “ecclesialità” è in sostanza un’intrinseca relazione col Salvatore che sta alla destra del Padre.
E c’è infine un rischio, che già si è rivelato non ipotetico: mettendo in primo piano e ritenendo pienamente idonea la categoria di «popolo», si può essere indotti a pensare alla Chiesa primariamente come a qualcosa di sociologico e di lasciarsi poi impigliare nell’esteriorità e nel legalismo delle questioni giuridiche, organizzative, procedurali. L’attitudine dei battezzati verso la Sposa di Cristo va il più possibile disincagliata da queste “secche di mondanità”, e condotta a navigare nel mare aperto della gioiosa e stupita contemplazione nei confronti del disegno eterno del Padre, che si va attuando nella vicenda ecclesiale (che è l’indole autentica e irrinunciabile della funzione teologica, proposta nella sostanza a tutti i cristiani degni di questo nome).
La “società dei battezzati”
E difatti l’esposizione tradizionale della dottrina cattolica ha sempre cercato di completare e arricchire quel concetto legittimo ma insufficiente. Può essere utile richiamare a questo proposito l’evoluzione catechetica e pastorale avvenuta lungo il secolo ventesimo.
In tutta la prima parte del secolo ha tenuto il campo la definizione del Catechismo di san Pio X: «La Chiesa è la società dei veri cristiani, cioè dei battezzati che professano la fede e la dottrina di Gesù Cristo, partecipano ai suoi sacramenti e ubbidiscono ai Pastori stabiliti da lui». Questa presentazione della Chiesa si ispirava alla ecclesiologia dominante nell’epoca posttridentina e aveva il pregio di rievocare implicitamente ma efficacemente l’estremo insegnamento del Risorto agli apostoli, secondo la finale del vangelo di Matteo: «Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20).
Osserviamo però che, utilizzando come concetto-base l’idea di “società”, era messa in primo piano la natura giuridica e più esteriore della Chiesa. Il che non aiutava a cogliere tutta la ricchezza sovrumana del “mistero ecclesiale”, che invece nella divina Rivelazione è affermata con insistenza e vigore.
Il «Corpo mistico di Cristo»
L’enciclica Mystici Corporis di Pio XII (1943) ha affermato invece in maniera chiara e perentoria: «A definire e descrivere questa verace Chiesa di Cristo… nulla si trova di più nobile, di più grande, di più divino dell’espressione con la quale essa viene chiamata “il corpo mistico di Gesù Cristo”» (Acta Apostolicae Sedis 35,204-221). Era l’approdo e l’autorevole ratifica di un movimento teologico che, recuperando una mentalità vivissima in tutta l’epoca dei Padri, rilanciava la visione tipica dell’ultimo e più maturo pensiero di san Paolo.
Si doveva tale “riscoperta” soprattutto agli studi e alla riflessione di Emile Mersch, un gesuita fiammingo, morto purtroppo a cinquant’anni in un bombardamento del 1940.
Questo modo di guardare alla realtà della Chiesa è del tutto prevalente negli anni precedenti il Concilio Vaticano II, e soggiace anche alla prima enciclica di Paolo VI, Ecclesiam suam (1964).
L’ecclesiologia di san Paolo
Mette conto di riproporre qui rapidamente il cammino di approfondimento del pensiero di san Paolo circa la Chiesa.
Riflettendo sulla inedita straordinaria bellezza dell’“Israele di Dio”, nato dall’evento pasquale, egli arriva a intuire che essere cristiani significa essere personalmente e intimamente uniti a Cristo, e proprio questa misteriosa connessione è ciò che raduna e compagina i rigenerati in un solo vivente organismo. Egli aiuta poi efficacemente la comprensione di questa strabiliante novità con l’immagine della Chiesa Sposa di Cristo, redenta, santificata, glorificata dall’amore del Figlio di Dio (Ef 5,21-32).
Alla luce del principio nuziale genesiaco (Gen 2,24: «i due saranno un’unica carne»), si arriva quindi con naturalezza alla contemplazione del “grande mistero” ecclesiologico del Cristo totale, che comprende in un’unica arcana realtà il “capo” (che è il Signore Gesù) e le “membra”, cioè il “corpo ecclesiale” (Col 1,18: «Egli è il capo del corpo, cioè della Chiesa»).
Possiamo ben pensare che l’Apostolo in questa vertiginosa esplorazione sia stato ispirato e guidato dalla frase che egli ha ascoltato da Cristo (lui che stava infierendo sulle comunità cristiane): «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9,4).
Il pensiero del Concilio
È mai possibile che il Vaticano II abbia trascurato lo straordinario insegnamento paolino, per ridursi a parlare del “popolo di Dio” come della definizione di Chiesa più pertinente? Tale è stata l’idea dei settori e degli ambienti meno perspicaci del postconcilio, ma non del Concilio.
Ce ne persuade Giovanni Paolo II, che è stato membro intelligente e attivo di quella indimenticabile assemblea. Nella Tertio millennio adveniente (1994) egli ha potuto scrivere senza tema di essere smentito: «Nell’Assise conciliare la Chiesa, proprio per essere pienamente fedele al suo Maestro, si è interrogata sulla propria identità, riscoprendo la realtà del suo mistero di Corpo e di Sposa di Cristo» (n. 19).
Ex maculatis immaculata
Come si vede, la realtà ecclesiale – che comprende necessariamente il “Cristo capo” oltre a quanti sono per qualche aspetto inseriti in lui – è intrinsecamente santa, bella, senza macchia, pur se è composta anche di peccatori. Come dice sinteticamente sant’Ambrogio: è “ex maculatis immaculata” (resta sempre innocente e santa, anche se comprende in sé della creature colpevoli). Sembrerebbe una contraddizione, ed è solo il grande prodigio della misericordia di Dio.
Ce lo spiega il cardinal Journet: «Tutte le contraddizioni sono eliminate, se si capisce che i membri della Chiesa peccano, ma in quanto tradiscono la Chiesa: la Chiesa non è dunque senza peccatori, ma è senza peccato. Le sue frontiere, precise e vere, circoscrivono solo ciò che è puro e buono nei suoi membri, giusti e peccatori, assumendo dentro di sé tutto ciò che è santo, anche nei peccatori, e lasciando fuori di sé ciò che è impuro, anche nei giusti. Nel nostro proprio comportamento, nella nostra propria vita, nel nostro proprio cuore si affrontano la Chiesa e il mondo, il Cristo e Belial, la luce e le tenebre. La Chiesa divide dentro di noi il bene e il male: prende il bene e lascia il male. I suoi confini passano attraverso i nostri cuori».
Le hai rivelate ai piccoli
Va detto che la visione del “Christus totus”, come esauriente comprensione del mistero ecclesiale, è più accessibile ai “piccoli” che non ai “sapienti” e agli “intelligenti”. Santa Giovanna d’Arco, una ragazza analfabeta non ancora ventenne, in virtù dell’acutezza della sua semplice fede, ai suoi giudici che le chiedono che idea abbia della Chiesa, dà subito una risposta sublime e ineccepibile: «Della Chiesa e di Gesù Cristo io penso che siano la stessa cosa, e che su questo punto non si debbano fare difficoltà».
Davvero «ti rendiamo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (cfr. Mt 11,25).
IL TIMONE N. 91 – ANNO XII – Marzo 2010 – pag. 48 – 49
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