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3.12.2024

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Consolare
31 Gennaio 2014

Consolare

 


 

«Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio. Poiché, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale vi dà forza nel sopportare le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo. La nostra speranza nei vostri riguardi è salda: sappiamo che, come siete partecipi delle sofferenze, così lo siete anche della consolazione» (2 Co 1,3-7). «Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui» (Lc 2,25). «[…] pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi » (1Pt 3,15).

Quando pensiamo alla consolazione, ci viene forse in mente la classica “pacca sulla spalla”, a cui si associa spesso un complesso di sollecitazioni di carattere puramente sentimentale: “vedrai che ti passa”, “non pensarci”, “distraiti”… Senza nulla togliere al valore umano – spesso indispensabile – di questo genere di approcci, dobbiamo però constatare che la consolazione prende nella Bibbia un profilo ben più elevato e grave. Tutti ci ricordiamo che “Paràclito”, cioè “Consolatore” è uno dei nomi biblici dello Spirito Santo: « […] il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26). Questo “consolatore” è però «un altro»: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,16), perché anche Gesù lo è. Il Messia infatti nella tradizione ebraica era considerato colui che doveva portare la consolazione di Israele (cfr. Lc 2,25). Quando si è nella tribolazione, consola sentire la vicinanza di un amico, ma consola soprattutto avere nella mente e nel cuore delle solide ragioni per sperare che la tribolazione può essere vinta, che sarà vinta, anzi che in fondo essa è già stata vinta. Queste ragioni si riducono ad una: la Ragione eterna che era presso Dio, mediante la quale sono state create tutte le cose. Essa è la luce «che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). Questa Ragione – Parola – Lógos si è fatta carne, cioè si è fatta uomo e come uomo è vissuta in mezzo a noi, per noi ha dato la vita e così facendo ha sconfitto la morte e ogni tribolazione, cioè ogni causa di tristezza. A tutti coloro che lo accolgono mediante la fede e la vita «ha dato potere» (Gv 1,12) di condividere la sua «natura divina» (2Pt 1,4) diventando così capaci di vincere ogni tribolazione.
Come si fa allora a consolare? Innanzitutto per consolare dobbiamo essere consolati. Se siamo consolati solo superficialmente, superficiale sarà anche la nostra consolazione. La fede è la sorgente profonda di ogni consolazione. Pregando insistentemente, ascoltando con umiltà e perseveranza la parola di Dio, esaminando con coraggio e fedeltà le nostre miserie, invocando la misericordia di Dio facciamo spazio alla sua consolazione in noi e possiamo così diffonderla intorno a noi: «Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio» (2Co 1,4). La fede però non va mai disgiunta dalla ragione, perché è fede nella Ragione eterna con cui Dio ha creato tutto e che si è fatta uomo per noi. Ecco allora che ogni predicazione, ogni esortazione, anche lo stesso “fare teologia”, o “apologetica” è in fondo una consolazione. Dobbiamo infatti essere sempre pronti «a rispondere a chiunque [ci] domandi ragione della speranza che è in [noi]» (1Pt 3,15), letteralmente pronti “all’apologetica [pros apologían]” di questa stessa speranza. Una apologetica che è fatta di testimonianza e anche di ragioni.
Non è per caso che “Vangelo” significhi “buona notizia” e che la consolazione assuma spesso nel paganesimo i tratti opposti della disperazione: «Non ero, fui; ero, non sono: tutto qui» (antico epigramma greco). Quando nelle lettere paoline troviamo la parola “esortare” e sinonimi non dobbiamo pensare ad una predica fatta di “sgridate”, ma ad una “consolazione” nel senso che abbiamo descritto, perché il verbo greco usato e il significato sono gli stessi. «[…] chi esorta si dedichi all’esortazione » (Rm 12,8). «[…] vi abbiamo incoraggiato e scongiurato di comportarvi in maniera degna di Dio, che vi chiama al suo regno e alla sua gloria» (1Tess 2,12). «[…] annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina» (2 Tm 4,2). Dicendo “consolazione” non dobbiamo neppure pensare ovviamente a qualcosa di superficiale e sdolcinato, per le stesse ragioni. Che consolazione per noi del Timone.

 

 

 

 

 

IL TIMONE  N. 106 – ANNO XIII – Settembre/Ottobre 2011 – pag. 60

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