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«Chiesa», «cattolica» ed «ecumenismo»
31 Gennaio 2014

«Chiesa», «cattolica» ed «ecumenismo»

 

 

Tre termini spesso abusati. Vediamo il loro vero significato. Che non sempre coincide con l’uso che ne facciamo


 

Nel Credo che recitiamo durante la Messa professiamo la nostra fede nella Chiesa «una, santa, cattolica e apostolica». Nel giro di poche parole ne troviamo due di origine latina (unam sanctam) e tre di origine greca (ecclesiam catholicam apostolicam). Sia le ragioni sia le modalità di questa mescolanza linguistica sono interessanti. Il Cristianesimo ha la sua culla nella zona orientale del Mediterraneo, dove, accanto alle lingue locali (nella fattispecie aramaico ed ebraico), il greco era la lingua usata correntemente, che praticamente tutti dovevano conoscere e utilizzare. Quando il messaggio cristiano si diffuse nella zona occidentale dell’impero romano, dove la lingua dominante era il latino, si pose il problema dell’adattamento linguistico. Ovvie ragioni pastorali consigliavano di utilizzare in quantità misurata termini stranieri nella predicazione del Vangelo, d’altra parte era difficile in vari casi trovare termini latini adatti per rendere parole greche che avevano un preciso contenuto tecnico. Si scelse prudentemente una via intermedia, mantenendo i soli termini greci per i quali non era disponibile una sostituzione accettabile.

Ecclesia
Ecclesia è uno di questi termini. Nessuna delle possibili traduzioni latine (congregatio, collegium) era adeguata, e si preferì utilizzare il termine greco ekklēsía, parola connessa col verbo ekkaléō, a sua volta composto da ek- che vuol dire «fuori da» e da kaléō, che significa «chiamo». La parola non è un neologismo cristiano: nel lessico pagano apparteneva al linguaggio politico, e designava l’assemblea cittadina riunita per deliberare su determinate materie. L’idea fondamentale della parola, dunque, è quella della convocazione e del riunirsi per uno scopo preciso. Nella versione greca dell’Antico Testamento il termine ekklēsia è usato in qualche caso per indicare genericamente una riunione di persone (anche in senso negativo, quindi: un assembramento di peccatori in Salmi 25,5), ma il più delle volte indica il popolo di Israele. Il termine ebraico sottostante è in genere qāhāl: l’ebraico ha due termini fondamentali per indicare il popolo: uno, ‘am, indica genericamente il popolo come unità etnica, l’altro, appunto qāhāl, indica il popolo come insieme di persone che condividono una storia ed un progetto: in questo senso la parola è utilizzata per indicare l’ekklēsía del Signore o l’ekklēsía dei santi. Anche gli autori della tradizione giudaica in lingua greca (Filone Alessandrino e Flavio Giuseppe) conoscono questo uso della parola (ekklēsía sacra, santa, divina, per indicare il popolo di Israele). In greco esiste anche synagōgé nel senso di «raduno, aggregazione di persone», ed i confini tra le due parole nell’Antico Testamento non sono netti: lo saranno nella fase linguistica successiva, quando ekklēsía designa il nuovo popolo che Dio «radunerà da tutte le nazioni» (Ez 34). Col Nuovo Testamento, ekklēsía comincia ad assumere un nuovo valore. Nei Vangeli la parola compare solo in Matteo: in Mt 16,18 Gesù dichiara a Pietro la sua intenzione di fondare la sua ekklēsía. In un solo passo del Nuovo Testamento (Atti 19,32ss) la parola è utilizzata in senso profano; altrove ekklēsía è l’insieme dei fedeli, che inizialmente, come risulta dalle lettere di Paolo, si radunano a pregare e meditare in case private. Ad ekklēsía si contrappone ethnē, le genti, i pagani, i non convertiti.
Nelle spiegazioni del nome, i Padri greci e latini insistono sull’idea che esso contiene un appello all’unità, non alla separatezza. La Chiesa è l’istituzione con cui Dio annuncia un messaggio di salvezza che vale per tutti gli uomini. Cirillo di Gerusalemme, nella sua Catechesi rivolta ai battezzandi, ricorda che l’ecclesia ha questo nome «perché tutti sono convocati e si radunano insieme». Isidoro di Siviglia (VII secolo) ci ricorda che «la Chiesa si chiama propriamente così, perché chiama tutti a sé e li raduna in unità»; e ancora: «il nome di Chiesa non è nome di separazione, ma di unità e di concordia» (Giovanni Crisostomo). Il carattere insostituibile della parola greca è rivelato dal fatto che essa è usata anche in varie lingue orientali. In alcune aree europee però si è diffuso un termine diverso, anch’esso di origine greca, per indicare la Chiesa: il termine inglese church, il tedesco Kirche, lo svedese kyrka, il russo cerkov’ ecc. ci riportano a kyriaké (nella lingua parlata kyriké) che vuol dire «appartenente al Kyrios, al Signore»: una designazione che pone l’accento più sull’appartenenza che sulla chiamata.

Cattolica

Con ekklēsía si indica sia la Chiesa locale sia la Chiesa universale, perché anche la Chiesa locale, radunata intorno al suo vescovo, ha come orizzonte la totalità degli uomini e del mondo. In una parola, la Chiesa è per definizione «cattolica». La parola katholikós è un derivato dell’avverbio kathólou, che vuol dire «dappertutto», a sua volta formato da katá, che significa «accanto» e hólos, che vuol dire «tutto». Nell’uso pagano la parola significa «generale», e il titolo di katholikós si applica per esempio ai funzionari che hanno una responsabilità complessiva, soprattutto finanziaria. La Chiesa è cattolica perché la Chiesa è dove c’è Cristo, e, come ci insegna Agostino, «noi cattolici siamo in ogni terra, perché siamo in comunione con ogni terra dovunque la gloria di Cristo è diffusa». L’universalità della Chiesa non dipende solo dall’aspetto geografico, ma anche dal fatto che essa predica una sola dottrina (i Padri sottolineano l’unità della fede e del magistero a fronte della pluralità e della confusione delle eresie e delle sette), richiama alla santità tutti gli uomini, e sana ogni genere di errore e di peccato. La cattolicità vale anche per le articolazioni locali in cui l’unica Chiesa si realizza: in uno dei più antichi testi della letteratura cristiana antica, il Martirio di Policarpo, questo personaggio viene presentato come «vescovo della Chiesa cattolica in Smirne»: la missione di annuncio del Verbo di salvezza si attua nella concretezza della comunione di fedeli radunati attorno al loro pastore.

Ecumenico
Collegato all’idea della cattolicità è il termine «ecumenico». La parola viene da oikuménē, participio del verbo oikeîn, che significa «abitare», che ha come sottinteso gê, vale a dire «terra»: dunque la terra abitata, ogni terra dove vi sia una presenza umana. Infatti oikuménē non fornisce semplicemente un’indicazione geografica, ma sottolinea la presenza dell’uomo che abita una determinata contrada. La parola ha quindi una sfumatura precisa, che nessun termine latino equivalente era in grado di riprodurre. Nell’uso corrente del periodo imperiale, oikuménē è usato per indicare l’impero di Roma e questo uso si riflette nel Vangelo di Luca, quando si dice che «un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse un censimento su tutta la terra (oikuménē)». Come leggiamo in Origene, Cristo «si è iscritto con coloro che sono nel mondo (oikuménē) per santificare il mondo». Il messaggio cristiano è rivolto agli uomini, a tutti gli uomini di tutte le terre abitate. Proclama Gesù (Mt 24,14): «questo vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo (oikuménē), perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti». E Origene, commentando il passo, afferma: «la terra (oikuménē) è caduta e ha bisogno di redenzione».
Col termine ecumenismo dunque la letteratura cristiana primitiva designa la missione che Cristo ha assegnato alla Chiesa, per sua natura universale, di evangelizzare gli uomini e di portare ad ogni uomo il suo annuncio di verità. Come si vede, un significato diverso da quello che talora si utilizza oggi in ambienti ecclesiali, ove ecumenismo viene a significare atteggiamento di conciliazione, ricerca di punti di incontro comune o simile.
Il significato vero dell’atteggiamento che sta alla base di questa concezione si coglie piuttosto nella seguente frase del trattato di Ireneo di Lione Contro le eresie: «Non oportet adhuc quaerere apud alios veritatem, quam facile est ab ecclesia sumere» («Non occorre cercare presso altri la verità, che facilmente si può assumere dalla Chiesa»). Una frase che tutti dovremmo sempre tenere presente.

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Joseph Schrijnen, I caratteri del latino cristiano antico, Pàtron, 1986 (edizione originale Nimega 1932: l’edizione italiana contiene l’importante appendice di Christine Mohrmann, Dopo quarant’anni, pp. 96-119).
Moreno Morani, Introduzione alla linguistica latina, Lincom Europa, 2000, capitolo Il latino dei cristiani, pp. 95-103 (parzialmente accessibile in Internet: www.rivistazetesis.it/latinocristiani.htm).

 

 

 

 


 

IL TIMONE N. 91 – ANNO X II – Marzo 2010 – pag. 28 – 29

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