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14.12.2024

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Credi in Dio? Vade retro!
31 Gennaio 2014

Credi in Dio? Vade retro!

Per “completare” la Rivoluzione francese, il governo socialista di Hollande vuole imporre nelle scuole pubbliche la “religione repubblicana”. Siamo all’ateismo di Stato?

Se qualcuno si era illuso che la Rivoluzione francese, con tutti i guasti e i danni che ha provocato nel tessuto sociale, fosse morta e sepolta e consegnata ai libri di storia si è sbagliato di grosso. Oltralpe sono tornati in forze e con protervia i giacobini. Infatti la Francia, o meglio: il pittoresco governo socialista guidato da Hollande, ha deciso di resuscitare Robespierre. All’inizio dell’anno scolastico in tutte le scuole pubbliche, per disposizione del ministro dell’istruzione Vincent Peillon, è stata affissa – «con una certa solennità», come ha raccomandato lo stesso ministro – la cosiddetta Carta della laicità, in 15 articoli: compito della scuola non è più solo quello di fornire un’istruzione, ma soprattutto di educare e formare buoni cittadini della République.

Se hai una fede, devi scordartela

Percorrendo gli articoli della Carta, a prima vista si potrebbe non cogliere la gravità delle nuove disposizioni. Ma accanto ad affermazioni abbastanza ovvie sull’uguaglianza tra maschi e femmine o sul rispetto e la comprensione dell’altro, è ribadito e confermato il divieto assoluto di indossare ogni simbolo religioso in classe, come ad esempio il velo per le ragazze di religione islamica, ma anche una semplice crocina al collo per le altre, pesante norma liberticida già contenuta in una legge del 2004. Di più, l’articolo 12 della Carta impone che «nessun allievo può invocare una convinzione religiosa o politica per contestare a un insegnante il diritto di trattare un tema che fa parte del programma»: in altri termini, nessuno spazio per un confronto serio e leale su temi delicati (aborto, divorzio, matrimoni gay, identità di genere, eutanasia…), perché l’unica religione ammessa è la religione dello Stato laico, con i suoi dogmi e le sue certezze. Quindi “laicità” non come presa d’atto dell’esistenza di fedi differenti e valori diversi che consenta il libero manifestarsi di tutte le credenze, religiose o meno, su un piano di uguaglianza, secondo un’accezione cara all’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola. Ma un concetto di laicità come valore in sé, che implica l’assenza o addirittura il divieto di manifestare la propria credenza religiosa.

Lezioni di «morale laica» per tutti

La “religione repubblicana” cui vuol dar vita il ministro Peillon si colloca in realtà all’interno di un più vasto progetto politico- pedagogico che vorrebbe coinvolgere, nell’arco di un paio d’anni, tutta la società francese: entro il 2015 dovrebbero infatti partire corsi di “morale laica”, inizialmente destinati agli studenti delle scuole, ma che si prevede possano essere estesi in un secondo tempo anche agli adulti. Insomma, veri e propri corsi di “rieducazione”, che aggiornano i metodi fascisti, nazisti e comunisti con una tecnica che è tipica dei totalitarismi democratici moderni. Peillon ha apertamente svelato i suoi veri intenti presentando il libro da lui scritto La Révolution francaise n’est pas terminée: se la Rivoluzione francese si è dovuta fermare alle trasformazioni politiche e sociali, ha sostenuto, adesso la nuova scuola laica transalpina dovrebbe finalmente realizzare una profonda trasformazione morale e spirituale. In questa pretesa “etica” da parte dello Stato si sente il profumo di Pol Pot, il sanguinario dittatore cambogiano, non a caso formatosi in Francia!, che pur di “trasformare” il proprio popolo moralmente e spiritualmente ha pensato bene di distruggerlo, eliminando fisicamente chi non la pensava come lui. I socialisti francesi sono più eleganti e raffinati: probabilmente si fermeranno alla detenzione carceraria di chi dissente dai loro diktat.

«Ho due papà che si amano»

Intanto, come chiaro esempio della nuova religione “laica e repubblicana”, valga ciò che è accaduto negli istituti pubblici francesi di ogni ordine e grado all’inizio di questo anno scolastico. Si è dato l’avvio alla mobilitazione per la cosiddetta “uguaglianza a scuola”. Che cosa significa? Sono state programmate diverse iniziative, che vanno dalla promozione alle elementari di libri come Ho due papà che si amano, fino alla “lotta contro l’omofobia” nei licei. Con il dichiarato obiettivo finale, come spiega il sito del Ministero per gli affari sociali, di «decostruire gli stereotipi di genere». In pratica si tratta di «educare alla cultura dell’uguaglianza fra i sessi» fin dalla tenera età di sei anni, così da «eliminare pregiudizi e stereotipi che possono essere alla base di discriminazioni».
Subito allineatosi, il maggiore sindacato degli insegnanti delle elementari ha suggerito ai docenti di non utilizzare libri che «veicolano stereotipi di genere», ma invece quelli che «escono dai sentieri già battuti e dai cliché bambini/bambine, proponendo ai piccoli di riflettere sulla loro identità sessuale». In particolare, sono consigliati titoli come il già menzionato Ho due papà che si amano, ma anche Papà porta la gonna. E, si immagina, non ci saranno più prìncipi azzurri sui loro bianchi destrieri e bellissime principesse da salvare, ma solo “Principe A” e “Principe B”, dal momento che «l’eterosessualità non è la sola via». Con l’invito a tutti gli studenti di conoscersi meglio per definire il proprio orientamento. Come? Con un allucinante questionario che non merita di essere citato. Per fortuna, gli stessi movimenti di “resistenza” che si sono battuti fino all’ultimo contro l’approvazione della legge sulle nozze gay non stanno a guardare. Manif pour tous, per vigilare sulle scuole e sugli insegnamenti proposti (o imposti) all’interno delle aule, ha istituito dei comitati di vigilanza composti dai genitori, «affinché ciascuno possa agire nella sua scuola per difendere i bambini». La Manif chiede anche di «comunicare tutti gli abusi che avvengono in scuole e asili». E assicura: «noi li denunceremo pubblicamente».

E anche nel Québec spunta l’ateismo di Stato

Forse è un destino dei Paesi francofoni, come cattiva eredità proprio della Rivoluzione francese, ma qualcosa di molto preoccupante sta accadendo anche nel Québec, la provincia di lingua e cultura francese del Canada, con ricorrenti tentazioni separatiste, dove potrebbe essere vietato l’uso di simboli religiosi ai dipendenti pubblici. Se sarà approvata la nuova Carta dei valori proposta dal Parti Québecois (Pq), insegnanti, poliziotti, giudici e operatori carcerari, personale ospedaliero e funzionari pubblici di ogni genere non potranno indossare hijab, niqab, burqa, turbanti e kippah (se musulmani, indù o ebrei), ma neppure crocifissi o anelli con l’effigie della Madonna. Sostengono i promotori che la nuova Carta contribuirà a creare una comune «identità laica» per gli otto milioni di abitanti del Québec. Disappunto tra i musulmani, che in gran numero lavorano nella provincia canadese come insegnanti o infermieri, mentre Harvey Levine, rappresentante della comunità ebraica, ha denunciato il tentativo «di rimuovere le libertà religiose» e di «imporre regole sui valori religiosi». Il presidente dell’Assemblea dei vescovi cattolici del Québec, monsignor Pierre-André Fournier, ha sottolineato che il divieto dell’esposizione di simboli religiosi fa emergere un «ateismo ufficiale » che è peggio di una religione ufficiale, che comunque non c’è. Invece «lo Stato deve proteggere la libertà di religione, non limitarla». Ha concluso monsignor Fournier: «Come possiamo difendere i cristiani in Egitto se poi, qui in Québec, abbiamo queste restrizioni?».

Ricorda

«Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. È lui la misura del vero umanesimo».
(Card. Joseph Ratzinger, Omelia della Messa pro eligendo romano pontefice, Roma 17/4/2005).

IL TIMONE N. 127 – ANNO XV – Novembre 2013 – pag. 18 – 19

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