Il lungo e complesso itinerario dell’idea di paternità. Dalle religioni primitive al politeismo, fino all’Antico Testamento e poi a Cristo, culmine della storia
“Dio padre universale” nelle diverse religioni
I sociologi della scuola storico-culturale – che nasce in Germania agli inizi del ventesimo secolo e che poi si sviluppa negli Stati Uniti –, reagendo ai pregiudizi dell’evoluzionismo allora dominante, ripartono dai dati scientifici ed etnologici oggettivi e dallo studio critico delle fonti: in questo modo giungono alla scoperta dell’esistenza presso i primitivi di chiari segni dell’esplicita idea di un solo grande Essere divino, creatore e padre del mondo e degli uomini, rimuneratore del bene e vindice del male. Ciò è pienamente confermato dall’osservazione delle diverse popolazioni che in ogni continente continuano tutt’oggi a vivere in modo simile ai nostri progenitori del mondo primitivo. Sono per lo più gruppi tribali residenti in zone isolate ed impervie: tribù di nativi dell’America centrale, indigeni delle foreste brasiliane, eschimesi, lapponi, tibetani, etnie dell’Africa equatoriale, delle Filippine, dell’Indocina, dell’India, della Patagonia. Tutti costoro sono accumunati dalla fede in un Essere supremo, spirituale, invisibile, che dona la vita e la toglie, giudica gli uomini per premiare i buoni e punire i malvagi; egli è chiamato Padre, Signore, Altissimo, Luce… Accanto all’Essere supremo, ma in posizione subordinata, ci sono gli spiriti buoni o cattivi, personificazioni dei fenomeni atmosferici o di realtà naturali. Solo in una seconda fase, per successive stratificazioni, il monoteismo degenera nella magia, nell’animismo e, da ultimo, nel politeismo. Così, con il sorgere delle religioni pagane, il titolo stupendo e originario di Padre diventa equivoco, poiché, vista la raffigurazione antropomorfica che sfigura le divinità, tale titolo viene concepito in senso fisico e diventa l’origine di una rete di parentele sul modello di quella che lega, tra gli uomini, genitori e figli, fratelli, zii, cugini…
Questo diviene il significato prevalente, anche se non unico, nel modo di intendere la paternità di Dio nelle tradizioni religiose antiche: anzitutto nelle fantasiose mitologie egizia, greca, romana, celtica, ecc… Così pure, anche se con sfumature diverse, nel mazdeismo, nell’induismo, nel confucianesimo, nello scintoismo… religioni tutt’ora praticate da milioni di uomini.
Finalmente, poco meno di quattromila anni fa, Dio si manifesta ad Abramo: è l’inizio di una nuova storia per il mondo, una tappa fondamentale nella storia della salvezza, che nasce nel segreto del dialogo tra il Creatore e una sua creatura, e che nei secoli conquisterà i cuori e i popoli, per giungere sino ai confini della terra (cf. Mt 28,19). Ecco dunque che la nefasta distorsione del volto di Dio avvenuta con il paganesimo viene spazzata via dalla divina Rivelazione: l’unico vero Dio, con un atto di infinita compassione, salva gli uomini che lo accolgono dalla stolta ed empia servitù degli «idoli delle genti, d’argento e d’oro, opera delle mani dell’uomo, che hanno la bocca e non parlano, hanno gli occhi e non vedono, hanno gli orecchi e non sentono…» (Sal 135,15-16).
“Jahvè padre del creato e del popolo” nella fede di Israele
È dunque con la rivelazione che Dio fa di sé ai patriarchi e ai profeti di Israele, che la paternità di Dio verso il mondo e l’uomo riacquista il suo vero significato e il suo immenso valore religioso; anzi essa riprende, ma contemporaneamente supera la concezione limitata che ne avevano i primitivi, e ne espande e approfondisce la portata.
Infatti Jahvè è padre:
– del mondo, in quanto creatore e signore di tutte le cose (Dt 32,6; Mi 2,10): da lui dipendono la vita e la morte di ogni vivente (1 Sam 2,6; Is 45,7), i fenomeni della natura (Es 19,16; 20,18), l’abbondanza e la carestia (Gn 26,12), la fecondità degli animali e degli uomini (Gn 13,2; Os 2,8-14); Dio si mostra quindi come il padre di una grande famiglia, l’umanità, che abita una grande casa, il mondo;
– di Israele, in quanto ha scelto questo popolo per l’alleanza (Es 4,22): Jahvè si è creato il suo popolo prediletto (Dt 8,5; Dt 32,1; Is 1,2; Is 63,7); se ne prende cura come fa un genitore con il suo bambino (Ger 31,3), anzi egli è più affezionato di qualunque genitore terreno (Sal 27,10; Is 49,15); lo difende dai nemici che attentano alla sua vita fisica e alla sua integrità religiosa e morale (Nm 10,35; 21,14; Es 17,8); lo guida con sapiente pedagogia per farlo crescere nella sua dimensione umana e religiosa;
– dei poveri e degli indifesi, in quanto ne è il tutore e il vindice (Sal 68,6), comanda verso di loro il rispetto e il soccorso (Lv 19,13-16; Dt 15,11), dichiara che il vero culto religioso comprende, anzi privilegia, la giustizia e la misericordia rispetto all’esecuzione dei riti (Os 6,6; Is 1,10-17; Sal 49,7-21).
Ma in modo tutto speciale Dio è Padre del Messia; in questa paternità convergono e si compendiano le tre dimensioni precedenti: Dio ama le sue creature, e tra esse predilige la nazione che si è scelto, e in special modo quella porzione eletta, gli umili e i semplici, che da Lui solo sperano salvezza; e la salvezza, per loro e per tutti gli uomini, si realizza nell’opera del Messia. La sua missione è così grande che egli non può essere solo un uomo: infatti a lui Jahvè dice: «È troppo poco che tu sia mio servo… io ti renderò luce delle nazioni, perché tu porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» (Is 49,6), e quindi afferma: «Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato » (Sal 2,7; Sal 110,3), generato, cioè, in quell’oggi che è l’eterno presente in cui vive Dio. Con uguale confidenza il Messia può rispondere: «Tu sei mio Padre, mio Dio, e roccia della mia salvezza» (Sal 89,27). Questo rapporto unico Padre-Figlio ha il suo pieno svelamento nella manifestazione della vita trinitaria: il Messia che viene nel mondo, infatti, non è semplicemente l’Inviato di Dio, ma è egli stesso Dio, «irradiazione della gloria del Padre e impronta della sua sostanza (Eb 1,3), Dio da Dio, Luce da Luce… generato, non creato, della stessa sostanza del Padre» (Simbolo niceno-costantinopolitano).
“Dio padre di Gesù e padre nostro” nella fede dei cristiani
Dunque è il Signore Gesù che, nel suo Vangelo, ci rivela in modo pieno e definitivo la paternità di Dio: solo lui può farlo, poiché «nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27). I suoi apostoli e la comunità dei suoi discepoli – la Chiesa – sono i depositari di questa rivelazione; alla Chiesa, infatti, il divino Maestro ha confidato i segreti ineffabili della vita intima della Divinità.
Dio Padre nell’intimità della vita trinitaria
Gesù è il rivelatore anzitutto di una nuova, inimmaginabile Paternità: quella intra-trinitaria, che precede la paternità che Dio esercita ad extra e ne è il fondamento, poiché da Lui «ogni paternità nei Cieli e sulla terra prende nome» (Ef 3,14). Grazie alle parole e alla testimonianza del Verbo fatto uomo, infatti, noi sappiamo che la paternità in Dio non è un attributo, ma una Persona: il Padre; allo stesso modo lo è la filialità, che costituisce la Persona del Verbo; così pure lo è l’amore, che costituisce la Persona dello Spirito Santo. Entriamo in questo modo nella comprensione – per quanto ci è possibile – dell’incommensurabile mistero della vita intima di Dio: Egli è un unico Essere che vive in tre Persone: il Padre, il Verbo, lo Spirito. Come avviene questo? Per capirlo ci dobbiamo inoltrare in modo sintetico, ma profondo in questo mistero.
Ci aiuta considerare ciò che avviene nell’uomo, in ciascuno di noi, fatti a immagine di Dio (Gn 1,27): noi possiamo compiere molte azioni fuori di noi, ma di atti interiori ce ne sono solo di due tipi, quelli che procedono dalla conoscenza e dall’affettività. Anche Dio può compiere infinite azioni al di fuori di sé, creando e interagendo con le sue creature; ma nella sua vita intima compie anch’egli solo due atti: conosce e ama; ed essendo egli l’Essere, cioè il Tutto, non può che conoscere e amare se stesso. Ora, è evidente che la conoscenza e l’amore con cui Dio contempla e abbraccia se stesso sono atti divini, quindi infiniti, eterni, cioè coincidono con l’Essere divino stesso.
Dunque, se la conoscenza con cui Dio conosce se stesso coincide con l’estensione del suo Essere, l’immagine in cui egli contempla se stesso è un altro se stesso; ugualmente l’amore con cui Dio ama se stesso è un altro se stesso! Ma tutto questo senza uscire da sé, cioè senza dividere l’Essere divino, che resta uno e unico.
Per questo in Dio ci sono tre “relazioni” che costituiscono le tre Persone: Dio in quanto contemplante se stesso è la Persona del Padre; Dio in quanto contemplato da se stesso è la Persona del Verbo, il Figlio; Dio in quanto amato da se stesso (cioè dal Padre e dal Figlio insieme) è la Persona dello Spirito Santo. Ciascuno dei Tre è l’unico Dio, e i Tre insieme sono l’unico Dio.
Il mistero trinitario, comunione di vita e di amore, è la piena rivelazione del vero volto di Dio, che solo Dio stesso, incarnato, poteva fare all’uomo.
La paternità della santa Trinità verso gli uomini e il mondo
Dunque, la Paternità che si realizza nella vita intima di Dio e che costituisce la Persona del Padre è il fondamento della paternità con cui Dio si relaziona con le creature, al di fuori di sé. Ma questa si concretizza in modo essenzialmente diverso. Infatti, come abbiamo visto, quando diciamo “Dio, il Padre” nella vita intra-trinitaria intendiamo la prima Persona della Trinità; quando invece diciamo che Dio è padre in relazione alle sue creature, intendiamo Dio come tale, cioè la Trinità nel suo insieme. Il Signore Gesù ci ha fatto capire questo, quando, dopo la risurrezione, annuncia: «Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (Gv 20,17), vale a dire: Dio è Padre per me in modo diverso da come lo è per voi; infatti il Figlio fatto uomo chiama Padre suo la prima Persona della Trinità, noi, creature, chiamiamo Padre, il nostro Creatore, Dio, che è Padre e Figlio e Spirito Santo. E anzitutto, in questo secondo senso, Dio è Padre di ogni discepolo di Gesù, in quanto il Verbo diventato uomo è il primogenito di una moltitudine di fratelli, i battezzati, figli di Dio per adozione, elevati alla partecipazione della vita divina in Cristo; ad essi il Padre celeste ha donato il “suo regno” (cf. Lc 12,32).
In secondo luogo, analogamente, Dio è Padre di tutte le sue creature in quanto le crea, le ama, se ne prende cura: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai, eppure il Padre vostro celeste li nutre» (Mt 6,25). In particolare, naturalmente, ama e cura tutti gli uomini, che anche se non sono ancora suoi figli adottivi, sono a ciò destinati, per essere salvati in questa vita e vivere nell’abbraccio di Dio nell’eternità.
Dossier: IL MISTERO DELLA PATERNITÀ DIVINA
IL TIMONE N. 101 – ANNO XIII – Marzo 2011 – pag. 39 – 41
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