Giovanni Paolo II scrive un’enciclica sull’Eucarestia. Riafferma la verità su questo sacramento, invita i cattolici a testimoniarla e i non cattolici a riflettere.
E’ una di quelle encicliche destinate al silenzio, in due sensi. In primo luogo, perché non si presta a polemiche, a curiosità giornalistiche, e quindi possiamo ritenere già conclusa l’eco suscitata dalla sua pubblicazione, avvenuta il giovedì santo del 2003, venticinquesimo di pontificato di Giovanni Paolo Il (io sto scrivendo pochi giorni dopo la sua pubblicazione, per ragioni redazionali, e quindi non avrò tempo di verificare eventuali commenti giornalistici all’enciclica, oltre a quelli, pochi, che sono usciti sui giornali il giorno della pubblicazione).
In secondo luogo, perché scrivere del mistero eucaristico conduce inevitabilmente al silenzio, all’adorazione silenziosa del Santissimo Sacramento, all’accoglimento della “presenza reale” del corpo e del sangue del Signore che riceviamo appunto nell’Eucaristia. E se questo fosse il risultato della lettura dell’enciclica, sarebbe già uno straordinario risultato.
Per una rivista di apologetica scrivere è un dovere e cercherò di assolverlo anche se, questa volta in modo particolare, sono particolarmente conscio della mia inadeguatezza. Ma nel caso concreto l’ ”apologetica del silenzio” non è un modo di dire retorico, bensì il modo più adatto per introdursi alla lettura o per meditare sul testo. Oltre che un modo per esaltare la grandezza del silenzio, il contesto in cui Dio parla preferibilmente all’uomo.
Il testo dell’enciclica non è particolarmente lungo ed è scritto con un linguaggio semplice ed accessibile a tutti, anche ai non addetti ai lavori. È la materia che è difficile, in quanto” misteriosa”, nel senso che ci porta dentro il Mistero della fede, ossia la morte e la risurrezione di Gesù nell’attesa della sua venuta, mistero che l’istituzione dell’Eucaristia nel Cenacolo, appunto il giovedì santo, in qualche modo raccoglie, anticipa e “concentra”, come spiega il Santo Padre nell’introduzione (n. 5). Il Papa invita a guardare con “stupore” questo scenario misterioso ma reale, invita a guardare la storia umana come il luogo destinato dal disegno d’amore divino a ricevere il dono del sacrificio dell’uomo-Dio, affinché gli uomini vi trovino la salvezza eterna e il mondo la pace, nell’accettazione del dono eucaristico. Lo fa con queste parole bellissime, che possono soltanto essere riportate: “C’è nell’evento pasquale e nell’Eucaristia che lo attua lizza nei secoli, una ‘capienza’ davvero enorme, nella quale l’intera storia è contenuta, come destinataria della grazia della redenzione. Questo stupore deve invadere sempre la Chiesa raccolta nella Celebrazione eucaristica. Ma in modo speciale deve accompagnare il ministro dell’Eucaristia.
Infatti è lui, grazie alla facoltà datagli nel sacramento nell’Ordinazione sacerdotale, a compiere la consacrazione. È lui a pronunciare, con la potestà che gli viene dal Cristo del Cenacolo: «Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi… Questo è il calice del mio sangue, versato per voi»” (n. 5).
Dopo l’introduzione, nel primo capitolo il Pontefice ricorda come l’Eucaristia sia “il dono per eccellenza” (n. 11). Infatti, cosa poteva dare più di se stesso, “Dio da Dio”, seconda persona della Trinità, Figlio unigenito del Padre, caricatosi di tutti i peccati dell’umanità, morto della morte più ignominiosa in quel tempo, la morte di croce. Ma il sacrificio di Dio non si è realizzato soltanto in quel tempo storico, oltre duemila anni fa in Palestina, quando Cristo “patì sotto Ponzio Pilato”, “ma è unico: tutti gli altri avvenimenti della storia accadono una volta, poi passano, inghiottiti nel passato. Il Mistero pasquale di Cristo, invece, non può rimanere soltanto nel passato, dal momento che con la sua morte egli ha distrutto la morte, e tutto ciò che Cristo è, tutto ciò che ha compiuto e sofferto per tutti gli uomini, partecipa dell’eternità divina e perciò abbraccia tutti i tempi e in essi è reso presente. L’evento della croce e della resurrezione rimane e attira tutto verso la Vita” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1085).
L’Eucaristia non soltanto non deve distogliere anche dall’impegno terreno, “ma piuttosto stimola il nostro senso di responsabilità verso la terra presente” (n. 20) e, così come aiuta i fedeli nel loro compito di “contribuire con la luce del Vangelo all’edificazione di un mondo a misura d’uomo e pienamente rispondente al disegno di Dio” (n. 20), d’altra parte “l’Eucaristia edifica la Chiesa”, come intitola il secondo capitolo. Infatti, gli Apostoli sono entrati in comunione sacramentale per la prima volta con il Signore durante l’Ultima Cena, nel Cenacolo, e da allora la Chiesa “si edifica mediante la comunione sacramentale col Figlio di Dio” (n. 21).
L’apostolicità di entrambe, Chiesa ed Eucaristia, è il tema del terzo capitolo, nel quale si ricorda come l’una e l’altra derivino da un mandato di Cristo rivolto agli Apostoli. In queste pagine, il Santo Padre affronta anche due aspetti legati all’Eucaristia, il rapporto ecumenico e la presenza del sacerdote nella comunità cristiana. Per i rapporti con le altre comunità cristiane non in comunione con Roma, Giovanni Paolo II sottolinea l’importanza di ogni sforzo per riguadagnare l’unità fra i cristiani dopo tanti secoli di divisione, ma, a proposito della partecipazione alle celebrazioni delle comunità cristiane non in comunione con Roma, invita i cattolici a non prendervi parte, “per non avallare un’ambiguità sulla natura dell’Eucaristia e mancare, di conseguenza, al dovere di testimoniare con chiarezza la verità” (n. 30).
Per quanto invece riguarda il rapporto fra il ministero sacerdotale e l’Eucaristia, il Papa ricorda come essa sia centrale nella vita del presbitero, e debba essere privilegiata a qualsiasi altra cosa, anche perché la comunità cristiana non può e non deve ritenere di poter sostituire la messa con altra celebrazione, se non provvisoriamente.
Ma Chiesa ed Eucaristia sono legate anche nel senso indicato nel quarto capitolo, dove il Pontefice ricorda come il ricevere l’Eucaristia significhi – così come abitualmente si dice – “fare la comunione”, cioè esprimere pubblicamente di fronte a Dio e, in modo visibile, di fronte alla comunità, la propria appartenenza ecclesiale, sia nel senso di ciò che la Chiesa insegna a credere, sia nel senso dell’essere in stato di grazia con Dio, cioè senza peccati gravi riconosciuti.
E, sempre in questo capitolo, il Papa lega fra loro i due sacramenti della Penitenza e della Comunione.
Sacramento centrale e principale, l’Eucaristia merita un particolare decoro, come si evince dalla lettura del quinto capitolo. È la parte dell’enciclica in cui il Papa ricorda come la Chiesa abbia investito “il meglio delle sue risorse per esprimere il suo stupore adorante di fronte al dono incommensurabile dell’Eucaristia” (n. 48), da quando gli Apostoli vengono incaricati da Gesù di preparare la “grande sala” per il banchetto del giovedì santo, fino alla liturgia cristiana sorta anche “sviluppando l’eredità rituale del giudaismo” (n. 48). Il Papa invita fermamente i celebranti a rispettare le “forme” della liturgia, perché quest’ultima “non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante né della comunità nella quale si celebrano i Misteri” (n. 52). E così l’enciclica si conclude con un capitolo dedicato a Maria, “donna” eucaristica”, “che ci aiuta a capire il legame fra la Chiesa e l’Eucaristia in quanto madre della Chiesa e fedele dell’Eucaristia “prima ancora che l’Eucaristia fosse istituita, per il fatto stesso di aver offerto il suo grembo verginale per l’incarnazione del Verbo di Dio” (n. 55).
BIBLIOGRAFIA
Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Ecclesia de Eucaristia, sull’Eucaristia nel suo rapporto con la Chiesa, del 17 aprile 2003, Giovedì Santo.
Catechismo della Chiesa Cattolica, Il sacramento dell’Eucaristia, nn. 1322-1419.
IL TIMONE N. 25 – ANNO V – Maggio/Giugno 2003 – pag. 54 – 55