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13.12.2024

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Cinema (e TV) che passione
31 Gennaio 2014

Cinema (e TV) che passione

 

 

Riflettendo su un angosciato articolo di Mario Palmaro su queste stesse pagine, la mia passione per il cinema è diventata letterale (“passione”: da “patire”).
Ora, prima di addentrarmi nell’argomento, mi si permetta di mandare avanti alcune citazioni. La prima è di Valerio Riva (che è nel direttivo della Mostra di Venezia) su Il Giornale del 10.9.02: “Andrea Occhipinti, il padrone della “Lucky Red”, la casa che distribuisce in Italia Magdalene Sisters, ha dichiarato all’Unità di stupirsi perché qualche giorno fa io l’avrei incontrato negli ambulacri della Mostra del Cinema e gli avrei dichiarato di aver trovato il film da lui distribuito “molto bello”. Non l’ho incontrato, gli ho telefonato, e Occhipinti, che è uno sveglio, ha capito benissimo perché gli telefonavo. Volevo avere conferma, e l’ho avuta, su un dettaglio che mi sembrava francamente curioso: che cioè di tutti i film stranieri presenti a Venezia, Magdalene Sisters fosse l’unico(a quel che so) già pronto bell’e doppiato. Tant’è vero che mezz’ora dopo la presentazione al Lido con i regolamentari sottotitoli, il film era già in programmazione, doppiatissimo, in almeno due cinema di Roma (unica città dove ho potuto indagare), per passare appena qualche giorno dopo a una distribuzione più vasta e capillare in tutta Italia. E si noti che gli altri film in concorso (tranne naturalmente quelli italiani) prima di essere doppiati ed entrare in distribuzione dovranno aspettare, come minimo, un paio di mesi”. La seconda citazione è di Peter Viereck, illustre storico dell’università americana di Yale: “L’irrisione dei cattolici è l’antisemitismo dei liberals” (così vengono chiamati negli Usa gli intellettuali di sinistra).
La terza ed ultima è del francese Alain Finkielkraut e descrive i liberals europei (la rubo di seconda mano al direttore di Tempi, Luigi Amicone): “È schiumando di rabbia contro il fascismo in piena ascensione che l’arte contemporanea fa man bassa delle istituzioni culturali. Non c’è nessuna fessura nella corazza dei fortunati del mondo post-sessantottino (…). Sì, perché occupano tutti i posti: quello, vantaggioso, del Maestro e quello, prestigioso, del Maledetto.
Vivono come una sfida eroica all’ordine delle cose la loro adesione piena di sollecitudine alla norma del giorno. Il dogma sono loro, la bestemmia pure. E per darsi arie da emarginati insultano urlando i loro rari avversari. In breve, coniugano senza vergogna l’euforia del potere con l’ebbrezza della sovversione”.
A questo quadro aggiungerei un’esperienza personale: non molto tempo fa, parlando con un alto esponente dell’attuale maggioranza, lo sentii lamentarsi di non riuscire a trovare uomini per ricoprire cariche nei settori artistici: sono tutti di sinistra. E mi ricordai del famoso giornalista Roberto Gervaso, che, in un articolo, rifaceva la storia dell’epurazione dei fascisti all’indomani della guerra. In particolare, riferiva l’episodio di un grande editore italiano che si vide arrivare in ufficio emissari comunisti con la richiesta precisa di piazzare nei gangli decisionali della sua azienda le persone che gli sarebbero state indicate . La citazione esatta delle parole di Gervaso non posso fornirla perché ho perduto il ritaglio, ma il concetto è stato da lui stesso ribadito in successive conferenze. E poi,non si tratta certo di un mistero. Le cose, insomma, stanno così perché al tempo della ricostruzione post-bellica il partito “cattolico” aveva altro a cui pensare: scelse di assicurarsi i ministeri “economici” e l’istruzione, lasciando il resto agli altri. Questi ultimi puntarono sul futuro e, col Sessantotto, si presero anche la scuola. Molti dei “rivoluzionari di professione”, emersi da quella stagione, vennero assorbiti nei grandi quotidiani (erano bravi con la penna e, così, in qualche modo li si addomesticava). Il resto è sotto gli occhi di tutti.
Bene, adesso che sappiamo come è andata, vediamo di uscirne fuori.
Come? Innanzitutto, mettendosi in testa che l’unica risposta decente all’aggressività culturale anticattolica è produrre cinema cattolico e arte cattolica in generale. Per quanto riguarda la televisione, poiché essa vive di audience, non c’è altro da fare che seguire l’indicazione del massimo esperto di media di tutti i tempi, Marshall McLuhan (non a caso, cattolico): staccare la spina. In altri termini: costituire una rete di comitati di boicottaggio che minaccino semplicemente di far cambiar canale ai loro iscritti se i programmi non vengono preventivamente concordati con loro. Per quel che attiene alla pubblicità, basta non comprare certi prodotti. Stesso discorso, infine, per gli intellettuali (anche loro vivono di audience), affinché usino massimi rispetto e circospezione quando toccano certi argomenti, così come fanno con gli ebrei, gli islamici, i buddisti e quant’altri. Se i cattolici smettessero di colpo di leggeri, sentirli e/o guardarli, ciò li indurrebbe a più miti consigli. Il guaio è che, ahimè, vero problema non sono loro.
L’anticattolicesimo fa solo, e bene, il suo mestiere. Sono i cattolici che non fanno il loro. Sono divisi anche loro in liberals e conservatives. Capite da soli che così non si va da nessuna parte.
Non resta, dunque, che la testimonianza individuale.
Il vostro Kattolico, per esempio, non è andato a vedere Magdalene Sisters (né I banchieri di Dio, né Amen, né L’ora di religione eccetera) ed usa il video casalingo solo per il telegiornale (con l’eccezione del talkshow di Antonio Socci). Poca cosa, certo, ma è meglio di niente.
Perché, infatti, patire (spendendo denari per giunta)?


 

 

 


IL TIMONE N. 23 – ANNO V – Gennaio/Febbraio 2003 – pag. 52 – 53

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