Chi sono, qual è la loro natura, che cosa fanno gli angeli.
Ecco che cosa insegna la dottrina cattolica, fondata sulla Rivelazione
I cori angelici
Nelle Scritture troviamo diversi nomi di queste schiere celesti e una misterioso autore vissuto nel VI secolo, lo Pseudo Dionigi Areopagita, ha elaborato la dottrina dei nove cori angelici: angeli, arcangeli, principati, potenze, virtù, dominazioni, troni, cherubini, serafini. Ad essa è collegata la concezione che vede gli angeli disposti in gerarchie, le quali sono il modello celeste della gerarchia della Chiesa. L’angelo inferiore non si vergogna di ricevere luce da quello superiore e non si trattiene dal trasmettere quello che ha ricevuto a quello inferiore. In questo dare e ricevere si riflette la legge dell’amore e la vita di ogni autentica “tradizione”. Il fatto che questo autore non sia il Dionigi convertito da san Paolo all’Areopago (At 17,34) e che la sua vera identità sia ancora oggi avvolta nel mistero più fitto non compromette la sostanza del suo insegnamento: esso infatti è stato recepito dalla Chiesa e da tanti illustri e santi teologi, come sant’Alberto Magno, san Tommaso d’Aquino, san Bonaventura da Bagnoregio e – ultima grande fra tutti – santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein).
Il nove è il risultato del tre moltiplicato per se stesso: con il linguaggio dei numeri, frequente nelle Sacre Scritture, ci vien detto che il mondo angelico è pervaso da una perfetta armonia che pulsa dinamicamente nella sua struttura gerarchica. Il Verbo incarnato con la sua venuta nel mondo, lungi dal rendere superfluo il ministero degli angeli, si rivela esserne il centro (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 331). Essi sono detti «i suoi angeli» (Mt 25,31), perché creati per mezzo di lui e in vista di lui: «[…] in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16). Un’antica tradizione, accolta da molti teologi, ha visto proprio nel rifiuto dell’Incarnazione il motivo determinante della ribellione di Satana e dei suoi seguaci.
Potremmo chiederci: perché Dio si serve degli angeli? Perché il più bel regalo che Dio può fare alle sue creature ragionevoli è quello di far fare loro del bene. Potrebbe agire direttamente – non ha bisogno di nessuno –, ma associare a sé amici e collaboratori è il suo modo di far partecipare alla sua vita divina in cui le tre Persone sono tutte l’una per l’altra. Gli angeli santi, a differenza del demoni, vivono di amore, cioè di servizio disinteressato e gratuito.
Ogni angelo è una “specie”
Soprattutto per influsso di san Tommaso d’Aquino, che per questo è detto il “Dottore Angelico”, è diventata nella Chiesa dottrina comune che ogni angelo, in virtù della sua assoluta spiritualità, è una “specie” a sé. Mentre noi uomini ci distinguiamo l’uno dall’altro per le nostre caratteristiche corporee: siamo nati nel tal anno, nel tal giorno, alla tale ora, in quel determinato posto, da quei determinati genitori, ciascuno con una sua storia, gli angeli si distinguono tra di loro non per un insieme di circostanze, ma per qualcosa di essenziale: ciascuno è come una idea sussistente e “impersonata”. Se questo ci può riempire di stupore per la fantastica, splendida e inimmaginabile varietà del mondo angelico, ci aiuta però anche a capire quanto la storia sia importante per gli umani e come le più umili circostanze siano per loro determinanti. Ciascuno di noi è quello che è perché la sua parte spirituale, la sua anima, fa tutt’uno con il suo corpo. Non possiamo allora cambiare il corpo come si cambia un vestito, perché vorrebbe dire diventare un’altra persona: la reincarnazione è una dottrina falsa. Gli angeli possono rendersi visibili in questo mondo sensibile e per questo possono assumere anche sembianze corporee: possono quindi poi perderle e cambiarle senza che la loro persona cambi, proprio perché sono puri spiriti.
Custode delle nazioni, dei popoli…
La convinzione che gli angeli, in quanto collaboratori di Dio, partecipano a tutti gli eventi della sua Provvidenza, dall’opera della Creazione a quella della Redenzione, fino a quella conclusiva del Giudizio, attraversa tutta la Bibbia. Le realtà materiali non obbediscono solo a leggi meccaniche, ma si muovono secondo una armonia superiore a cui sono preposti gli spiriti angelici. A ciascuno di loro è affidato un settore specifico della creazione. Al vertice c’è l’uomo, l’uomo come singolo e l’uomo nelle sue aggregazioni sociali, i popoli e le nazioni. È lì che il compito dell’angelo come collaboratore della Provvidenza divina tocca il suo vertice. Esistono dunque angeli custodi dei singoli, ma anche angeli custodi dei gruppi sociali. Ogni popolo ha il suo angelo: «[…]l’esercito del cielo» è stato «dato in sorte a tutti i popoli che sono sotto tutti i cieli» (Dt 4,19). Si può anzi legittimamente pensare che questa sia una delle cause – certamente non voluta da parte dei destinatari, quando questi non sono angeli decaduti – del politeismo e dell’idolatria: gli uomini hanno prestato un indebito culto divino a quegli esseri spirituali che Dio aveva loro donato come guide. Nell’Apocalisse gli angeli, davanti ad un gesto di adorazione, insistono nel proclamarsi con gli uomini servitori dello stesso piano provvidenziale di Dio: «Allora mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo, ma egli mi disse: “Non farlo! Io sono servo come te e i tuoi fratelli, che custodiscono la testimonianza di Gesù. È Dio che devi adorare”» (Ap 19,10; 22,9). Nel testo della traduzione greca detta dei “Settanta” (terzo secolo avanti Cristo) troviamo un’affermazione che pone in diretta connessione la divisione dell’umanità in popoli con la custodia degli angeli: «Quando spartiva, l’Eccelso, le nazioni, come disperdendo i figli di Adamo, ha posto i confini delle nazioni secondo il numero degli angeli
di Dio, e fu parte del Signore il suo popolo, Giacobbe, porzione della sua eredità Israele» (Dt 32,8-9). Il testo della Bibbia ebraica e la maggioranza delle traduzioni moderne (tra cui anche quella italiana della Conferenza Episcopale), al posto di “degli angeli di Dio” hanno “dei figli di Israele”. Ci sono però degli ottimi argomenti per pensare che la versione dei Settanta rifletta qui un testo più antico. La Bibbia non è come il Corano, concepito come preesistente in Dio da tutta l’eternità e calato dal cielo così com’era in un testo fisso ed immutabile. In essa possono convivere anche lezioni testuali diverse, volute da Dio proprio nella loro diversità per raggiungere l’uomo nella varietà della storia e comunicargli la sua immutabile verità attraverso la mutevolezza delle circostanze. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci fornisce una profonda ragione della pluralità delle nazioni, dei popoli e delle culture: «Quest’ordine, ad un tempo cosmico, sociale e religioso della pluralità delle nazioni, ha lo scopo di limitare l’orgoglio di una umanità decaduta, la quale, concorde nella malvagità, vorrebbe fare da se stessa la propria unità alla maniera di Babele» (n. 57), cioè in una confusione in cui ciascuno perde la sua identità. Di questa identità che – in quanto sviluppo dei doni che vengono da Dio – è un riflesso della sua perfezione, l’angelo è dunque il provvidenziale custode. La perfezione infinita di Dio infatti, in un mondo limitato, può essere imitata solo moltiplicandosi e differenziandosi in una pluralità in cui ciascuno ha qualcosa che all’altro manca. La diversità dei popoli diventa però cattiva quando si fa occasione di lotte, guerre e soprusi. Per questo dunque operano gli angeli santi, contrastando il nostro peccato e le insidie degli angeli malvagi, perché la diversità sia vissuta nell’amore e diventi quello che deve essere: una componente essenziale dell’immagine di Dio che è l’uomo. In Dio infatti la diversità delle persone lungi dal comprometterne la semplicità è piuttosto la ragione profonda della sua sublime unità nell’amore.
…e dei singoli
Quello che vale per le nazioni e per i popoli vale per ciascuno di noi. Non siamo chiamati ad annientarci in Dio o negli altri, ma ad essere noi stessi nella libertà. Il nostro angelo ci aiuta a capire che siamo tanto più noi stessi quanto più, senza perdere la nostra identità, ci apriamo a Dio e al nostro prossimo, «Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8,35) e che il supremo atto di libertà è il sacrificio e l’amore. Un dono non è autentico dono se non è di qualcosa che noi apprezziamo. Donare ciò che per noi non vale niente è una presa in giro.
L’angelo – il nostro alter ego celeste – ci conosce, ci ama e ci apprezza, ci insegna a conoscerci, amarci e apprezzarci e a donare con generosità quello che amiamo e apprezziamo.
Ciò che abbiamo è un dono di Dio – noi stessi siamo un dono di Dio – e il nostro angelo ci insegna che un dono deve farsi dono, altrimenti lo si perde. L’angelo è il maestro interiore della vera autostima, che è l’esatto contraddittorio nel nostro egoismo. Satana si è innamorato di sé stesso e si è perso nell’odio.
L’angelo santo vede in sé ogni cosa, vede sé e tutte le cose come dono di Dio e vive tutto immerso nell’amore riconoscente. Quello che lui vive lo insegna a noi; per questo è proprio il custode della nostra dignità, anche quando noi siamo tentati di disprezzarla: «Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18,10).
Dossier: Gli Angeli buoni
IL TIMONE N. 90 – ANNO X II – Febbraio 2010 – pag. 36 – 38
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