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12.12.2024

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Comunismo: la terribile carneficina
31 Gennaio 2014

Comunismo: la terribile carneficina

 

 

Oltre 200.000.000 vittime. Questo il tragico bilancio del Comunismo realizzato. L’ateismo marxista ha combattuto Dio e ucciso l’uomo.

 

 

“Dai loro frutti li potrete riconoscere” (Mt 7,20). La verità di questa massima evangelica, sempre attuale, ci porta a formulare un giudizio di severa condanna del Comunismo.
La considerazione dei frutti, o, perlomeno, dato lo spazio limitato di un articolo, del più tragico di questi: l’altissimo numero di vittime che il comunismo ha provocato ovunque si è instaurato, obbliga ogni spirito libero a condannare nei termini più rigorosi una ideologia che, anziché difendere le classi umili, ha finito con il far pagare, a prezzo della loro vita, proprio a milioni di poveri e di innocenti la follia di un progetto diabolico che pretendeva di costruire una società senza Dio.
Basti ricordare, per fare un primo esempio, la lotta guidata da Stalin ai contadini piccoli proprietari che comportò nel 1929 e 1930 la deportazione-sterminio di 10 milioni di kulaki, più di 5 milioni di subkulaki, cui seguirono 6 milioni di morti di fame nella conseguente carestia ‘artificiale’ del 1931-32 (con molti casi di cannibalismo). In questa lotta vennero dunque sacrificate complessivamente 21 milioni di persone.
Quante furono in totale le vittime in Unione Sovietica? Stando a quanto afferma il professore di statistica Kurganov; tra il 1917 e il 1959, cioè nei primi 42 anni di dominio comunista, le perdite umane dovute alle deportazioni nei campi di sterminio, alle condanne ai lavori forzati, alle fucilazioni di massa o alle carestie provocate dall’ arresto e dalla deportazione di milioni di contadini furono più di 60 milioni. A confermare questo numero spaventosamente elevato di vittime, superiore di oltre dieci volte al numero degli Ebrei perito a causa dell’Olocausto, va ricordato che il 28 ottobre 1994, in un discorso al Parlamento russo (Duma), Solgenitsin ha affermato che i morti dovuti al comunismo furono 60 milioni: nessuno, sia in Parlamento che fuori, ha sollevato obiezioni.
Per quanto concerne il numero delle vittima provocate dal Comunismo cinese, disponiamo di informazioni meno dettagliate, e di gran lunga meno documentate che per la Russia. Tuttavia, un calcolo molto vicino alla realtà è possibile.
Anzitutto, per il decennio che va dal 1949 (anno della vittoria dei comunisti e della proclamazione della repubblica popolare) al 1958 riportiamo ciò che scrive l’ex ambasciatore d’Italia a Mosca Luca Pietromarchi: “In Cina… il comunismo ha causato la perdita, dal 1949 al 1958, di cinquanta milioni di vite umane… Inoltre 30 milioni di contadini furono inviati in campo di concentramento”.
Dopo di queste, negli anni del “Grande balzo in avanti” (1958-1960) e subito successivi, si ebbero le perdite più terrificanti, dovute alla carestia artificiale prodotta dall’ espropriazione dei contadini. Secondo il famoso sinologo LazIo Ladany (che fu per decenni redattore a Hong Kong del notiziario China News Analisys, da cui attingevano materia prima praticamente tutti i giornali occidentali) i morti di fame tra il ’59 e il ’62 sarebbero stati 50 milioni. Durante questi stessi anni e in quelli successivi fino al 1966 (anno d’inizio della ‘Grande rivoluzione culturale’), si ebbe inoltre lo stillicidio sistematico delle vittime dei ‘campi di rieducazione attraverso il lavoro’ .
Secondo R.L. Walker ed altri sinologhi, il numero dei deportati oscillava allora tra i 18 e i 20 milioni; il che – volendo supporre, con ottimismo, una mortalità nei lager cinesi analoga a quella sovietica, cioè del 7-8% annua – comporterebbe un milione e mezzo circa di morti all’ anno, dunque una dozzina di milioni per il periodo 1958-1965.
L’unico studio sistematico a nostra conoscenza, relativo all’intera prima fase che va dal 1949 al 1965, è quello effettuato da Richard L. Walker per conto del Senato americano: studio che dà – ripartendole per categorie – da un minimo di 34.300.000 a un massimo di 63.784.000 vittime, a seconda delle fonti. Vi mancano, però, quasi del tutto, i dati relativi alle vittime del ‘Grande balzo in avanti’.
Nel periodo successivo, cioè negli anni dal 1966 (inizio rivoluzione culturale), al ’76 (morte di Mao), si ebbero appunto le vittime prodotte dalla rivoluzione culturale, che ammontano certamente a diverse decine di milioni.
Un quadro fondato scientificamente del numero complessivo delle vittime fatte dal comunismo in Cina potrebbe essere suggerito dallo studio statistico di Paul Paillat e Alfred Sauvy, pubblicato nel 1974 sull’autorevole rivista parigina Population (n. 3, pago 535). Da esso emerge che la popolazione cinese era in quell’ anno inferiore di circa 150 milioni di persone a quella che avrebbe dovuto essere statisticamente, cioè in base al suo tasso di crescita pur calcolato in modo prudenziale.
In Cambogia, nel triennio 1975-1978, la percentuale di vittime innocenti da parte del Comunismo raggiunse una proporzione mai conosciuta prima nella storia dell’intera umanità. I capi comunisti Khmer il giorno stesso della presa del potere hanno deportato oltre metà della popolazione del loro sventurato Paese. Aggiungendosi la gente già da essi deportata in precedenza nelle zone in loro possesso, si arriva a circa 1’80% della popolazione: in tal modo praticamente tutta la Cambogia venne trasformata in un enorme lager.
Contemporaneamente alla deportazione, i capi Khmer diedero inizio all’ eliminazione fisica di tutte le persone in qualche modo ‘contaminate’ dal capitalismo (cioè, in Cambogia, dal colonialismo), procedendo all’ annientamento degli ex detentori del potere, ex detentori dell’ avere ed ex detentori del sapere.
Complessivamente le vittime furono, in circa tre anni, vicine ai 3 milioni, su 7 milioni di abitanti che annoverava il Paese al momento della vittoria comunista (nell’aprile 1975): furono dunque superiori a un terzo dell’intera popolazione. L’obiettivo al riguardo dei capiideologi Khmer era contenuto in una terrificante circolare da loro distribuita alle autorità provinciali già nel febbraio del 76, che venne portata in Thailandia da un capo Khmer profugo: “Per costruire la Cambogia nuova un milione di uomini è sufficiente”. Nel frattempo tutti i compiti di qualche importanza nella società venivano, per quanto possibile, affidati a bambini e ragazzi ‘non contaminati dal capitalismo’ a motivo della loro età.
Negli altri paesi in cui i comunisti hanno preso il potere si ebbero (secondo il recente calcolo minimale di S. Courtois, Il libro nero del comunismo): in Corea del Nord 2 milioni di vittime, in Vietnam 1 milione, nell’Europa dell’Est 1 milione, in Africa 1.700.000, in Afganistan 1.500.000.
Ma finché non emergeranno notizie che possano fondatamente modificare la terribile contabilità dei massacri, si deve rimanere fermi sul totale di 215-220 milioni di vittime circa.
Oggi in Italia un così sterminato massacro, di gran lunga il maggiore nella storia dell’umanità, è come se non ci fosse mai stato: ben pochi si sono curati di appurare la verità al riguardo.
Le ragioni
Il recente Libro nero del Comunismo non riesce a individuare la causa principale degli eccidi: !’impossibilità di cambiare, usando i mezzi materialistici indicati dal marxismo, la natura e la coscienza dell’uomo. In pratica, fanaticamente determinati com’erano a eliminare il male dal mondo, i comunisti non hanno potuto fare altro che eliminare l’uomo dal mondo, e l’hanno fatto, come s’è detto, su una scala mai vista prima nella storia. Oggi tanti loro eredi pensano appunto, confusamente, che quegli orribili massacri, se non giustificati, siano stati però nobilitati dalle buone intenzioni iniziali.
Va detto che queste stragi non avevano affatto lo scopo di conservare il potere ai comunisti (non sarebbero state necessarie): quelle stragi facevano parte – in parallelo con !’incremento della produzione materiale – del meccanismo che secondo Marx e Lenin avrebbe dovuto produrre una “società di uomini nuovi”. Tale meccanismo presupponeva tra l’altro la “violenza come levatrice della società nuova”.
Si voleva, in pratica, far cambiare a ogni uomo la sua coscienza e la sua natura. Senza tenere nel minimo conto i reali risultati, che consistevano soltanto in montagne e montagne di cadaveri, i comunisti hanno insistito su questa strada perché il fermarsi avrebbe comportato la rinuncia all’utopica società nuova – libera dai mali di tutte le società precedenti – per costruire la quale essi avevano ormai fatto un così sterminato numero di morti.
Considerando che, a causa del comunismo, nella nostra epoca abbiamo avuto una straordinaria conferma della fondatezza della visione di S. Agostino, per il quale la storia consiste in un alternarsi continuo delle due “città”: la “città terrena” (cioè la società degli uomini che, anche quando partono da propositi encomiabili, poiché escludono Dio dalla loro vita, finiscono inevitabilmente col seguire il “principe di questo mondo”, ossia il demonio, il quale come sappiamo è “omicida”, “padre di menzogna” e “scimmia di Dio”) e la “città celeste” (cioè la società di coloro che nel costruire la vita in comune si rifanno in qualche modo agli insegnamenti di Dio), non ci resta che ribadire una convinzione ormai considerata fuori moda, anche in certo mondo cattolico: il vero bene dell’uomo e delle società, già a partire dalla vita in questa terra, è possibile soltanto a condizione di rispettare la legge di Dio. Altrimenti è il trionfo del demonio. Una terza via non è data.

RICORDA

Il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la la collaborazione con esso da parte di chiunque voglia salvare la civiltà cristiana”
(Papa Pio XI, Enciclica Divini Redemptoris, 1937).

“[…] Sono queste le ragioni che ci obbligano, come hanno obbligato i Nostri Predecessori e con essi quanti hanno a cuore i valori religiosi, a condannare i sistemi ideologici negatori di Dio e oppressori della Chiesa, sistemi spesso identificati in regimi economici, sociali e politici, e tra questi specialmente il comunismo ateo”

(Papa Paolo VI, Enciclica Ecclesiam Suam, 1964).

BIBLIOGRAFIA

Eugenio Corti, L’esperimento comunista, Edizioni Ares, Milano 1991. Eugenio Corti, Il cavallo Rosso, edizioni Ares, Milano.
Eugenio Corti, Le responsabilità della cultura occidentale nelle grandi stragi del nostro secolo, Mimep-Docete, Pessano (MI) 1998.
Aleksandr Solzenicyn, Arcipelago GULag, 3 volI., Mondadori editore, Milano 1973 – 1976.
Jean Daujat, Conoscere il comunismo, Società editrice il falco, 1977. AAVV., Il libro nero del Comunismo, Mondadori editore, Milano 1998.

IL TIMONE – N.4 – ANNO I – Novembre/Dicembre 1999 – pag. 16 – 17 – 18

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