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14.12.2024

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Conversione: facciamo chiarezza
31 Gennaio 2014
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Conversione: facciamo chiarezza

La conversione vera è il movimento verso l’unica vera fede, quella cristiana cattolica. La esige Cristo, come si legge nel Vangelo. La Chiesa è missionaria per questo. In mezzo a mille difficoltà e nemici.

«Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). L’ammonimento contenuto in queste parole di Gesù costituisce la più opportuna introduzione al nostro argomento: Dio è venuto in questo mondo, chiede di essere accolto come il Signore della nostra vita, e quindi chiama ogni uomo alla conversione.
Convertirsi è, letteralmente, voltare le spalle a ciò cui fino ad ora si è stati rivolti e volgersi a ciò cui fino ad ora si sono voltate le spalle. Quando avviene correttamente, cioè nella giusta direzione, costituisce il radicale cambiamento di rotta che un uomo imprime alla propria vita per ritornare a quell’unico vero Dio che fino a poco prima era sconosciuto o da cui ci si era allontanati.
L’atto della conversione coinvolge tutto l’uomo: parte dalla sua intelligenza, come convinzione motivata della verità di una proposta religiosa; in secondo luogo riguarda l’affettività e la volontà, in quanto adesione profonda a tale verità e ai valori in essa contenuti; e infine trasforma i comportamenti, in quanto esigenza di coerenza tra il pensiero e la prassi.
Alla base di questo processo sta l’influsso di Dio stesso, cioè è dono della grazia; questo però non significa, come alle volte si sente dire, che, dato che la fede è un dono, non tutti sono tenuti ad averla; al contrario questa grazia, Dio vuole farla a tutti: se non si compie non è per “colpa” di Dio, ma per la chiusura dell’uomo.
La conversione è movimento verso l’unica vera fede, quella cristiana cattolica, da tre possibili punti di partenza:
– la mancanza di Dio, cioè ateismo, agnosticismo, indifferenza;
– la concezione errata o parziale di Dio, cioè quella che si trova nelle religioni naturali e storiche, che deriva dal semplice senso religioso dell’uomo, segnato dalle conseguenza del peccato originale e che non ha ancora accolto l’insegnamento dell’unico vero rivelatore di Dio che è il Verbo incarnato, Gesù di Nazareth;
– la concezione errata o parziale della persona e dell’opera di Gesù Cristo, cioè quella presentata dalle confessioni cristiane e dalle sètte di derivazione cristiana che non accolgono l’insegnamento dell’unica vera depositaria della divina rivelazione che è la Chiesa cattolica.

La conversione nel vangelo
Nell’Antica Alleanza il tema della conversione viene sviluppato esclusivamente in senso morale, cioè come impegno degli ebrei ad essere fedeli a Jahvè, e non come passaggio dei pagani alla fede di Israele: gli ebrei infatti concepiscono la propria relazione con Dio come il privilegio di essere stati scelti a preferenza di tutti gli altri popoli, e ritengono di conseguenza un’ingratitudine impertinente l’invitare altri, non israeliti, a farne parte.
Vi è però in molti passi profetici l’annuncio di un’epoca in cui anche i non ebrei saranno chiamati a servire l’unico vero Dio: «Dice il Signore: Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue… anche tra essi mi sceglierò dei sacerdoti», poiché «verranno molti popoli, e si diranno l’un l’altro: Venite, saliamo al monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri» (Isaia 66, 18-21)
È questo il tempo del messia, Gesù di Nazareth, il quale è Dio venuto nel mondo perché siano «predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati» (Lc 24,47). Ed è questo il compito che Cristo affida alla sua Chiesa: «Andate e istruite tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,20).
La stessa persona di Gesù, la sua comparsa in questo mondo, le sue parole e le sue azioni, sono di per sé stesse un continuo richiamo alla conversione. Egli infatti è la salvezza di Dio personificata che viene offerta agli uomini.

Evangelizzazione e conversione nella storia
In questi duemila anni la Chiesa non ha mai cessato di dare corso al mandato missionario di Gesù e ha chiamato alla conversione gli uomini di tutti i luoghi e di tutti i tempi. Dal giorno di Pentecoste Pietro e gli altri apostoli, seguiti poi dal Papa e dai vescovi, hanno fatto risuonare in ogni lingua la notizia più sensazionale della storia: Gesù è il Figlio di Dio, morto e risorto, vivente e operante ancora e per sempre nella comunità dei suoi discepoli.
La storia di questi venti secoli è la manifestazione dell’incredibile potenza di questo seme che sparso a piene mani in tutto il mondo, pur tra mille difficoltà, ha prodotto una fruttificazione incalcolabile, quantitativamente e qualitativamente.
Quantitativamente, anzitutto: basti pensare che l’immane persecuzione che nei primi tre secoli, a più riprese, ha martoriato la neonata comunità cristiana, è stata seguita incredibilmente dall’adesione progressiva di tutto il mondo allora conosciuto alla nuova fede; e così nelle epoche successive la scoperta di nuovi popoli e continenti, come l’America, o l’India, o l’Africa sono state sempre accompagnate da un forte impeto missionario e dalla conseguente fioritura di nuova vita cristiana.
Ma anche qualitativamente: la storia dell’umanità è stata profondamente segnata dall’incontro tra il Vangelo e i popoli, che, convertiti ad esso, hanno prodotto una civiltà di cui a tutt’oggi godiamo i frutti: la gran parte di ciò che di buono c’è nella nostra società, nei suoi valori, nelle sue istituzioni, nella sua cultura, deriva dalle sue radici cristiane, tanto bistrattate, ma, grazie a Dio, non ancora totalmente divelte; non di meno è stato ed è decisivo l’apporto dato dalla conversione di singoli uomini e donne, che hanno poi “fatto la storia”: da san Paolo e sant’Agostino, che giunsero alla vera fede dall’ebraismo e dal paganesimo, sino ai nostri contemporanei Vittorio Messori, Leonardo Mondadori, Alessandra Borghese, Claudia Koll, convertitisi a Cristo dal nuovo paganesimo dominante.

I nemici della conversione
Come si diceva, la stupenda epopea dell’evangelizzazione non poteva non avere nemici: Gesù stesso ricorda ai suoi discepoli che se hanno perseguitato lui, non c’è da stupirsi che perseguitino anche noi. E in effetti anche oggi la conversione al Vangelo deve combattere contro numerosi e potenti avversari:
– anzitutto il relativismo, cioè l’unico vero comune denominatore nella frammentazione culturale postmoderna, come ci ha tante volte insegnato il papa Benedetto XVI.
La mentalità relativistica non può che liquidare come assurda l’idea stessa di conversione in quanto presuppone un giudizio di valore oggettivo nella valutazione critica delle varie esperienze religiose, e la scelta preferenziale per l’una o per l’altra; perché passare dal buddismo o dall’ateismo alla fede di Cristo se tutte le posizioni hanno identico valore?
Ma il relativismo non è anzitutto nemico della fede, ma della ragione, e per questo noi rispondiamo ad esso rivalutando la capacità della ragione dell’uomo di cercare e abbracciare la verità religiosa: Dio esiste e si è rivelato in Gesù, per cui «in nessun altro c’è salvezza: non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12). Le altre posizioni filosofiche o religiose non sono equivalenti a questa, ma sono sbagliate, dunque possono e devono convertirsi all’unica vera.
– La pressione sociale esercitata dalle filosofie, dalle religioni, dalle ideologie, da tutti quei sistemi che resistono al regno di Dio che avanza, e che travolge i pensieri e le consuetudini umane, anche le più radicate: l’odio contro la fede di Cristo e la paura che anche gli uomini del nostro tempo si volgano ad essa, spinge a muoverle guerra; una guerra cruenta come avviene nei paesi marxisti e islamici, o una guerra fatta di leggende nere costruite ad arte e di edonismo fuorviante come avviene nel nostro mondo.
A questi sistemi che dipingono Dio come nemico dell’uomo o superfluo per la sua vita, i discepoli di Cristo rispondono con la testimonianza del martirio, come avviene nei luoghi della persecuzione, e con la testimonianza di una fedeltà nonostante tutto e tutti che è un quotidiano, incruento martirio, come avviene nella nostra società.

Attualità e urgenza dell’appello alla conversione
È paradossale che proprio da alcuni decenni a questa parte, nell’epoca della scristianizzazione di massa, certa teologia e certa prassi ecclesiale abbiano sistematicamente svuotato di significato il senso della missione ad gentes, cioè della conquista “dei lontani”, ormai sempre diffusi anche in mezzo a noi. In molti, troppi casi, i missionari si recano negli altri continenti soprattutto per un soccorso umanitario, e gli “operatori pastorali” di casa nostra si dedicano più che altro al dialogo; gli uni e gli altri spesso preoccupati di non disturbare chi non ha la retta fede cattolica perché – come si dice – ognuno ha diritto di pensarla come vuole; perché è una questione di coscienza; perché, in ultima analisi, l’importante è lavorare insieme per il bene dell’uomo.
La banalità di questi luoghi comuni cozza inesorabilmente contro la serietà delle parole di Gesù che proclama ai liberi pensatori di ogni tempo che «chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,16); e lavorare insieme per il bene comune è frutto dell’accogliere Cristo e non certo un alibi che dispensa da questo: infatti «chi non raccoglie con lui disperde» (Lc 11,23).
Mai come oggi ogni uomo, di qualunque condizione e continente, più che di ogni altra cosa ha bisogno del più grande atto di carità da parte nostra: l’annuncio di Cristo, salvatore del mondo, e il conseguente appello alla conversione.

ESPERIENZA DI UN CONVERTITO

«Spero di aver detto ben chiaro che niente mi predisponeva alla religione, ad eccezione del fatto che non avevo religione. Se i miei genitori, dai quali non ho mai ricevuto altro che affetto e buoni esempi, avessero avuto la fede, me l’avrebbero comunicata naturalmente. Non avendola, era naturale che mi crescessero nella concezione del mondo che era la loro, e che è stata la mia fino ai vent’anni».
(Andreé Frossard, Dio esiste. Io l’ho incontrato, SEI, Torino 1990, p. 130).

«Ho finito per persudarmi che un testimone, per quanto indegno, che venga a conoscere la verità di un processo, è in obbligo di dirla, nella speranza ch’essa possa ottenere coi propri meriti intrinseci l’udienza ch’egli non può attendersi dai suoi. Ora, di dà il fatto che io conosca, per un caso straordinario, la verità sulla più dibattuta delle cause e sul più antico dei processi: Dio esiste. Io l’ho incontrato. L’ho incontrato per combinazione, con lo sbalordimento di chi, girato il solito angolo della solita strada di Parigi, si vedesse davanti agli ochhi, invece della piazza o dell’incrocio di tutti i giorni, un mare inaspettato che si estende all’infinito, lambendo con le onde i muri delle case».
(Andreé Frossard, Dio esiste. Io l’ho incontrato, SEI, Torino 1990, p. 11-12).

Dossier: Conversione

IL TIMONE – N. 55 – ANNO VIII – Luglio/Agosto 2006 – pag. 36 – 38

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