1914. La fine della Belle Époque
L’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando pretendente designato al trono dell’Impero asburgico (28 giugno 1914), da parte del terrorista nazionalista serbobosniaco Gavrilo Princip, pone fine a una lunga stagione di pace e di sviluppo economico chiamata Belle Époque, l’epoca bella che segna il periodo che inizia con la fine della guerra franco-prussiana nel 1870. È un’epoca senza guerre in Europa e di grande sviluppo industriale e commerciale, ma soprattutto un’epoca in cui la borghesia delle grandi città crede di aver raggiunto un alto livello di vita grazie alle scoperte scientifiche che permettono un’esistenza sempre più segnata dal divertimento e dalla spensieratezza, grazie all’illuminazione elettrica, alla radio, alla comparsa delle prime automobili, alla scoperta di vaccini contro le più gravi malattie che allungano la vita e permettono di sconfiggere malattie fino ad allora letali. Naturalmente, c’è l’altra faccia della medaglia, ossia il proletariato che lavora senza alcuna protezione per troppe ore nelle fabbriche delle città industrializzate, e un nazionalismo esasperato che viene coltivato da minoranze influenti e che non ha più i contrappesi dei principi cristiani diffusi, perché la cultura delle classi dirigenti e del movimento operaio va sempre più allontanandosi dal Vangelo. Un mese dopo l’assassinio, l’Impero austriaco dichiara guerra alla Serbia e, in rapida successione, il conflitto si estende a tutte le grandi potenze attorno all’asse Francia/Russia/Inghilterra contrapposto ai due Imperi di Germania e Austria.
1915. L’incredibile atteggiamento dell’Italia
È l’anno dell’ingresso in guerra dell’Italia, attraverso un incredibile cambio di alleanze che porta il nostro Paese a schierarsi contro gli alleati di dieci mesi prima. Il 24 maggio, infatti, l’Italia entra in guerra a fianco di Francia, Russia e Inghilterra (Triplice Intesa) contro quegli Stati con cui era alleata da oltre trent’anni (1882), Germania e Austria (Triplice Alleanza), ancora alleati il 1° agosto dell’anno precedente, quando il governo italiano dichiarò la propria neutralità.
1916. La guerra di posizione nelle trincee
La guerra è diventata quasi subito una guerra di posizione senza che nessuno dei contendenti riuscisse a prevalere sul nemico. Il conflitto così rimane in una fase di stallo con i soldati – milioni di giovani, molti dei quali contadini che non erano mai usciti dal paese d’origine – costretti a trascorrere lunghi periodi nelle trincee che attraversano tutta la linea dei fronti, in attesa della morte o delle licenze. Questa situazione drammatica provocherà molte conseguenze sulla psiche dei combattenti e certamente condizionerà la vita di quelli che riusciranno a rimanere vivi.
1918. La “nazionalizzazione delle masse” e la fine degli Imperi
Finisce la Grande guerra e cambia il mondo. L’Europa perde la sua centralità geopolitica, a vantaggio soprattutto degli Stati Uniti, entrati in guerra l’anno precedente in modo decisivo per le sorti del conflitto. Con il ritorno a casa dei soldati avviene la cosiddetta nazionalizzazione delle masse, cioè la penetrazione delle ideologie dalle minoranze politicizzate ai partiti di massa, che nascono dopo la fine della guerra: il Partito popolare (1919), il movimento fascista (1919) e il Partito comunista (1921). Ma, soprattutto, la fine della guerra favorisce il crollo dei quattro imperi: ottomano, russo, tedesco e quello austro-ungarico, erede dell’impero asburgico particolarmente inviso alla massoneria. Crollano gli imperi e nascono gli Stati nazionali, premessa di nuovi conflitti.
1919
“La pace sbagliata” è il titolo di un libro che spiega bene il fallimento morale e politico dei trattati di pace firmati a Versailles dopo la fine della guerra dalle diverse diplomazie. Gli egoismi partoriti dall’ideologia nazionalista lasciano tutti insoddisfatti, vinti e vincitori. Gli Stati riprendono subito a guardarsi con odio, in attesa di ricominciare a combattersi. La Germania, umiliata ma non sconfitta militarmente, prepara la rivincita sotto la spinta del nazionalsocialismo, che nel 1933 conquista il potere e la porterà alla catastrofe. L’Austria viene ridotta a una piccola terra ininfluente, l’Italia non ottiene gran parte di quello per cui aveva tradito gli alleati del Nord. La Francia stessa si accorge di aver sacrificato milioni di vite per poco più di nulla. Papa Benedetto XV aveva avuto ragione definendola una «inutile strage», ma come si sa, spesso, la ragione la si dà con supponenza a quelli di cui ci si vuole sbarazzare.
IL TIMONE – Aprile 2014 (pag. 46)
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