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7.12.2024

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Chiesa
31 Gennaio 2014

Chiesa

 

 

 


Molti cristiani non hanno ancora adeguata consapevolezza dell’urgenza di una nuova evangelizzazione.
Le indicazioni del Magistero sull’annuncio, la catechesi e l’inculturazione della fede

Il problema missionario accompagna la Chiesa fin dalla sua fondazione, ma soprattutto è diventato un tema centrale, e in parte diverso dal passato, in seguito al Concilio Vaticano II. Nel numero scorso del Timone, sia l’editoriale sia l’intervento del card. Giacomo Biffi testimoniano l’urgenza e l’universalità di questo impegno, essenziale per la Chiesa, come ha ricordato ripetutamente il Magistero pontificio, e come riportato dalle parole di Giovanni Paolo II che potete leggere in questo articolo.

Il contenuto della fede
Vi sono due ordini di problemi. Il primo riguarda il contenuto della fede cattolica da trasmettere. Come ricorda il card. Biffi, il cristianesimo non è una filosofia, un sistema di pensiero i cui valori devono essere trasmessi e insegnati. Esso è anche questo, ma è essenzialmente il fatto che un uomo, Gesù Cristo, è risorto dalla morte che aveva patito sulla croce. Quest’uomo è il Figlio di Dio e gli uomini che aveva scelto come apostoli hanno soprattutto testimoniato e annunciato la sua Resurrezione.
Questa è essenzialmente la fede cattolica e i valori morali e sociali che ne conseguono non possono mai sostituirla, anche se possono essere l’occasione attraverso cui il fedele si rivolge agli uomini del suo tempo.
Che la fede non debba mai essere “ridotta” a una serie di formule, all’insegnamento di buone idee, non significa sottovalutare l’importanza del Catechismo e della catechesi, tutt’altro, ma voglio invitare a non confondere ambiti diversi.

La trasmissione della fede

Il secondo problema riguarda invece la trasmissione della fede. È evidente che trasmettere la fede cattolica significa anzitutto annunciare l’incarnazione, la morte e la Resurrezione di Gesù. Così facevano i primi discepoli, così dobbiamo fare anche noi, quando incontriamo persone di altre religioni o radicalmente scristianizzate. Questa è in parte la novità dell’apostolato nel mondo post-moderno, caratterizzato dalla presenza di comunità che professano religioni diverse e da cristiani che hanno perduto qualsiasi legame con la fede pur essendo stati battezzati. Va da sé che chi crede che Gesù sia il Salvatore, uomo e Dio, deve poi ricevere un’adeguata educazione alla fede, fondata sul catechismo. Questo, purtroppo, non sempre avviene nelle comunità cattoliche, che faticano a cogliere l’aspetto dottrinale del cristianesimo e ancora di più a fare in modo che la fede diventi cultura, cioè sia il fondamento di un giudizio sulla realtà e sulla storia, e sia anche all’origine delle scelte personali, familiari, culturali.
Il Magistero è ricchissimo di spunti su questo aspetto così attuale, che è il vero snodo per trasformare comunità cristiane abituate soltanto ad andare a messa alla domenica in comunità missionarie, che mettono Cristo e il suo insegnamento al centro della vita e diventano, di conseguenza, appunto comunità di apostolato. Giovanni Paolo II lo diceva in modo splendido nel 1996 alla Congregazione per il clero: «La nuova evangelizzazione, pertanto, richiede innanzitutto una catechesi che, presentando il piano della salvezza, “sappia chiamare alla conversione” e alla speranza nelle promesse di Dio sulla base della certezza circa la reale risurrezione di Cristo, primo annuncio e radice di ogni evangelizzazione, fondamento di ogni promozione umana, principio di ogni autentica cultura cristiana. È necessario che i Pastori del popolo di Dio e gli operatori della pastorale prestino un’attenzione speciale alla catechesi, la quale è l’esplicitazione sistematica del primo annuncio evangelico, educazione di coloro che si dispongono a ricevere il Battesimo o a ratificarne gli impegni, iniziazione alla vita della Chiesa e alla concreta testimonianza della carità».

“Se vuoi conservare la fede, donala”
Non si può inoltre dimenticare che la fede si conserva donandola. Se qualcuno pensasse il contrario sarebbe fuori strada, quantomeno fuori da una logica cattolica.
Infatti, «La Chiesa è sempre e dappertutto in stato di missione. Possiamo dire che il Concilio Vaticano II ci ha confermato e, in un certo senso, rivelato l’organica missionarietà della Chiesa, cominciando dalla Lumen gentium sino dal capitolo “Mysterium Ecclesiae”», scriveva Giovanni Paolo II il 13 novembre 1990.
Il Papa insiste con il Vaticano II perché è in quella circostanza che la Chiesa, nella sua universalità, si è posta con forza il problema della missionarietà, di come trasmettere la fede in un mondo ostile e soprattutto ormai reso indifferente da stili di vita lontani anni luce dalla vita cristiana. Non che prima la Chiesa non avesse e non si interrogasse su questo problema, ma in generale il problema missionario veniva identificato soprattutto con la missione ad gentes, cioè verso quei popoli che non avevano ancora conosciuto il Vangelo. Ma sia i Pontefici, soprattutto Pio XI e Pio XII, sia i più avveduti fra i pastori e gli intellettuali cattolici avevano già avvertito nella prima metà del XX secolo la profondità del processo di scristianizzazione, e dunque la necessità di una seconda evangelizzazione degli antichi paesi cristiani.
Spesso siamo stati abituati a legare il processo di cristianizzazione con il Concilio Vaticano II, come se quest’ultimo fosse stato la causa della crisi che verrà dopo l’assise anche all’interno della Chiesa, ma ci si dimentica, per esempio, che la lettera pastorale (ancora di grande attualità) sul laicismo dei vescovi italiani viene pubblicata nel 1960.
Questa preoccupazione prenderà corpo durante i lavori del Vaticano II e sarà presente nei documenti, soprattutto nello sforzo di trasformare la Chiesa di una società cristiana che stava scomparendo in una Chiesa missionaria pronta a una nuova evangelizzazione.
È importante esaminare come papa Giovanni Paolo II abbia concepito questa forma di nuova evangelizzazione.

«La Chiesa è sempre missionaria»
Questa espressione, disse Giovanni Paolo II improvvisando un discorso il 24 maggio 1992, sembrava estranea ai padri conciliari degli antichi paesi di tradizione cristiana, come l’Italia, dove la Chiesa era stata per secoli l’anima della società e ancora allora, negli Anni Sessanta, aveva un posto importante, riconosciuto, apprezzato e a volte temuto dai suoi nemici. Ma la Chiesa è missionaria anche qui e non solo nei paesi di missione, continua il Santo Padre, perché nasce dalla missione divina, dal Padre che invia il Figlio e poi lo Spirito Santo, secondo una missione non visibile, ma reale, che si rivolge ai popoli lontani dalla fede, ma anche a quelli che la hanno dimenticata: «Nata dalla missione del Figlio e dalla venuta dello Spirito – ha detto in un’altra occasione sempre Giovanni Paolo II – la Chiesa è missionaria per sua stessa natura. Essa esiste ed è stata inviata per prolungare nel tempo e nello spazio l’opera di evangelizzazione di Cristo, Sole di giustizia e autentica Luce per tutti i popoli» (messaggio dell’8 settembre 1992).
Questo è il senso della nuova evangelizzazione, ossia la seconda, che si preoccupa del ritorno a Dio di tanti contemporanei.
Infatti, «noi parliamo oggi di nuova evangelizzazione, perché gli effetti della prima sono stati compromessi dalle varie ideologie, ormai ferite a morte, ma ancora influenti», diceva sempre Giovanni Paolo II a Caserta il 24 maggio 1992, e anche perché lo Spirito Santo vuole sempre rinnovare e manifestare nella sua bellezza la Parola di Dio e la sua presenza nella storia. Esauritasi la prima evangelizzazione, quella che aveva dato vita al millennio della fede, quel periodo che va dall’Editto di Milano nel 313 alla lotta fra il Re di Francia e il papa Bonifacio VIII che sfocia, nel 1303, nell’«oltraggio di Anagni», dove il Pontefice venne schiaffeggiato dall’inviato del “Re cristianissimo” Sciarra Colonna (1270-1329), la Chiesa ha dovuto attraversare i secoli della modernità sfidando eresie e ideologie. Oggi, a vent’anni dal fallimento del tentativo comunista di conquistare il mondo (1989), la Chiesa deve ricominciare, in qualche modo, a proporre la fede ai nuovi barbari del terzo millennio, a noi contemporanei, che l’abbiamo perduta o non l’abbiamo mai conosciuta. È la grande ed entusiasmante sfida della nuova evangelizzazione.

BIBLIOGRAFIA

Manca, a mia scienza, una raccolta aggiornata dei testi pontifici inerenti alla nuova evangelizzazione. Testi da leggere sul tema, fra altri, sono l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di Paolo VI dell’8 dicembre 1975, l’omelia a santo Domingo di Giovanni Paolo II dell’11 ottobre 1984, l’esortazione apostolica Christifideles laici del 30 dicembre 1988, l’enciclica sempre di Giovanni Paolo II Redemptoris missio, del 7 dicembre 1990.

 

 

 

 

IL TIMONE N. 88 – ANNO XI – Dicembre 2009 – pag. 58 – 59

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