L’intenzione, l’atto esterno e le circostanze sono gli elementi dell’agire umano. E devono essere tutti e tre simultaneamente buoni perché l’atto sia buono.
Ogni dottrina etica compiuta (sia essa religiosa o semplicemente filosofica) deve rispondere a tre domande fondamentali. Che cosa è il bene in generale e quali sono le sue cause? Quali sono i beni e i mali in particolare (cioè quali azioni possono essere classificate come buone e quali come cattive)? In base a quali criteri un dato atto umano (nella sua specificità e interezza) può essere detto buono o cattivo?
In questo articolo mi occuperò dal punto di vista filosofico della terza questione, che, no-nostante le apparenze, costituisce un quesito ben distinto dal secondo. Infatti, la struttura dell'atto umano è talmente complessa che, sebbene una certa azione (ad esempio quella appena compiuta da Tizio), giudicata nei suoi aspetti esteriori, possa rientrare tra le azioni buone, ciò potrebbe non essere del tutto vero: è sufficiente che una sola delle sue varie componenti sia cattiva, per comprometterne la bontà complessiva. Nella teologia tradizionale una famosa sentenza latina recitava: «Il bene deriva dall'integrità delle sue cause [ossia dalla perfezione di tutte le sue componenti], il male da un qualunque difetto». Per illustrare, almeno nei suoi aspetti fondamentali, la natura dell'atto umano, mi riferirò alle profonde analisi che san Tommaso d'Aquino svolge a tale proposito nella Somma Teologica. Raccomando vivamente al lettore volonteroso di rivolgersi a questa fonte, che rimane un punto di riferimento imprescindibile.
Gli elementi che determinano la bontà dell'atto morale sono tre: l'atto interno, l'atto esterno e le circostanze. Le prime due componenti costituiscono la struttura intima dell'atto morale (la sua "essenza" o "natura"), mentre il terzo ne specifica concretamente lo svolgimento (in linguaggio tecnico le circostanze vengono dette "accidenti" dell'atto morale). Ognuno di questi elementi può essere buono o cattivo e, come dicevo sopra, affinché l'azione nel suo complesso risulti buona, è necessario che tutti e tre gli elementi siano buoni; mentre basta che uno solo di essi sia cattivo, per rendere cattiva l'azione stessa.
Faccio un esempio, per non rimanere nell'astratto: avendo l'intenzione di aiutare un amico, ultimamente un po' depresso, nel primo pomeriggio vado a trovarlo a casa sua e ci parlo. L'aver maturato l'intenzione di aiutare quel mio amico, implica vari eventi interni sia alla mia intelligenza che alla mia volontà: in primo luogo devo avere appreso della condizione problematica in cui si trova il mio amico ed essermi posto come fine il suo bene; poi devo aver valutato le varie azioni per mezzo delle quali poter aiutare l'amico, avendo scelto in ultimo quella (o quelle) più opportuna; infine, agisco per conseguire il fine mediante l'uso (volontà) ordinato (razionalità) dei mezzi prescelti. Tutto ciò forma l'unità dell'atto interno, che, come si vede, nasce da un continuo interscambio tra intelligenza e volontà. L'andare a trovare l'amico e il parlargli costituiscono invece gli atti esterni mediante i quali porto a compimento il fine, cioè essi sono i mezzi concreti (attuati esternamente) per il raggiun-gimento del fine voluto. Il fatto, poi, che l'attuazione dei mezzi avvenga nel primo pome-riggio, costituisce la circostanza (una delle tante che avrei potuto ipotizzare) in cui i fatti si svolgono.
Vediamo ora da che cosa dipende la bontà o la cattiveria di questi tre elementi. La
moralità dell'atto interno dipende dalla bontà o cattiveria dell'intenzione, che è l'atto di tendenza della volontà verso il fine. Intorno all'intenzione del fine ruota infatti ogni atto interno di ricerca e scelta dei mezzi. La moralità dell'atto esterno è dovuta alla sua stessa bontà o cattiveria, cioè all'essere classificabile nell'insieme degli atti buoni o invece di quel-li cattivi (il secondo quesito, che ho posto inizialmente, riguarda proprio queste clas-sificazioni, di cui però non posso qui occuparmi). La moralità delle circostanze deriva dalla relazione che esse hanno con il fine, cioè dal loro favorire o invece impedire il raggiungimento di un fine buono.
Riprendendo l'esempio precedente, se il mio fine non fosse in realtà quello di aiutare l'amico, bensì quello di soddisfare la mia curiosità verso i fatti altrui, allora, anche se i mezzi e le circostanze fossero buoni, nel suo insieme la mia azione invece non lo sarebbe. Analogo risultato si avrebbe se il mio fine fosse buono (aiutare il mio amico Paolo a superare l'ostacolo che tanto lo preoccupa), ma mi servissi di un mezzo illecito, come ad esempio tentare di corrompere il professore che l'indomani deve esaminare Paolo (il fine non giustifica i mezzi). Da ultimo, se il fine e i mezzi fossero buoni, ma pretendessi di irrompere in casa del mio amico, per parlare con lui, alle tre del mattino, tali circostanze renderebbero la mia azione del tutto inopportuna e perlomeno molto maleducata.
Le circostanze in certi casi determinano l'azione che si compie: per esempio, se io uccido una persona che è mio padre, commetto non soltanto un omicidio, ma un parricidio, che è moralmente più grave; altre volte rinforzano o attenuano il valore morale dell'azione: per esempio, se io derubo un ricco oppure un povero, questa circostanza (il fatto che il derubato sia povero o ricco), attenua o diminuisce la gravità di ciò che compio; altre volte sono indifferenti: per esempio, quando io uccido una persona con un revolver o con un fucile (a meno che ciò determini una sofferenza maggiore all'ucciso).
Sebbene per mezzo di un'esposizione necessariamente molto sintetica e sChematica, ho cercato di mettere in luce gli elementi che chiunque, dai genitori ai giudici in tribunale, dovrebbe tenere presenti, per essere in grado di esprimere una valutazione equilibrata sulle proprie e sulle altrui azioni; in primo luogo sulle proprie, perché si possa capire quanto sia difficile giudicare le altrui.
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"Perché un comportamento completo sia buono devono essere buone tutte le sue componenti. Si dice per questo che bonum ex integra causa, malum ex quocunque defectu. Se una delle componenti […] è incompatibile con una virtù o con una norma etica, il comportamento nel suo insieme è moralmente cattivo, e non può essere voluto senza che la volontà incorra in una colpa morale. Né una buona intenzione giustifica un'azione […] incompatibile con una virtù, né un'azione […] buona rende buona l'intenzione cattiva o l'insieme del comportamento complesso”.
(Angel Rodriguez LUDO, Etica, Le Monnier 1992, p. 257).
Bibliografia
San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, I-II, Questioni 6-21.
André Léonard, Il fondamento della morale, San Paolo 1994, pp. 249-262.
Joseph Rodriguez Luño, Etica, Edizione del Circuito 1967, pp. 329-346.
Servasi Pinckaers, Le fonti della morale cristiana, Ares 1992.
IL TIMONE – N.41 – ANNO VII – Marzo 2005 pag. 52 – 53