Mentre rilancia l’importanza del sacramento della penitenza, Papa Benedetto non dimentica la dimensione evangelizzatrice della Chiesa. Insiste sulla nuova evangelizzazione e formalizza il dialogo con gli intellettuali
Fra i numerosi interventi recenti del Santo Padre, mi pare meriti una particolare attenzione il discorso ai partecipanti a un corso promosso dalla penitenzieria apostolica. Quest’ultima è un dicastero della Curia romana e il supremo Tribunale della Chiesa per quanto riguarda il foro interno; esiste dal XII secolo e ha competenza per quanto attiene a peccati e indulgenze.
Incontrando il 25 marzo i partecipanti a un corso appunto promosso dal dicastero, Benedetto XVI ha trattato del valore pedagogico della confessione sacramentale. Pur ricordando il valore oggettivo del sacramento in sé, il Pontefice ha voluto ricordare come la riconciliazione possa educare la fede sia del confessore sia del penitente, portando l’esempio di grandi santi che legarono la loro vita soprattutto alla pratica del sacramento, come san Giovanni Maria Vianney, san Giovanni Bosco, san Josemaría Escrivá, san Pio da Pietrelcina, san Giuseppe Cafasso, san Leopoldo Mandić.
Dal punto di vista del sacerdote
In che modo la confessione può essere strumento di educazione? Intanto perché il sacerdote ha la possibilità di ammirare da un punto di vista privilegiato lo splendore della Misericordia di Dio all’opera, toccando con mano gli effetti salvifici della Croce e della Resurrezione. Noi forse non ci rendiamo conto adeguatamente dei miracoli che avvengono in confessionale, dove si realizza quanto scriveva Isaia: «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come la neve» (Is 1,18). Quanti ritornano alla fede dopo anni di lontananza suggellano l’avvenuta conversione con l’accostamento a questo sacramento, ed è una delle esperienze più commoventi ed entusiasmanti della vita cristiana: «Non dimentichiamo quante conversioni e quante esistenze realmente sante sono iniziate in un confessionale!», scrive Benedetto XVI. E ancora: il sacerdote che confessa è testimone della volontà del penitente di cambiare strada, appunto di convertirsi e questo «alimenta in lui la certezza che l’ultima parola sul male dell’uomo e della storia è di Dio, è della sua Misericordia, capace di far nuove tutte le cose ». Certo, confessare, ricorda il Papa, significa «visitare l’abisso del cuore umano, anche negli aspetti oscuri», ma anche guardare con ammirazione la serietà di tanti penitenti impegnati a santificarsi.
Dal punto di vista del penitente
Anzitutto la Grazia opera in chi si confessa con effetti oggettivi nell’anima del fedele. Ma il sacramento è anche «uno dei momenti nei quali la libertà personale e la consapevolezza di sé sono chiamate ad esprimersi in modo particolarmente evidente». Forse è proprio per questo che in un’epoca di relativismo anche la pratica della confessione tende a diminuire, come sottolinea il Papa. Libertà, consapevolezza di sé, confronto con la verità del Vangelo, con le Beatitudini e con il Precetto dell’amore, sono tutte occasioni alle quali ci obbliga l’esame di coscienza, componente essenziale della confessione, e sono tutte cose desuete nel clima culturale odierno che non ammette alcun confronto con la verità. Il sacramento non va confuso con la direzione spirituale, però non vanno neppure dimenticati gli aspetti soggettivi della pratica della confessione, che aiutano chi vi si accosta a guarire veramente dalle ferite lasciate dal peccato. «Cari sacerdoti, sperimentare noi per primi la Misericordia divina ed esserne umili strumenti, ci educhi ad una sempre più fedele celebrazione del Sacramento della Penitenza », conclude il Papa.
Nuova evangelizzazione e dialogo con gli intellettuali
Un grande problema dei tempi attuali consiste nel convincere il mondo dell’esistenza del peccato. In questa prospettiva, Benedetto XVI ha ricordato nell’Angelus della prima domenica di Quaresima che il senso del peccato si riacquista riscoprendo il senso di Dio. Eppure non è così facile.
Per affrontare il problema, la Chiesa ha istituito da pochi mesi il “Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione”, di cui è responsabile il vescovo Rino Fisichella, mentre il Santo Padre, il 21 dicembre 2009, lanciava l’idea di un “Cortile dei gentili” dove si possa avviare un dialogo con chi è interessato al cristianesimo e alla ricerca della verità, così come i pagani attratti dall’ebraismo si potevano incontrare appunto nel Cortile dei gentili, nei pressi del Tempio. Le due iniziative sono diverse. La prima si rivolge soprattutto all’Occidente, alle antiche Chiese colpite dal secolarismo, dove si è persa o comunque indebolita la fede, e ha lo scopo di approfondire i contenuti della nuova evangelizzazione, di trasmettere il Magistero e di diffondere il Catechismo della Chiesa Cattolica (Lettera apostolica Ubicumque et semper). Il Cortile dei gentili invece ha come scopo quello di avvicinare coloro che sono lontani dalla fede, in particolare gli intellettuali, e per questo viene promosso dal “Pontificio consiglio per la cultura”, presieduto dal card. Gianfranco Ravasi. La prima tappa è avvenuta a Parigi, nel mese di marzo 2011, e il 25 il Papa ha inviato un videomessaggio ai partecipanti, soprattutto giovani e intellettuali.
Le due iniziative sono all’esordio, ma sono entrambe indicative di una mentalità missionaria che nella Chiesa si sta estendendo almeno dal 1975, data dell’esortazione Evangelii nuntiandi di Paolo VI.
Una impresa difficile, che necessita di molta delicatezza nei confronti degli interlocutori non credenti, come si può cogliere leggendo le parole del videomessaggio del Papa, eppure precisa nel manifestare l’identità cattolica con la convinzione espressa da Benedetto XVI «che solo Dio, in Cristo, ci libera interiormente e ci dona la possibilità di incontrarci davvero come fratelli» (25 marzo 2011). Entrambe le iniziative, come quasi tutte le novità, hanno suscitato perplessità e contrarietà. A tutti suggerisco di leggere cum Petro i documenti che hanno istituito i due organismi, per cercare di comprendere ciò che il Pontefice ha in mente. Si tratta infatti, per quanto riguarda la nuova evangelizzazione, di prendere atto che da tempo molti battezzati hanno perso la fede e abbandonato la pratica religiosa e deve quindi essere rivolta loro una seconda evangelizzazione, da parte di comunità cristiane preparate allo scopo. Queste ultime vanno formate e per questo la Lettera Ubicumque et semper attribuisce grande rilevanza all’insegnamento del Catechismo della Chiesa Cattolica. Ma se lo scopo della nuova evangelizzazione è rifare cristiano il tessuto della società, «la condizione è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali che vivono in questi paesi e in queste nazioni » (Christifideles laici, n. 34).
D’altra parte, la ricostruzione del tessuto della società passa inevitabilmente attraverso la cultura, o meglio attraverso il cambiamento di mentalità delle classi dirigenti. Per questo il dialogo con gli intellettuali può scandalizzare qualcuno per come il Papa si spinge verso di loro allo scopo di cercare di convincerli partendo dalle cose in comune, per esempio avviando una riflessione a partire dai tre principi alla base della cosiddetta modernità. “Libertà, uguaglianza e fraternità”, nel cui nome vennero commesse le peggiori ingiustizie durante e dopo il 1789, rimangono peraltro all’interno del patrimonio del cristianesimo se non vengono assolutizzati, come purtroppo fecero gli ideologi della Rivoluzione francese e delle rivoluzioni nazionaliste e liberali dell’Ottocento.
L’auspicio della costituzione di un Cortile dei gentili è di Benedetto XVI, il 21 dicembre 2009, alla Curia romana per gli auguri natalizi.
Il Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione viene istituito da Benedetto XVI con la Lettera apostolica Motu proprio Ubicumque et semper il 21 settembre 2010.
Il video-messaggio del Papa al Cortile dei gentili tenutosi a Parigi è del 25 marzo 2011.
IL TIMONE N. 103 – ANNO XIII – Maggio 2011 – pag. 58 – 59
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